Risurrezione, Giudizio, Paradiso

Omelia nella Messa su Lc 20,27-38

A commento del brano evangelico di oggi (Lc 20,27-38: in polemica con i sadducei, che non credevano nella risurrezione, Gesù afferma la verità della continuità della vita dopo la morte, perché «Dio non è dei morti, ma dei viventi!») ascoltiamo qualche stralcio di una interessantissima intervista al Cardinale Giacomo Biffi sull’aldilà.

Con la morte finisce tutto?

Il problema è molto interessante, drammatico e inevitabile, perché i casi sono due: con la morte o si va a finire nel niente o si va a finire nella vita eterna. Le altre soluzioni sono forzatamente provvisorie. Io so già che tra qualche anno o andrò a finire nel niente o andrò a finire nella vita eterna. Ma se andrò a finire nel niente, io vivo già adesso per niente; cioè, se l’approdo dell’esistenza è il niente, anche la sostanza dell’esistenza è il niente, e questa è un’assurdità. Che qualcosa debba venire dal niente solo per tornare nel niente, è una contraddizione.

Che cosa succede di noi un istante dopo la nostra morte?

Io so quello che mi è stato detto da chi è venuto dall’altra parte. Vede, il dramma del problema escatologico è che esso è inevitabile; tutti lo sentono, ma nessuno viene da là a qui. Nessuno, tranne uno, che è Gesú Cristo. Io so quello che mi ha detto lui. Mi stupisce molto quando trovo della gente che su queste cose parla a titolo personale, secondo le proprie idee. Io credo che il principio di Wittgenstein – “di ciò di cui non si può parlare si deve tacere” – valga soprattutto per questo tipo di problemi. Io so quello che mi ha detto Gesú Cristo: Gesú mi ha detto che al di là c’è subito lui, cioè lui è l’approdo dell’esistenza umana.

Il corpo è lí: se ne può fare qualsiasi cosa o c’è un trattamento particolare consigliato in vista del giudizio universale? Voglio dire, può essere inumato, incenerito…?

No, non è cosí. Il rapporto con Cristo non può essere determinato dalle condizioni delle membra fisiche: è determinato dal valore interiore. Certo, il rapporto con Cristo sarà totalizzante, cioè il destino che ci è stato riservato è quello di una totale assimilazione a Lui, nella sua condizione di figlio di Dio; e quindi anche nella sua condizione di risorto. Perciò anche il corpo partecipa a questo destino eterno.

Noi immaginiamo molto spesso che le anime, una volta che sono staccate dal corpo, vaghino oppure siano in sonno…

Se dopo la morte c’è Cristo, ci si incontra con Cristo immediatamente. Il valore di un uomo dipende dalla sua vicinanza o lontananza dall’archetipo, dal modello dato all’umanità, che è Cristo. Al momento della morte, quando gli occhi si chiudono, gli occhi si aprono e si vede se si è vicini o lontani da Cristo: questo è il giudizio.

E il giudizio universale cos’è?

Il giudizio universale potrebbe essere un falso problema: nel senso che, se è vero che al di là del tempo non c’è il tempo, non è molto importante distinguere il giudizio particolare e il giudizio universale come se fossero temporalmente separati. Cioè, ambedue sono costituiti nell’unico istante che è quello dell’eternità.

A chi tocca e in che cosa consiste il Paradiso? Che cos’è?

Il Paradiso è Cristo, cioè è l’inserimento pieno, totale, definitivo in Cristo. Un inserimento c’è già con la vita cristiana, col battesimo con la vita di grazia… eccetera. Però con due differenze: di non essere percepibile esperienzialmente e di poter essere perduto. Da una parte, ci si può staccare da Cristo in questa vita…; dall’altra parte, si esperimenta questo inserimento in Cristo, ed è definitivo: è inserirsi nella vita trinitaria, quindi con la conoscenza che è propria di Dio, con l’amore che è proprio di Dio, con la felicità che è propria di Dio.

Questo Paradiso è davvero in cielo, come si dice?

No, non lo si può localizzare. Localizzare il Paradiso è come localizzare Dio. Si può dire che Dio sia in Argentina o in Danimarca? No. Il Paradiso è una dimensione dell’essere. Noi partecipiamo a questa dimensione dell’essere divino.