Liberàti dal buon pastore, per amare davvero

Commento al Vangelo e omelia del 30 aprile 2023.

Dopo le settimane di contemplazione di Gesù risorto e degli incontri vivacissimi con i primi discepoli, torniamo a seguire nel racconto di Giovanni ciò che prima della Pasqua il Signore ha detto di sé, per farsi conoscere e per farsi amare. Oggi usa i simboli molto belli del pastore e della porta (Gv 10,1-10). Il contesto in cui ha pronunciato queste parole è quello del tempio di Gerusalemme e della discussione con i capi religiosi: nel tempio entravano gli ebrei per offrire i loro sacrifici di comunione e di richiesta di perdono, per entrare in contatto con Dio che ama il suo popolo. Ma chi gestiva il tempio, dice Gesù, era diventato ladro e brigante: sfruttava e opprimeva il popolo sfruttando la religiosità della gente per farsi gli affaracci propri. Un potente richiamo per chi anche oggi, sia sul piano religioso che su quello amministrativo e politico, vive secondo logiche di potere e cerca il proprio interesse a scapito della gente, specialmente dei poveri. Un sistema di potere di ladri e briganti, più o meno incravattati, gestisce anche oggi immense risorse, che sono nelle mani di pochissime persone nel pianeta, a fronte di una popolazione mondiale che in grandissima parte versa in condizioni di povertà.

Gesù contesta coraggiosamente quei falsi capi. E per questo sa che andrà a finire male, che dovrà dare la sua vita. Ma lo fa con molta serenità, con molta chiarezza, senza mezze misure. Perché lui è un pastore buono, che guarda alle sue pecore con attenzione e premura. Il rapporto che Gesù, il figlio di Dio risorto, vuole tessere con ciascuno uomo e donna è un rapporto personale, di consocenza reciproca, di ascolto e riconoscimento. La sua voce buona e rispettosa e rassicurante risuona continuamente, anche oggi, nella Parola e nella Chiesa. Quando si riconsoce questa voce la si ascolta volentieri e volentieri ci si lascia guidare. Perché è una Parola, quella del risorto, che libera. Gesù è un pastore che vuole ‘condurre fuori’ dal recinto della schiavitù e della oppressione. È un pastore rispettoso della libertà e costruttore della libertà, cioè di quella condizione personale nella quale ci si può muovere senza costrizione per il bene di sé e degli altri. Non è una condizione di libertinaggio, di libertà fine a se stessa, secondo cui ognuno fa ciò che vuole: è molto di più, cioè la possibilità di determinarsi con autonomia nel dare la vita per gli altri. Proprio il contrario dei ladri e briganti che sfruttano la vita degli altri perché vogliono solo rubare, uccidere e distruggere.

Anche con l’immagine della porta Gesù ci dice cose simili. Solo lui può dare accesso ad una vita piena, libera, vivace. Se si vuole entrare nella autenticità e nella maturità della propria persone, bisogna passare attraverso di lui, la sua dolce amicizia, la sua profonda e affettuosa accoglienza, la sua stima, la sua sapienza. Il Risorto non vuole massificarci, lobotomizzarci, spegnere le nostre persone: qui quando si parla di pecore, non ci si riferisce alla uniformazione dei pecoroni! Ci si riferisce ad un rapporto di cura e di premura che solo il Signore può offrirci, per entrare adesso in una vita matura e piena di un amore libero, preparazione all’ingresso definitivo nella vita eterna della Trinità e del Paradiso.