Esercizi spirituali di Quaresima – 1° marzo 2023
Disinstallarsi
Il video dell’incontro del mattino
Il video dell’incontro della sera
Il podcast dell’incontro del mattino:
Genesi 12,1-7
Il Signore disse ad Abram:
“Vattene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.
Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra”.
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei.
Il Signore apparve ad Abram e gli disse: “Alla tua discendenza io darò questa terra”. Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso.
Ciò che questa Parola dice ad Abramo consiste in una chiamata e in una promessa. È prima di tutto chiamata ad uscire dalla propria terra, invito ad aprirsi a una vita nuova, inizio di un esodo che lo incammina verso un futuro inatteso. La visione che la fede darà ad Abramo sarà sempre congiunta a questo passo in avanti da compiere: la fede “vede” nella misura in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla Parola di Dio. Questa Parola contiene inoltre una promessa: la tua discendenza sarà numerosa, sarai padre di un grande popolo (cfr Gen 13,16; 15,5; 22,17). È vero che, in quanto risposta a una Parola che precede, la fede di Abramo sarà sempre un atto di memoria. Tuttavia questa memoria non fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via. Si vede così come la fede, in quanto memoria del futuro, memoria futuri, sia strettamente legata alla speranza. (Lumen Fidei)
Una forma dell’inquietudine sana è stata definita da Papa Francesco col termine ‘Disinstallarsi’ tradotto ufficialmente in italiano con ‘lasciare la situazione di essere sistemati’. La mobilità è esattamente il contrario della ‘stabilitas’benedettina. Secondo Francesco se la chiesa facesse dello spazio e della sua occupazione il criterio fondamentale della propria esistenza, allora sarebbe solo un’altra forma di potere.
La chiesa trionfante in questo mondo trasforma la faith in fight… la fede in combattimento. Le questioni serie nei consigli pastorali, tutti intenti all’organizzazione, rischiano di restare fuori dalla porta e dalle teste. Noi siamo discepoli e la traduzione letterale del termine è: studentelli. Sulle questioni dell’essere vivi, rimaniamo eterni studenti.
Il tempo futuro della chiesa non è possesso rassicurante; come nel caso di Abramo, invece, è suspense. C’è una grazia nascosta nell’essere una chiesa piccola, un piccolo gregge in movimento senza troppe certezze. Una grazia che evidentemente ci spaventa. La logica dell’evento esige il numero, il disistallarsi della fede genera una certa selezione. Talvolta imbarazzante! Il capitolo sesto del vangelo di Giovanni potrebbe essere letto come il catalogo delle contro indicazioni di un bravo influencer con i suoi followers. Ma se leggete quel vangelo, quelli che restano, per quanto lenti (Pietro è il santo patrono dei lenti), parlano finalmente di vita.
Cosa significa disistallarsi allora? Forse le tanto vituperate Unità Pastorali non sono una forma di organizzazione più nevrotica e complessa della precedente. Forse possono essere il principio di una sana disorganizzazione, in vista di una maturità della fede comunitaria. Di una crescita che avviene dentro la crisi benedetta di un modello di chiesa, dove il ritualismo e la sacramentalizzazione rischiano anche oggi di essere più importante dell’evangelizzazione.
Il seme ha lo stesso problema della bollicina di acqua Lete. Se potesse parlare direbbe: ‘c’è nessuno?’ e ci racconterebbe di come si sente solo, abbandonato, al buio. Eppure, sta generando vita. L’occupazione di spazi più decisiva dei processi generativi è un problema della chiesa, quando non si trasforma in un dramma. Disinstallarsi è la dinamica contraria del colonialismo. Si tratta di cambiare letteralmente mentalità, una nuova forma mentis. Ma non è forse questo il cristianesimo? E non è la nostra vita un paradosso, come ci siamo detti: ‘morire per vivere… perdere per conquistare…’
Domande
La chiesa oggi non ha bisogno di un calcio dello Spirito? Non essere autosufficienti nella propria comunità non è forse un primo modo di essere aperti al futuro? Allora perché pensiamo sia un difetto? Come può accadere che un seme si senta totipotente quasi fosse l’albero intero? Ovvero cosa ci impedisce di metterci in movimento come comunità, ritenendo di essere già completi e soddisfatti?
Le frasi da tenere a mente
la maturazione della crescita umana avviene passando da una crisi all’altra.
“L’obbedienza della fede assomiglia somiglia di più all’ascolto fatto di attesa di un quartetto d’archi di Beethoven che non all’obbedienza dovuta alla polizia. È una risposta alla forza autorevole del suo significato che riecheggia nella nostra umanità in cerca di senso.