Spendersi per la vita del mondo

Commento al Vangelo del 19 agosto 2018.

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Gesù con queste parole, continua a rivolgersi alla folla di Galilea e ai discepoli, nella seconda parte del lungo discorso sul Pane di vita che in queste domeniche estive la liturgia ci propone (Gv 6,51-58). Egli si è presentato come il pane venuto dal cielo, la sua origine è da Dio, così come la Parola discende dal cielo. In questo contesto, egli presenta la sua morte come un dono, fonte di vita nuova per coloro che credono. La «carne» è la sua condizione mortale, la sua incarnazione e il fine della sua esistenza: il donarsi per la salvezza degli uomini. Ecco il senso della frase che ha suscitato non poche perplessità nei Giudei, in particolare su quel farsi mangiare da parte di Gesù. C’è da tenere conto, infatti, che simili discorsi, ai tempi in cui vennero pronunciati, non risultavano immediatamente comprensibili e razionali. Per noi il riferimento eucaristico è chiaro, come altrettanto chiara appare l’intenzione da parte del Maestro di ribadire l’importanza di mangiare la sua carne, di bere il suo sangue perché l’uomo abbia «la vita eterna», ossia possa aderire a quel progetto di vita piena, realizzabile nell’oggi. Inoltre, continua Gesù, «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui». Dio attraverso il suo Figlio desidera rinsaldare la comunione, l’amicizia con l’umanità e, proprio attraverso quel pane eucaristico, la creatura e il Creatore diventano una cosa sola nel Figlio. Quel rimanere è l’espressione della fede, dell’adesione profonda e autentica dei discepoli verso Colui che si lascia mangiare, verso il Figlio che non ha disdegnato di farsi uomo per salvare l’umanità. È sempre Gesù poi ad affermare: «colui che mangia me vivrà per me». Dare senso alla propria esistenza, nell’alleanza d’amore con il Signore, non può non contemplare il modellare la nostra vita su quella di Cristo, attraverso la logica del dono. È il «realismo della dimensione sociale del Vangelo» come lo definisce papa Francesco nella Evangelii Gaudium, cioè il comprendere come «l’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri». Il nutrirci di Lui e il dimorare in Lui, non possono perciò solamente limitarsi al “fare”, ad una solidarietà “laica” slegata dall’esempio di Gesù. Così come è impensabile, alla luce di quanto la Parola ci ha rivelato, fare la comunione per vivere un’esperienza d’intimità spirituale relegandola alla sola sfera privata. Accogliere Cristo significa imparare a condividere, a lasciarsi interrogare, in modo intelligente dalle vicende spesso tragiche dell’umanità, facendo sì che quella carne e quel sangue diano forma autenticamente evangelica al pensare e all’agire. È una proposta di vita nuova che può generare resistenze, come successo ai giudei, oppure può rinnovare, nell’orizzonte dell’eternità, l’esistenza di quanti veramente mangiano la sua carne e bevono il suo sangue.

don Francesco