Siamo sicuri?

Commento al Vangelo del 3 febbraio 2019.

 «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»: riascoltiamo anche in questa domenica l’affermazione consolante di Gesù. Siamo nell’oggi della salvezza. Non dobbiamo attendere la rivelazione di Dio, il suo intervento, la sua vicinanza. Dio Padre ha già preso posizione nella storia nella persona del suo Figlio, che noi abbiamo incontrato e che amiamo perché ci ha apre gli occhi, ci libera dal peccato, ci ripete senza stancarsi la sua Parola stracarica di sapienza. Attendiamo, certo, il compimento definitivo della risurrezione della carne e dei cieli e terra nuovi, ma siamo sicuri della pienezza di presenza del Signore risorto.

… siamo sicuri? Forse stiamo camminando verso una consapevolezza maggiore ed una adesione di fede a lui più calorosa. Siamo sempre un po’ come i compaesani di Gesù, gli abitanti di Nazaret che lo hanno ascoltato nella sinagoga (Lc 4,21-30). La sua parola li ha riempiti di stupore: «erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca». Ma a Gesù non basta che le sue parole siano riconosciute come buone: desidera instaurare un rapporto speciale, nuovo, intensissimo con loro. E con noi. E loro, quelli di Nazaret, non capiscono, non ci stanno. Per loro Gesù è semplicemente il «figlio di Giuseppe». Non può pretendere di essere di più. Sembrano dire: «Ma come: t’abbiamo sempre visto in paese, sei uno di noi, sei uno come noi… come ti salta in mente tutt’a un tratto di essere quello che realizza le promesse dei profeti?! Non abbiamo mica bisogno di te!». Un misto di incredulità e di invidia.

Gesù rincara la dose, stuzzicandoli nella loro incredulità e leggendo le pretese del loro cuore: a loro al massimo interessa sfruttarlo per i miracoli («medico cura te stesso: fa’ anche a noi i miracoli che hai fatto a Cafarnao!»). E rincara la dose richiamando due esempi della storia della salvezza, nella quale non gli israeliti, ma degli stranieri sono stati salvati da Dio: la vedova di Sarèpta di Sidone sopravvissuta alla carestia grazie a Elia che le ha pure risuscitato il figlio (1Re 17,7-24), e il militare Siro Naaman, lebbroso guarito da Eliseo (2Re 5,1-19). Pensano di avere l’esclusiva del rapporto con Dio, di essere già a posto così, e non s’accorgono che Dio fa quel che vuole per tutti. Non si lasciano sfiorare dal progetto universale di salvezza del ‘loro’ Dio. Addirittura si incavolano con Gesù e lo vogliono far fuori buttandolo giù dal monte…

Veniamo a noi, per lasciarci stuzzicare da Gesù, che ci vuole bene e desidera accrescere la nostra fede, cioè la nostra adesione a Lui.

Ci chiede se le sue parole sono davvero meravigliose per noi o rimangono semplicemente parole belle ma non incisive nella nostra vita.

Ci chiede se siamo «in grado di comprendere quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» del suo amore (cf. Ef 3,18) o se ci accontentiamo di una vaga conoscenza di lui.

Ci chiede se ci rendiamo conto di essere nell’«oggi» della salvezza, o se continuiamo a ritenere, in fondo, che Dio sia piuttosto lontano.

Ci chiede se pretendiamo da lui dei miracoli che mettano a posto meccanicamente i casini della nostra vita o se desideriamo prima di tutto la salvezza che consiste in un rapporto indistruttibile con lui che è morto e risorto per noi. Ci chiede se siamo aperti e attenti alla enormità della salvezza che lui propone a tutti gli uomini o se ci chiudiamo nella intimità della nostra (presunta) fede senza interessarci delle vedove e dei lebbrosi che, vicino a noi o in giro per il mondo, Dio ama e vuole salvare.