Commento al Vangelo del 7 febbraio 2016.
Dopo l’annuncio programmatico nella sinagoga di Nazaret, Gesù scende a Cafàrnao (sulle sponde del lago di Tiberiade, a una cinquantina di chilometri da Nazaret) per iniziare a dare concretezza all’annuncio del Regno con parole e segni prodigiosi: predica anche qui nella sinagoga, libera un uomo posseduto da uno spirito impuro, viene ospitato nella casa di un certo Simone (a pochi passi dal lago) e lì accoglie e guarisce un sacco di gente ammalata. Sta in mezzo alla gente, Gesù. Passa lungo la riva, dove lavorano i pescatori e dove si andava a comprare il pesce. E annuncia la parola, radunando attorno a sè molti, curiosi di ascoltare la parola di Dio. Per farsi ascoltare meglio da tutti, chiede a Simone la cortesia di usare la sua barca come una specie di pulpito. Non è questione solo di ‘amplificazione’. Gesù ha in mente qualcos’altro! Nel suo programma c’è l’idea di cominciare a radunare attorno a sè alcuni discepoli che condivi-dessero più da vicino la sua avventura missionaria (Lc 5,1-11). Simone e i suoi ‘soci’ sono tra questi. E la loro chiamata è raccontata come una profonda esperienza di incontro con Gesù: una esperienza che mette a nudo l’umanità di Simone, travolto dalla proposta del Signore. Certo Simone conosceva già il maestro di Nazaret, che sulla barca, terminata la sua omelia alla gente, lo invita a prendere il largo (letteralmente ad andare «verso il profondo») e a gettare di nuovo le reti. Probabilmente Gesù sapeva che tutta la notte aveva pescato e non aveva preso nulla. Non vuole prenderlo in giro: lo conduce tuttavia ad ammettere la sua fragilità e l’infruttuosità dei suoi sforzi. Chissà se Simone si rendeva conto della portata della sua risposta: forse avrà detto quel «sulla tua parola getterò le reti» per semplice cortesia nei confronti del Maestro, che era un falegname e non un pescatore. Avrebbe certamente compreso poi che quelle parole significavano (per lui e per noi) una fiducia piena nel Signore e nella sua Parola, significavano uno stile di vita, quello del discepolo che impara a parlare e ad agire sotto la guida dello Spirito Santo. Infatti la pesca è incredibilmente fruttuosa, e Simone passa dal fallimento della notte al frenetico coinvolgimento dei suoi soci e delle loro barche per portare a terra la «quantità enorme di pesci»: una chiamata personale e comunitaria insieme, quella di Gesù…
Mentre chiama l’altra barca, mentre questa si avvicina, mentre assieme a Giacomo e Giovanni riempiono le barche, chissà quali ragionamenti fa Simone fra sé e sé.
Nel tumulto inaspettato della pesca miracolosa, si fa strada una verità inattesa… L’esito è una chiara percezione di sé a partire dalla più chiara percezione di Gesù. Coglie la distanza infinita da Lui, che pure era stato gradito e amichevole ospite in casa sua e nella sua barca. Prima lo aveva chiamato «Maestro». Qui lo chiama «Signore». Il Maestro si staglia ora davanti a Lui come il Signore che parla con fascino e autorevolezza, ma soprattutto che ha una parola efficace, che compie quel che dice, che fa qualche cosa per lui, povero pescatore stanco di una notte inutilmente insonne. Questo Maestro c’entra con Dio. E sente, Simone, davanti a Dio, tutta la sua debolezza, la sua insufficienza: di più, il suo peccato. Forse gli affiorano alla memoria le parole dei profeti ascoltate nella sinagoga, «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6,5).
Immediatamente il Maestro, il Signore, rassicura Simone, con le sue parole preferite: «Non temere». È il ritornello della Bibbia. Dio si rivela certo nella sua grandezza, ma la sua grandezza è la misericordia, la premura per tutti. Gesù, il Figlio di Dio non vuol far paura a nessuno. Vuole che tutti entrino nella rete del suo regno. Vuole che tutti si rendano conto di essere figli e fratelli, invitati a stare in famiglia, e in vista di questo aiutati a rendersi conto di essere peccatori, distanti dal Padre. Vuole che ci rendiamo conto che senza di lui non possiamo far nulla. Per questo chiama Pietro. Un pescatore. Commenta S. Agostino: «Il senatore potrebbe gloriarsi di se stesso, e così il retore e l’imperatore, mentre il pescatore non potrà gloriarsi se non di Cristo. Venga dunque [il pescatore] e questo sia per dare una lezione di umiltà salutare. Venga per primo il pescatore. Per suo mezzo sarà più facilmente guidato anche l’imperatore. Tenete in mente il pescatore santo, giusto, buono, pieno di Cristo. Insieme con gli altri popoli anche questo doveva essere preso dalle sue reti allargate per tutto il mondo». (Disc 43,6).