Solo Tu hai parole di vita!

Commento al Vangelo del 26 agosto 2018.

Il lungo e stupendo capitolo sesto del racconto di Giovanni ci ha aiutato a contemplare Gesù, il pane della vita, e il suo desiderio di comunicarsi a noi personalmente (mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue) per darci la sua stessa vita eterna, definitiva, piena della felicità della Trinità, della comunione tra il Padre e il Figlio e lo Spirito. Parole forti, quelle di Gesù, che non si presenta come una delle tante possibili proposte di vita, ma come l’unica via per una vita piena e matura e in-finita nell’amore.

Racconta Giovanni (6,60-69) che molti dei discepoli reagirono prendendo le distanze: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». E «tornarono indietro e non andavano più con lui». Ci sentiamo interpellati. Oggi. Il Signore Gesù è risorto ed è presente. E ci parla con la stessa forza e freschezza di allora. E si mette sempre a disposizione in modo totale e integrale. Ne è segno sacramentale (cioè vivo ed efficace) l’esperienza della Messa, nella quale si offre generosamente come pane della vita che dà forza, come Parola che ci dà sapienza di vita.

Che facciamo?

Forse stiamo già seguendo Gesù e come Pietro gli ripetiamo che non abbiamo trovato nessun altro come Lui, capace di saziarci e di consolarci, di metterci quotidianamente in un orizzonte di senso per quel che diciamo e facciamo. Allora gli confermiamo la nostra disponibilità  a lasciarci istruire e nutrire ogni giorno. Dobbiamo farlo personalmente e anche come comunità. Pietro parla al plurale, a nome dei Dodici: ci sentiamo anche noi uniti nella sequela, uniti al Papa e ai Vescovi successori degli Apostoli, che ci danno la sicurezza di ascoltare veramente il Signore morto e risorto per noi.

Forse stiamo seguendo Gesù, ma in modo un po’ formale e superficiale, limitandoci ad una pratica religiosa che ispira la nostra vita solo su certi punti, mentre su altri ‘torniamo indietro’ e non lo assecondiamo. Ci sono cose belle, ma anche molto difficili nel Vangelo. E ci può capitare di dire: «Gesù, su questo non ti sto proprio dietro…». Mettersi sempre al sevizio, perdonare di cuore, guardare agli altri con compassione, vivere con Lui la sofferenza e offrirla per il bene degli altri, testimoniare con serenità e fermezza di appartenere a Lui, vivere la povertà di spirito e la condivisione dei beni, essere profeti del Regno… Personalmente e come comunità dobbiamo interrogarci seriamente sul rischio di seguire Gesù a part-time, quando ne abbiamo voglia o quando ci fa comodo, facendone un Dio a nostro uso e consumo, da ricercare e amare solo quando pensiamo di averne bisogno.

Forse, più radicalmente, queste parole ci scuotono ancora di più e ci mettono a nudo, ci aiutano a scoprire che non stiamo affatto seguendo il Signore e, in fondo, stiamo organizzando la vita per conto nostro. E Gesù e la sua Parola ci appaiono come dei corpi estranei, messi lì un po’ per abitudine, un po’ per tradizione… Non viviamo una relazione profonda con Lui, non chiediamo a Lui cosa ci propone per il nostro vivere quotidiano in famiglia, nel lavoro, nei rapporti con gli altri. Diciamo «sia fatta la tua volontà», ma sono parole senza contenuto vero, alle quali non corrisponde la riflessione, la ricerca, l’ascolto, la rilettura della nostra vita. Anche qui, passando dalla vita personale a quella della comunità, possiamo pensare alla debolezza di incisività della Chiesa nel tessuto delle relazioni civili, nella cultura, nella impostazione di una società solidale o di una economia di condivisione.

Appartenere a Gesù è una cosa seria. Ed è una questione di libertà. Una libertà garantita proprio dal Signore, che non vuole nessuno legato a lui per forza. L’amore può essere vissuto solo nella libertà. Quel «volete andarvene anche voi?» detto da Gesù ai Dodici è emblematico