Commento al Vangelo del 10 febbraio 2019.
Doveva proprio sentirsi onorato, Simone: il ‘Maestro’ gli aveva chiesto di salire proprio sulla sua barca per parlare a tutta quella gente (Lc 5,1-11). E la fatica, e la delusione della notte forse gli pesava di meno, occupato com’era, assieme ai suoi amici, ad ascoltare Gesù, sotto gli occhi di tutti. Quando poi Gesù, che se ne intendeva di prediche, ma non di pesca, gli chiede di gettare le reti ancora, Pietro non rinuncia alla sua cortesia verso l’ospite, e, pur esibendo la sua (fallita) perizia, lo accontenta. Gesù gli chiede di andare in profondità, cioè al largo. E gli chiede di fidarsi della sua parola. Qualcosa di bello e ancora indefinito riguardo a Gesù si era insinuato nel cuore di Pietro, che già aveva sperimentato la potenza della sua parola, quando gli aveva guarito la suocera (Lc. 4, 38). Il risultato è stupefacente per l’abbondanza inattesa di frutto, e comincia un movimento concitato. Simone si trova (quasi senza accorgersene) a condurre una operazione di comunione, chiamando gli altri ad associarsi nella sua impresa, provocata dal maestro. Il pensiero a Gesù viene solo dopo la condivisione, gioiosa e faticosa, del miracolo. L’esperienza di Gesù allora si fa vera, consapevole, trasformante: una vocazione. Gesù non è più Gesù, ma il «Signore» che si è manifestato. Manifestandosi ha permesso a Simone di essere quello che era: un pescatore. E un peccatore. Non si tratta di un giudizio morale: qui si parla della distanza («allontànati da me») dell’uomo da Dio; dello stare al proprio posto, del capire la verità della propria persona di fronte a Dio che la fa essere, la realizza, laddove i propri sforzi non portano che delusione e senso di fallimento. Ecco quel che succede a Simone e agli altri. È una esperienza che lascia senza fiato, e lo stupore, infatti, attanaglia Simone e gli altri. Gesù tranquillizza, con un benevolo sorriso e con il «non temere» degli ‘inizi’, che ci ricorda Maria e la sua esperienza, guarda caso, di fiducia incondizionata nella Parola dell’angelo. Per Simone è davvero un nuovo inizio: il suo mestiere ora è quello di «catturare vivi» gli uomini, invece che i pesci. Ospitare Gesù è stato bello. Ora Simone è ospitato da Gesù nella sua avventura: l’impresa del Regno, che è solo di Dio, e viene con la forza della Parola di Dio. È una impresa in cui sono coinvolti i «soci», cioè «quelli che sono in comunione» con lui e con Gesù: è la Chiesa.
Noi siamo tutti lì, in quella barchetta che quasi affonda, ma non affonda, perchè c’è Gesù. In quella barca facciamo anzitutto l’esperienza personale della fiducia nella Parola di Gesù. È provocante la reazione dei primi chiamati, la loro fede, la loro trasformazione, espressa in modo essenziale dall’evangelista da quel «lasciarono tutto e lo seguirono». Gesù ci chiama tutti a fondarci sulla sua parola, ovunque siamo, qualunque sia il nostro compito nel regno. Ogni sforzo, ogni fatica, ogni progetto e iniziativa saranno efficaci se fondate sul senso che Gesù da alla nostra storia. Esiste qualche spazio escluso, qualche compartimento stagno in cui possiamo sentirci legittimati a non interessarci del Regno? Correremmo invano.
In quella barchetta facciamo anche noi, proprio oggi, l’esperienza di essere in comunione, di affidarci insieme al maestro, perché è il Signore. Siamo stati «catturati vivi», cioè salvati laddove eravamo perduti, perdonati quando eravamo peccatori, riempiti di stima nel momento in cui nulla ci pareva aver senso e condividiamo la voglia di continuare questa pesca, guidati da un Pietro rinnovato e completamente affidato al Signore, con i suoi collaboratori. ‘y�