Commento al Vangelo del 24 novembre 2019.
Sono convinto che la Trinità ci sta accompagnando: siamo con Gesù Cristo risorto, il nostro Re, il Padrone della vita e Signore sulla morte, con lo Spirito, soffio della vita di Dio che continua ad attraversare le nostre gole, con il Padre fonte della vita, che ci ha uniti a sè in un modo infinito. Sono convinto che è questa unione, questa comunione interpersonale con la Trinità la Vita nella sua profondità. Solo questo legame indissolubile con il Padre misericordioso, il Figlio suo morto e risorto e lo Spirito Paràclito può dare senso a tutto, e specialmente farci resistere nel tempo della sofferenza e dell’agonia che, umanamente, senso non ha, come protestano i capi, i soldati e il ladrone (Lc 23,35-43). Anche i legami più stretti fra di noi, anche il legame di un figlio con la sua mamma non è abbastanza forte. È un legame che esternamente, sensibilmente si può spezzare. E io posso stare gli uni accanto agli altri, accarezzarci e baciarci, e stringerci le mani, dirci che ci vogliamo veramente bene, lavorare e soffrire insieme. Possiamo con gratitudine riguardare il nostro cammino, specie per le cose buone che abbiamo fatto insieme. Sono tutte cose che sono assolutamente vere. Ma non bastano. Ci vuole qualcosa di più di fronte, o, meglio, dentro alla nostra debolezza mortale. Ci serve qualcosa di più, che sfondi il muro di quella fragilità nella comunicazione dell’amore, che talvolta diventa completamente assente. Perché noi siamo proprio fatti per la comunicazione e il dialogo di amore, di premura, di affetto, di contemplazione… Il dolore, che sentiamo quando non c’è bellezza di rapporto, è proporzionale alla profonda esigenza di questa comunicazione d’amore. E questo qualcosa di più è puramente e semplicemente il cuore della esperienza cristiana: è la risurrezione della carne del Signore Gesù, che è la nostra carne. È la fede nella iniziativa del Padre che ha cacciato il suo Figlio a respirare con i nostri polmoni, fino all’esperienza dell’esalare l’ultimo respiro amando e fino alla trasfigurazione della nostra carne nella misteriosa bellezza e pienezza della vita definitiva. È la sottomissione del buon ladrone al Dio crocifisso con lui: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». È la consegna fiduciosa e serena a Colui che si presenta umilmente come il Signore capace di liberarci da ciò che ci impedisce di essere persone amanti. Di liberarci dalle lentezze e dalle contraddizioni del peccato che ci impediscono di volerci bene in modo pieno. Di liberarci dalla debolezza mortale del nostro corpo così come è ora e per restituirci un corpo spirituale, uno spirito incarnato infinitamente capace di abbracciare Dio e gli altri con tutte le fibre carnali, psichiche e spirituali perfettamente armonizzate. Avevamo davvero bisogno di un re così. Così libero interiormente da sapersi consegnare anche ai suoi amati persecutori, da saper consegnare nell’amore anche il suo ultimo respiro. Solo un Signore così può prenderci con sè nel Paradiso. Solo a un Signore così ci consegniamo, oggi, volentieri.