Commento al Vangelo del 2 settembre 2018.
Il Signore ci dà oggi una grande lezione sulla fede e su come è fatta la nostra persona (Mc 7,1-8.14-15.21-23). Tutto parte da una osservazione degli scribi e dei farisei, che notavano come i discepoli di Gesù mangiavano senza essersi ben lavate le mani. E non era una questione semplicemente igienica: secondo la ‘tradizione degli antichi’, lavarsi le mani aveva un significato di purezza spirituale. Era uno dei tanti precetti che via via si erano accumulati nella spiritualità giudaica, nel tentativo di tradurre nella vita quotidiana la grande esperienza della fede e cioè della alleanza con Dio.
Gesù denuncia un problema: si fa confusione tra i ‘precetti degli uomini’ e ciò che conta veramente, cioè l’atteggiamento del cuore nei confronti di Dio. Citando Isaia, sferza i suoi interlocutori che vivono nell’ipocrisia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me». Parole sferzanti anche per noi, che viviamo continuamente lo stesso rischio: di pregare solo con le parole, di vivere la fede come una serie di pratiche religiose esterne, di partecipare magari alla Messa in modo superficiale, di ridurre la preghiera ad un mucchio di formule devozionistiche… Viviamo il rischio di non stare cuore a cuore con il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, di non ascoltare con profondità la sua Parola, di non ispirare veramente le nostre scelte quotidiane a ciò che ci suggerisce il Signore. Allora anche noi viviamo nella ipocrisia: nascondiamo la nostra mancanza di fede autentica dietro ad una facciata di abitudini religiose.
Quanto ci dà fastidio quando vediamo questa cosa negli altri! E quanto scandalo crea questa ipocrisia: forse tanti non sono attratti dalla Chiesa e dai cristiani proprio perché vedono questa doppiezza, questa superficialità, questa mancanza di un rapporto autentico con il Signore risorto che cambia la vita!
Il rapporto con Lui certo si deve esprimere in forme concrete, chè noi siamo fatti di carne e ossa. Ma queste forme possono essere variabili a seconda dei linguaggi, delle culture, dei tempi storici. Non possiamo assolutizzare una forma devozionale, o una modalità di celebrare la Messa. La Chiesa ci accompagna di tempo in tempo ad esprimere in modo adeguato la preghiera comunitaria e personale, e sta a ciascun cristiano il dovere di essere attento a ciò che è veramente importante: l’alleanza personale, la comunione con la Trinità.
La seconda grande lezione che Gesù ci dà oggi riguarda la struttura della nostra persona e il rapporto con ciò che può farci del male. Nel contesto di allora, Gesù è rivoluzionario: c’era la convinzione che mangiare o anche solo toccare certe cose rendesse ‘impuri’, cioè non limpidi davanti a Dio e incapaci di comunione con Lui. Ma il Signore assicura che non è così, e lo fa in modo insistente, spostando l’attenzione dall’esterno all’interno, al cuore. È vero che ci sono cose malvagie al di fuori di noi, ma ciò che è più pericoloso è la serie di ‘propositi di male’ che abitano già il nostro cuore malato, per via delle conseguenze del peccato. È lì che bisogna puntare gli occhi e lasciarsi guarire. È lì che punta il Signore. Avere fede vuol dire lasciare che il Signore metta in ordine il cuore, trattenendo ciò che assomiglia al suo ed estirpando ogni giorno ciò che è distante da lui e dalla sua Parola. Spesso tendiamo anche noi a scaricare il barile e a dire che le cose sbagliate in noi dipendono dagli altri o dal contesto in cui viviamo… ma dobbiamo imparare che nulla ci può far male se viviamo nella libertà di amare, di far uscire da noi solo ciò che vuole il Signore. Come è successo a Lui: nella sua passione tutto dall’esterno era contrario, ma lui ha reagito solo amando…