Programma pastorale 2017/2018: il testo completo

«Andate! Io sono con voi»

(Mt 28,19-20)

È bello camminare alla presenza del Signore, come Abramo. È bello stare ai suoi piedi e al suo servizio, come Maria e Marta. È bello essere Chiesa del Signore, parte del Popolo di Dio che è in Ferrara-Comacchio, Chiesa particolare in cui si rende visibile la Chiesa universale. Ci sentiamo fortemente interpellati dalle indicazioni che Papa Francesco ha offerto nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium. E anche dall’arrivo in Diocesi del vescovo Gian Carlo, il quale ha annunciato che il suo programma pastorale per questi primi anni sarà incentrato sulla comprensione della Chiesa, dei suoi organismi vitali, dei suoi stili di vita.

Vogliamo riscoprire la Chiesa, la gioia di essere e di diventare la Chiesa che Dio ha inventato e che vuole incessantemente edificare. È tempo di dedicarci con intelligenza e curiosità al mistero che ci fa Corpo di Cristo e sue membra, partecipi della sua missione. Tentiamo di riassumere in due parole il nostro esistere come Chiesa: siamo tutti discepoli missionari.

1. Essere discepoli

«Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. È per questo che evangelizziamo. Il vero missionario, che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario». (cf. Evangelii Gaudium, n. 266)

1.1. Stare con Gesù

La nostra vita personale di cristiani e conseguentemente la nostra appartenenza alla comunità parrocchiale, lo sappiamo bene, non ha consistenza se non nella comunione con il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.

Essere discepoli è prima di tutto una questione di passività, nel senso che il primo ad agire è il Signore. Non noi abbiamo scelto Lui, ma Lui ha scelto noi (cf. Mc 3,13; Gv 15,16). Senza di Lui non possiamo fare nulla, perché siamo come tralci innestati nella vite (cf. Gv 15,5). Questo richiede una continua conversione, perché noi tendiamo a percepirci in modo autonomo da Dio, e talvolta a pensare che Dio non badi a noi e che aspetti che noi andiamo da Lui. Ma non è così. Essere cristiani è scoprire di essere travolti dalla misericordia del Padre che ci viene incontro nell’amore ricreante del Figlio morto e risorto. È scoprire di essere figli guariti da una malattia mortale: il peccato che paralizza e ammazza la nostra capacità di amare. E che nella Sua amicizia la nostra umanità si afferma con una autenticità senza pari.

1.1.1. L’Eucaristia fa la Chiesa, la Chiesa fa l’Eucaristia

La Trinità ci viene incontro nel modo più alto nella Liturgia, in particolar modo nel Sacramento che celebriamo più spesso insieme: la Messa, ripresentazione della Pasqua. Assieme ai Padri della Chiesa, il nostro patrono Agostino, riflettendo sul fatto che la parola ‘Corpo di Cristo’ si riferisce sia al Sacramento che al popolo, diceva con stupore: «mediante la comunione al corpo eucaristico diventiamo membri del corpo ecclesiale» (De Civitate Dei, 10,6).

Non ci sono dubbi: per essere discepoli s’ha da vivere e far vivere bene la Messa e gli altri Sacramenti, nei quali il Signore ci raduna e ci perdona, ci tocca e ci parla, ci guarisce e ci illumina con la sua Parola. È vero: il Signore opera comunque in tutti, raggiunge misteriosamente anche quelli che non vengono a Messa. Ma è anche vero che ha scelto la Parola e l’Eucaristia per raggiungerci in pienezza, e appena ne scopriamo la bellezza non possiamo più farne a meno.

L’incontro liturgico con il Signore, e il Padre, nello Spirito, si prolunga necessariamente nella preghiera personale, che è il dialogo intimo tra ciascuno di noi e la Trinità. E quasi come ponte tra liturgia e preghiera personale c’è l’esperienza della adorazione dell’Eucaristia, prolungamento della Messa, presenza vera, reale e sostanziale del risorto tra noi. ‘Adorare’ vuol dire ‘baciare’. Davanti Signore, che si mostra nel suo mistico Corpo, si sta come Mosè nella tenda del Convegno: «Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla col suo amico» (Es 33,11). E si decide con lui della propria vita, e della vita della Chiesa.

1.2. Una seria formazione

‘Formazione’ è una sorta di sinonimo di ‘discepolato’. Il discepolo è lo scolaro, uno che impara, uno che si forma, che prende la forma di Gesù. È interessantissimo vedere come Gesù stesso ha formato con pazienza i suoi discepoli prima della Pasqua. O almeno ci ha provato. Li ha radunati, ha offerto loro l’esperienza del vivere assieme a Lui, ha spiegato le cose di Dio con molta pazienza, senza la pretesa di dire tutto subito, li ha introdotti pian piano nel mistero della Pasqua, li ha coinvolti personalmente nell’esperienza missionaria. Egli è all’opera anche adesso, e nella sua Chiesa offre anche a noi un continuo itinerario di formazione.

Bisogna riaccendere la scelta personale di stare dietro a Gesù, pur tra le mille difficoltà legate alla mancanza di tempi e linguaggi adeguati, alla debolezza culturale, al naufragio dell’informazione, alla superficialità. C’è da mettere a frutto l’intelligenza che Lui ci ha dato per approfondire i misteri della fede. C’è da riflettere sulla storia e capirla con Lui. C’è da conoscere la ricchezza della Tradizione della Chiesa.

Gli strumenti non mancano: la Parola di Dio, il Magistero della Chiesa, la sterminata produzione teologica e spirituale. Eppoi le occasioni di dialogo, di confronto di approfondimento insieme, nei cammini formativi parrocchiali e nelle altre proposte diocesane.

Sentiamo l’urgenza della formazione per tutti, ma specialmente per i ragazzi e i giovani, che ci sono affidati perché scoprano che nell’adesione a Gesù Cristo sta l’autentica realizzazione della loro persona. A loro, che sono il futuro della Chiesa e della società, dobbiamo offrire l’esempio di persone che pensano in grande, che imparano a sognare come Dio: «che giovinezza è una giovinezza soddisfatta, senza una domanda di senso, senza una sana inquietudine? I giovani che non cercano nulla non sono giovani, sono in pensione, sono invecchiati prima del tempo» (Papa Francesco, Udienza del 30 agosto 2017). Conferma questa doverosa attenzione ai giovani la prospettiva del prossimo Sinodo a loro dedicato (nell’ottobre 2018, sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale»).

1.2.1. Formazione al discernimento

Sotto questo titolo della formazione possiamo mettere anche l’educazione e la pratica del discernimento, che è la più alta espressione della sinodalità della Chiesa, ed è la via ineludibile della ricerca della volontà di Dio, per la propria vita personale e per la vita della comunità ecclesiale. E abbiamo capito che non è facile fare discernimento, ché viviamo sempre il rischio di non capirci nulla o a quello opposto di presumere facilmente di aver intuito ciò che lo Spirito vuole. Sentiamo continuamente parlare della necessità di ‘leggere i segni dei tempi’ (è Gesù stesso che lo dice in Mt 16,2-3: «Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?»), ma come si fa? Continueremo a formarci al discernimento, traendo dalla ricchezza del patrimonio della Chiesa i suggerimenti e gli strumenti che lo facilitano: dalla pratica dell’esame personale di coscienza alle modalità del discernimento comunitario.

1.2.2. Formazione ad una vita povera e fraterna

La formazione è per la vita. È la vita di ciascuno che deve prendere la forma di Gesù. Pur nella varietà dei doni e dei carismi, ci sono dei tratti irrinunciabili, non facoltativi. Tutto è unificato dalla carità, che è «la via più sublime» (cf. 1Cor 12,31-13,13). E tutto è informato dallo stile delle beatitudini, che è lo stile dei ‘poveri in spirito’. Su questo dobbiamo darci una mossa: dare alla nostra vita, personale e comunitaria, una forma povera ed essenziale. Gesù ha scelto per sè e per noi questo stile. È lo stile di una vita profetica, evidentemente controcorrente: piena di fiducia nel Padre, libera da ogni cupidigia e da ogni avarizia, dedicata a ciò che vale secondo Gesù, fatta in modo sostanziale di fraternità e di condivisione.

2. Essere missionari

«Non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese: è necessario passare «da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria». (cf. Evangelii Gaudium 15)

2.1. L’urgenza della conversione pastorale in senso missionario

Gesù chiama per mandare. Lui, che è il Cristo, l’inviato dal Padre, associa i suoi discepoli a sè e alla sua missione: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21).

Della tensione missionaria della Chiesa si parla da sempre. E in particolare di una spinta missionaria che si concretizza non solo nel classico movimento ad gentes, ma anche nella nuova evangelizzazione dei popoli tradizionalmente cristiani.

Papa Francesco raccoglie questa sfida, tutta tesa a comunicare la gioia del vangelo, eterna novità che fa l’autenticità della persona umana. La rilancia per la pastorale ordinaria, per i battezzati che non vivono le esigenze del battesimo, per coloro che non conoscono Gesù o lo hanno rifiutato.

Dobbiamo passare – ripete Papa Francesco – da una pastorale di conservazione a una pastorale decisamente missionaria (cf. EG 15): forse noi stiamo nel mezzo di questo passaggio. Forse la vita della nostra comunità è fatta ancora di cose che potremmo vivere semplicemente come cose da fare, da eseguire, da conservare… ma senza lo slancio missionario. Abbiamo senz’altro bisogno di continuare il cammino di questa conversione, di questa riforma anche della nostra comunità parrocchiale, assieme alla comunità diocesana.

2.1.1. Nella Chiesa di Ferrara-Comacchio

È uno slancio da vivere insieme, ravvivando il nostro senso di appartenenza alla Chiesa di Ferrara-Comacchio e il collegamento con le vicine parrocchie del vicariato di San Maurelio e del quartiere di via Bologna. Un aspetto della conversione pastorale è senz’altro la riflessione sulle modalità di condivisione e di integrazione delle iniziative della diocesi e del vicariato in fatto di celebrazione, di formazione e di testimonianza.

In questo anno pastorale, la nostra Chiesa diocesana sarà impegnata, secondo le indicazioni del vescovo Gian Carlo, in una ampia riflessione sulle immagini della Chiesa (e sullo stile che ne consegue) presentate da Papa Francesco nella Esortazione Evangelii Gaudium. Una Chiesa che è madre attenta e aperta, capace di accompagnamento educativo. Una Chiesa in cammino con gli uomini, che cerca di comprendere fino in fondo le storie delle persone. Una Chiesa che evangelizza, valorizzando tutte le forme di ministerialità. Una Chiesa che non si chiude, ma si mette in rapporto con il mondo, rinnovando e aggiornando l’impegno delineato dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes. Una Chiesa che raccoglie le sfide della città e dei suoi cambiamenti.

2.2. Attenti agli ultimi, i preferiti di Gesù

Abbiamo condiviso la necessità dell’attenzione agli ultimi: è stato sempre un tratto marcato nella esperienza della Parrocchia di S. Agostino. Si tratta di essere fedeli a questa tradizione, perché rende esplicita la fedeltà a Gesù. L’attenzione agli ultimi, ai poveri, ai piccoli è carattere essenziale della missione del Figlio di Dio, che nella sinagoga di Nazaret dichiara di essere mandato: «a portare ai poveri il lieto annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista; / a rimettere in libertà gli oppressi, / a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,17-19). Poveri, prigionieri, ciechi e oppressi sono i destinatari del gioioso annuncio della liberazione. Alle parole, il Signore Gesù Cristo ha fatto seguire l’azione missionaria di vicinanza a tutti, fino all’espressione estrema della misericordia del Padre per ogni uomo segnato dalla passione e dalla morte.

2.2.1. Attenti agli ultimi, perché anche noi siamo ultimi

Nello scorso anno pastorale abbiamo cercato di maturare un po’ di più questa consapevolezza: tutti, in realtà, siamo poveri e bisognosi della vita di Dio. San Paolo, con forza, ci ammonisce: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7). Non ci si può muovere autenticamente verso quelli che riteniamo poveri e bisognosi, se non a partire dalla certezza di essere tutti arricchiti dall’unico Padre misericordioso, che ci ha creati e ci ha costituiti come sua famiglia in Cristo e nello Spirito. Ciò significa che la nostra attenzione agli ultimi non è fondata semplicemente nella nostra generosità e nemmeno è un optional della vita cristiana, qualcosa da relegare nei momenti del volontariato, ma è la partecipazione alla com-passione del Padre per noi e per tutti i nostri fratelli e sorelle.

2.2.2. Tutti gli ultimi

La povertà si manifesta in tanti modi e dobbiamo aprire gli occhi su tutte le forme di fragilità, come ha fatto Gesù. Papa Francesco ne elenca alcune, oltre alla mancanza di risorse economiche: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, gli anziani sempre più soli e abbandonati, i migranti, le vittime di tratta, le donne senza diritti, i bambini nascituri (cf. EG 215). E potremmo continuare pensando alla nostra città, al nostro quartiere. Poveri vicini e lontani, poveri di cose e poveri di diritti, di cultura, di proposta spirituale. C’è da perdere la testa, ma non ci si può esimere da questa responsabilità verso gli altri, specie verso le persone che vivono nel nostro territorio, ma anche, a causa della globalizzazione che ci collega inesorabilmente, verso tutti i fratelli e le sorelle sparsi nel mondo. Siamo chiamati ad una responsabilità che  consiste nell’attenzione alle persone nella loro integralità. Questa è la caratteristica della carità cristiana: pensare alla promozione della persona per aiutarla ad esprimersi nella sua pienezza, che è la capacità di amare Dio e gli altri. Teniamo presente che la povertà più grande è sicuramente la mancanza di Cristo. Anche se non lo diciamo esplicitamente in ogni occasione di servizio agli altri, dev’essere questa la motivazione più chiara nella nostra testa e nel nostro cuore.

2.3. Testimoniare il vangelo nel nostro territorio

Sentiamo da sempre l’urgenza di spenderci, come cristiani, per la gente con la quale condividiamo la vita quotidiana. Sperimentiamo certo il nostro limite come cristiani: la tiepidezza della fede, la molteplicità degli impegni, la difficoltà di aprire gli occhi sul mondo con chiarezza, il senso di impotenza di fronte ai tanti problemi. Ma il Signore, instancabile, scommette su di noi e sulla nostra comunità per fermentare evangelicamente il territorio in cui viviamo e farne un luogo in cui il suo Regno si allarga e prende forma.

Ci sono almeno tre atteggiamenti di fondo da coltivare.

2.3.1. Una questione di fascino

Partiamo da Gesù: i racconti evangelici ricordano lo stupore che la sua persona, la sua parola e i suoi gesti suscitavano. Fin dall’inizio, «tutti erano stupiti del suo insegnamento, perché la sua parola aveva autorità» (Lc 4,32).

Ma Gesù stesso suggerisce ai discepoli che la testimonianza della vita è il motore della evangelizzazione: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). E nella sua ultima cena, quando le parole si fanno davvero decisive, raccomanda: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35).

Il linguaggio della carità, semplice e silenziosa, è universale. Ancor prima delle parole, sarà il nostro stile di vita carico della misericordia, della pazienza, della giustizia di Gesù ad annunciare il vangelo. Un linguaggio che non può non essere notato e non suscitare domande, specie perché è in netto contrasto con le logiche dell’egoismo, della arroganza, del potere e del successo che dominano il mondo. Un linguaggio, quello della carità e della condivisione nel nome del Signore, che può essere anche decisamente contestato e qualificato come stupido buonismo.

2.3.2. Il lievito del vangelo

Siamo sicuri che i valori di Gesù, la sua giustizia, la sua visione dell’uomo e del mondo sono il meglio per ogni persona umana. «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (Gaudium et Spes 22). Tra la teoria e la pratica c’è il lavorìo quotidiano di ciascuno di noi, per ispirare al vangelo di Gesù la vita nel mondo e nella nostra città. Siamo protagonisti, oggi, della inculturazione del vangelo, che è l’opera incessante della Chiesa da duemila anni a questa parte! E lo siamo in un cambiamento d’epoca difficile e affascinante, nel quale il Signore ci accompagna e ci garantisce il dono del suo Spirito di sapienza. Vogliamo fare nostro questo atteggiamento decisamente positivo. Guardando al mondo – scrive il Card. Martini – «noi cristiani e sacerdoti non siamo l’ultimo baluardo di un mondo che emargina sempre più la fede, ma le ‘prime sentinelle’ di una nuova aurora» (Esercizi spirituali. Testi inediti, EDB, 2017, p. 23). Come i profeti. Come Gesù. Abbiamo una Parola da ricevere e da ripetere, con responsabilità. Una parola carica di valore che può ispirare positivamente le scelte della vita di famiglia, le logiche del mondo del lavoro, i problemi della accoglienza e della integrazione, i modi di gestire la vacanza e il riposo, i percorsi educativi dei giovani… Dobbiamo intrecciare di più il vangelo e la vita, perché il vangelo è fatto per una vita buona e bella. Dobbiamo chiederci più spesso e più in profondità: che cosa dice lo Spirito di quel che succede nella nostra città? Che cosa lo Spirito ci fa dire a questa questa città? La Parola e il Magistero della Chiesa, specie la Dottrina sociale, ci sarà di grande aiuto.

Ma c’è anche un’altro luogo in cui lo Spirito parla: la vita, la storia in cui pone i suoi ‘segni’. Con molta umiltà e attenzione, possiamo condividere tante cose con gli uomini di buona volontà, magari non credenti o appartenenti ad altre religioni e che sono in cammino, come noi, verso la verità tutta intera. Anche con loro possiamo collaborare per vedere la nuova aurora e per dare forma ad una società più simile a quella che sarà pienamente compiuta solo alla fine dei tempi, quando si manifesterà definitivamente il Regno del Padre.

2.3.3. Denunciare e rinunciare

Partiamo ancora da Gesù: all’annuncio gioioso del Regno, il Signore ha voluto associare talvolta parole molto chiare e forti di denuncia delle cose che non andavano. Soprattutto verso le autorità religiose e verso i responsabili della gestione del Tempio di Gerusalemme. Gli esempi sono innumerevoli: basta scorrere il capitolo 23 del Vangelo secondo Matteo, con la famosa lista di ‘guai’ verso gli scribi e farisei che sono ipocriti, guide cieche, sepolcri imbiancati, serpenti, razza di vipere… Gesù mostra di conoscere benissimo l’attualità, i meccanismi del potere religioso ed economico, le ingiustizie. E da questa ingiustizia sarà messo in croce.

Ma il suo tono, si badi, non è di disprezzo e di minaccia: è il tono accorato di chi vuole mettere in guardia, il tono appassionato del Figlio di Dio che vuole smuovere alla conversione. Gesù non si arrabbia. Piuttosto, si indigna, prende netta posizione verso il male senza che il suo cuore sia occupato dal male, perché vuole difendere le persone, i valori, la giustizia.

Il nostro Signore, crocifisso e risorto, che nel battesimo ci ha fatto partecipi della sua funzione profetica, ci chiede di prestargli la voce. Di essere anche noi come il profeta Ezechiele: «Figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia» (Ez 3,17 e 33,7). Dallo sguardo attento sul mondo, lo sguardo di Dio, può nascere l’esigenza della denuncia, in nome di Dio e con il cuore di Dio, delle malefatte che non rispettano le persone, le famiglie, i poveri, gli ultimi, il creato. Non possiamo chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie che capitano nella nostra città, davanti alle ‘strutture di peccato’ nelle quali siamo in qualche modo coinvolti, davanti ai meccanismi economici perversi che regolano i nostri portafogli. Non possiamo chiudere gli occhi davanti alla distruzione della visione evangelica della persona e della vita, davanti alla deformazione dell’informazione e alla mancanza di serenità e di pacatezza di linguaggio nei mezzi di comunicazione. È una responsabilità (che deriva dall’amore) alla quale non possiamo sottrarci, anche se cozza con la nostra ricerca di comodità e con l’atteggiamento di Caino che afferma: «Sono forse il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Sempre per bocca di Ezechiele, in modo durissimo, Dio dice: «Se invece la sentinella vede giungere la spada e non suona il corno e il popolo non è avvertito e la spada giunge e porta via qualcuno, questi sarà portato via per la sua iniquità, ma della sua morte domanderò conto alla sentinella» (Ez 33,6).

Certo, la nostra parola deve essere puntuale e credibile. E diventa credibile se funzionano insieme l’annuncio, la denuncia e la disponibilità a cambiare vita, a vivere in prima persona nella ‘giustizia’ del Regno.

3. La forma della vita parrocchiale

Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione (cf. Evangelii Gaudium 27).

Alla luce di queste riflessioni, la nostra comunità si organizza, cercando di dare senso ad ogni iniziativa, ad ogni percorso, ad ogni attività. Abbiamo delle strutture in cui ritrovarci (pur consapevoli che la comunità non la fanno le strutture, ma le persone): la chiesa, luogo della convocazione (è il Signore che si fa incontrare lì, nella vita sacramentale) e l’oratorio, che potremmo considerare il luogo nel quale si irraggia la luce che ci illumina in chiesa. Anche quest’anno, vogliamo porre attenzione all’oratorio. È luogo dell’incontro (per la formazione, la condivisione, lo svago, il confronto) tra chi abitualmente partecipa alla vita della comunità. Luogo di soglia, per favorire l’incontro con chi non se la sente ancora di entrare in chiesa. Luogo di accoglienza dei poveri e dell’esercizio della carità. Luogo di elaborazione di proposte formative e aggregative per i ragazzi, i giovani, gli adulti del quartiere. Luogo, insomma, in cui si intrecciano i quattro ambiti nei quali abbiamo concordato di riassumere la vita della comunità parrocchiale.

3.1. Liturgia e preghiera

Viviamo la Messa come fonte e culmine della vita parrocchiale e puntiamo all’osmosi tra la Messa e la vita.

  • Curiamo la partecipazione comune alla Messa e alle altre celebrazioni dei sacramenti con l’aiuto del Gruppo liturgico, del Coro e dei vari gruppi parrocchiali, ad esempio preparando la preghiera dei fedeli in modo che sia consona alla vita parrocchiale, o ponendo attenzione particolare alla partecipazione dei bambini e dei ragazzi. Curiamo anche la proposta e la partecipazione alle celebrazioni comunitarie della penitenza.
  • Nel corso dell’anno liturgico, continuiamo ad approfondire in ogni domenica una parte della Messa. Soprattutto nei tempi forti, curiamo la proposta di un impegno settimanale personale e famigliare derivante dalla Parola ascoltata nella Messa.
  • Valorizziamo alcune figure di santità proposte dal calendario liturgico, specie i santi ferraresi.
  • Viviamo bene le ‘Giornate’ che durante l’anno la Chiesa ci propone di celebrare per porre attenzione al legame della liturgia con le diverse dimensioni della vita civile, ecclesiale e sociale, soprattutto la Domenica dei Poveri, la Giornata della pace, la Giornata del migrante e del rifugiato, la Settimana di preghiera ecumenica…
  • Confermiamo la decisione di vivere settimanalmente (il martedì dalle 17.30 alle 22.30) la sosta assieme al Signore nell’Eucaristia: teniamo viva la catechesi sulla bellezza e l’importanza della adorazione eucaristica e proponiamo a tutti di partecipare almeno per turni alla adorazione del martedì.
  • Durante l’adorazione, solitamente meditiamo in modo guidato la Parola della domenica successiva.

3.2. Formazione comune, come Chiesa in uscita

  • Puntiamo decisamente a mantenere e qualificare i percorsi formativi per tutti, dai ragazzi agli anziani, tenendo presente per quanto possibile il tema dell’essere Chiesa. In particolare, cerchiamo di favorire la lettura personale e comune di Evangelii Gaudium, integrando i percorsi dei vari gruppi parrocchiali con la proposta diocesana del ‘Laboratorio della fede’, ed eventualmente con una rubrica sul foglio parrocchiale.
  • Partecipiamo quando possibile agli incontri vicariali e diocesani, specie alle celebrazioni del Vescovo, e diamo maggiore attenzione, tramite i mezzi di informazione, alla parola del Vescovo e del Papa.
  • Prepariamo in Avvento e in Quaresima un “messaggio biblico” quotidiano tratto dalla Parola del giorno da condividere con tutti.
  • Siamo pronti ad accogliere e accompagnare le persone che vivono situazioni matrimoniali difficili, anche con attenzione ai cammini di fede e di riflessione che saranno proposti in diocesi.
  • Curiamo con attenzione gli incontri con i genitori dei ragazzi della catechesi, occasione preziosa di annuncio a chi si riaffaccia alla vita della parrocchia.

3.3. Attenzione agli ultimi

  • Continuiamo a riflettere sulle motivazioni di fede del servizio ai poveri, proponendo riflessioni e provocazioni sulla necessità di un cambiamento dello stile di vita profetico, per diventare una Chiesa povera per i poveri.
  • Teniamo desto l’interrogativo su come porre attenzione non solo alle povertà materiali, ma anche alle forme di povertà spirituale e culturale, aiutando anche i ragazzi e i giovanissimi a conoscere le povertà e le esperienze di aiuto e di condivisione (visite al SAV, alla Rivana, alla Caritas…)
  • Diamo sostegno alla S. Vincenzo parrocchiale nelle sue attività formative e di servizio ai poveri e agli anziani e agli ammalati.
  • Rimaniamo strettamente collegati, con il contributo e il servizio, alla Associazione Viale K e all’Associazione Arcobaleno, che si occupa in parrocchia di minori in difficoltà.
  • Apriamo gli occhi e il cuore alla missione ad gentes e alle chiese sorelle sparse nel mondo: in particolare sosteniamo la diocesi di Sapë (in Albania) e teniamo i contatti con gli ‘Amici di Kamituga’.

3.4. Nel mondo come cristiani e cittadini responsabili

  • Ci impegniamo a riflettere (soprattutto in sede di Consiglio pastorale parrocchiale e di gruppo giovani) sulle situazioni socio-economiche del quartiere e della città, ad essere attenti alle informazioni dalla cronaca locale e alle manifestazioni proposte in città e in diocesi su queste tematiche.
  • Aderiamo alle iniziative dei soggetti che si impegnano a curare e valorizzare gli spazi pubblici del nostro quartiere.
  • Prevediamo di comunicare il frutto delle riflessioni con eventuali comunicati se ci sono argomenti urgenti su cui prendere posizione.
  • Poniamo attenzione alla occasione delle elezioni politiche del 2018 per ravvivare il senso di responsabilità come cittadini nella partecipazione al voto.
  • L’AC curerà anche quest’anno il convegno parrocchiale su temi socio-economici.
  • Continuiamo l’esperienza del Gruppo Incontro tra cristiani e musulmani, con le iniziative che già sono state sperimentate. Vediamo la possibilità di collaborare con altri soggetti del mondo islamico per organizzare insieme alcune attività che vadano oltre il quartiere.
  • Valorizziamo l’esperienza della Unità di Strada dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, che ogni due settimane, partendo dalla nostra chiesa, fa visita alle ragazze di strada, spesso vittime di tratta, partecipando almeno alla preghiera prima dell’uscita.
  • Diamo attenzione ed energie alla organizzazione dell’oratorio, cercando di intercettare la disponibilità al servizio ed elaborando progetti fattibili di aggregazione e di formazione per ragazzi, giovani e anziani.

Conclusione

Ci sentiamo incoraggiati da Papa Francesco, che esortandoci ad un approfondimento di Evangelii Gaudium si è detto sicuro della nostra capacità di metterci in movimento creativo per concretizzare questo studio di una conversione pastorale.

Ci affidiamo alla Madre di Dio e Madre della Chiesa, che ha accompagnato la Chiesa nascente con la sua presenza e la sua premura materna.

Ci affidiamo all’intercessione del nostro patrono Agostino, protagonista del rinnovamento della Chiesa in tempi di cambiamento d’epoca.

Il Consiglio pastorale parrocchiale, 24 settembre 2017

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