Medita anche tu con S. Agostino e condividi…

Un invito a tutti, in occasione della festa di S. Agostino:

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1. Il Signore ha avuto misericordia di noi

Dai «Discorsi» di sant’Agostino (Disc. 23 A)

     Siamo veramente beati se, quello che ascoltiamo, o cantiamo, lo mettiamo anche in pratica. Infatti il nostro ascoltare rappresenta la semina, mentre nell’opera abbiamo il frutto del seme. Premesso ciò, vorrei esortarvi a non andare in chiesa e poi restare senza frutto, ascoltare cioè tante belle verità, senza poi muovervi ad agire.

     Tuttavia non dimentichiamo quanto ci dice l’Apostolo: «Per questa grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef 2, 8-9). Ribadisce: «Per grazia siete stati salvati» (Ef 2, 5).

     In realtà non vi era in precedenza nella vostra vita nulla di buono, che Dio potesse apprezzare e amare, quasi avesse dovuto dire a se stesso: «Andiamo, soccorriamo questi uomini, perché la loro vita è buona». Non poteva piacergli la nostra vita col nostro modo di agire, però non poteva dispiacergli ciò che egli stesso aveva operato per noi. Pertanto condannerà il nostro operato, ma salverà ciò che egli stesso ha creato.

     Dunque non eravamo davvero buoni. Ciò nonostante, Dio ebbe compassione di noi e mandò il suo Figlio, perché morisse, non già per i buoni, ma per i cattivi, non per i giusti, ma per gli empi. Proprio così: «Cristo morì per gli empi» (Rm 5, 6). E che cosa aggiunge: «Ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto», al massimo «ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene» (Rm 5, 7). Può darsi che qualcuno abbia la forza di morire per il giusto. Ma per l’ingiusto, l’empio, l’iniquo, chi accetterebbe di morire, se non Cristo soltanto, che è talmente giusto da poter giustificare anche gli ingiusti?

     Come vedete, fratelli, non avevamo opere buone, ma tutte erano cattive. Tuttavia, pur essendo tali le opere degli uomini, la misericordia divina non li abbandonò. Anzi Dio mandò il suo Figlio a redimerci non con oro né con argento, ma al prezzo del suo sangue, che egli, quale Agnello immacolato condotto al sacrificio ha sparso per le pecore macchiate, se pure solo macchiate e non del tutto corrotte.

     Questa è la grazia che abbiamo ricevuto. Viviamo perciò in modo degno di essa, per non fare oltraggio a un dono sì grande. Ci è venuto incontro un medico tanto buono e valente da liberarci da tutti i nostri mali. Se vogliamo di nuovo ricadere nella malattia, non solo recheremo danno a noi stessi, ma ci dimostreremo anche ingrati verso il nostro medico.

     Seguiamo perciò le vie che egli ci ha mostrato, specialmente la via dell’umiltà, quella per la quale si è incamminato lui stesso. Infatti ci ha tracciato la via dell’umiltà con il suo insegnamento e l’ha percorsa fino in fondo soffrendo per noi.

     Perché dunque colui che era immortale potesse morire per noi, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). L’immortale assunse la mortalità, per poter morire per noi e distruggere in tal modo con la sua morte la nostra morte.

     Questo ha compiuto il Signore, in questo ci ha preceduto. Lui che è grande si è umiliato, umiliato fu ucciso, ucciso risuscitò e fu esaltato per non lasciare noi nell’inferno, ma per esaltare in sé, nella risurrezione dai morti, coloro che in questa terra aveva esaltati soltanto nella fede e nella confessione dei giusti. Dunque ci ha chiesto di seguire la via dell’umiltà: se lo faremo daremo gloria al Signore e a ragione potremo cantare: «Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie, invochiamo il tuo nome» (Sal 74, 2).

2. Chi persevererà sino alla fine sarà salvato

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. Caillau-Saint-Yves 2,)  

Tutte le volte che sopportiamo angustie o tribolazioni, queste costituiscono per noi un avvertimento e nello stesso tempo un mezzo per correggerci. Infatti anche la Sacra Scrittura non ci promette pace, sicurezza e tranquillità; anzi il vangelo non ci nasconde le tribolazioni, le angustie e gli scandali. Assicura però che «chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 10, 22). Dal primo uomo non avemmo alcun bene, anzi ereditammo la morte e la maledizione, da cui doveva venire Cristo a liberarci.

     Perciò non lamentiamoci e non mormoriamo, o fratelli. Ce ne mette in guardia anche l’Apostolo dicendo: «Mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore» (1 Cor 10, 10). Che cosa di nuovo e insolito, o fratelli, patisce ai nostri tempi il genere umano, che non abbiano patito i nostri padri? Anzi possiamo noi affermare di soffrire tanto e tanti guai quali dovettero soffrire loro? Eppure troverai degli uomini che si lamentano dei loro tempi, convinti che solo i tempi passati siano stati belli. Ma si può essere sicuri che se costoro potessero riportarsi all’epoca degli antenati, non mancherebbero di lamentarsi ugualmente. Se, infatti, tu trovi buoni quei tempi che furono, è appunto perché quei tempi non sono più i tuoi.

     Dal momento, infatti, che sei già libero dalla maledizione, che possiedi già la fede nel Figlio di Dio, che sei già stato iniziato e istruito nelle sacre Scritture, non vedo come tu possa pensare che Adamo abbia conosciuto tempi migliori. Anche i tuoi genitori hanno portato l’eredità di Adamo. Ed è proprio Adamo colui al quale fu detto: con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane e lavorerai la terra da cui sei stato tratto; essa spine e cardi produrrà per te (cfr. Gn 3, 19. 18).

     Ecco che cosa ha meritato, che cosa ha ricevuto, ecco che cosa gli ha afflitto il giusto giudizio di Dio. Perché allora credi che i tempi passati siano stati migliori dei tuoi? Considera bene che dal primo Adamo sino all’uomo odierno non s’incontra se non lavoro, sudore, triboli e spine. Cadde forse su di noi il diluvio? Son venuti forse su di noi tempi tanto terribili di fame e di guerre, come una volta e tali da giustificare il nostro lamento contro Dio a causa del tempo presente?

     Pensate dunque che sorta di tempi erano quelli. Sentendo o leggendo la storia di quei fatti, non siamo forse rimasti inorriditi? Perciò abbiamo piuttosto motivo di rallegrarci, che di lamentarci dei nostri tempi.

3. Cantiamo Alleluia progredendo nella santità

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 256) 

1. È piaciuto al Signore nostro Dio che, trovandoci con la nostra presenza fisica in questo luogo, cantassimo in suo onore, insieme alla vostra Carità, l’Alleluia che, tradotto in latino, significa: “Lodate il Signore”. Lodiamo dunque il Signore, fratelli, con la vita e con la lingua, col cuore e con le labbra, con la voce e con la condotta. Dio infatti vuole che gli si canti l’Alleluia senza che vi siano stonature in chi canta. La nostra lingua pertanto deve intonarsi con la vita, le labbra con la coscienza. Voglio dire: le voci siano in armonia con i costumi e non succeda, per ipotesi, che le parole buone suonino condanna dei costumi cattivi. E felice quell’Alleluia che si canterà in cielo dove tempio di Dio sono gli angeli! Ivi l’accordo dei lodatori sarà perfettissimo, come sarà imperitura la gioia dei cantori. Lassù non ci sarà la legge delle membra che contrasta con la legge della mente, non ci sarà la discordia causata dalla cupidigia che mette in pericolo la vittoria della carità. Qui dunque, anche se preoccupati, cantiamo l’Alleluia per poterlo cantare esenti da preoccupazioni. Perché quaggiù preoccupati? E non vorresti che sia preoccupato quando leggo che la vita dell’uomo sulla terra è una tentazione ? Non vorresti che sia preoccupato quando ancora mi si dice: Vegliate e pregate per non cadere in tentazione? Nonvorresti che sia preoccupato quando la tentazione è così diffusa che la stessa nostra preghiera ci obbliga a pronunciare quelle parole: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori ?Ogni giorno supplici, ogni giorno debitori. E vorresti che io resti tranquillo, quando ogni giorno debbo chiedere perdono per i peccati e aiuto di fronte ai pericoli? Riguardo ai peccati commessi dico: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. E subito dopo, in vista dei pericoli imminenti, aggiungo: Non ci indurre in tentazione. E come si trova nella serenità il popolo che, unendosi a me, grida: Liberaci dal male ?Nonostante tutto questo però, o fratelli, sebbene cioè ci troviamo in mezzo al male, cantiamo l’Alleluia al nostro Dio perché è buono e ci libera dal male.

3. Cantiamo Alleluia anche adesso, sebbene in mezzo a pericoli e a prove che ci provengono e dagli altri e da noi stessi. Dice l’Apostolo: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze. Anche adesso, dunque, cantiamo Alleluia. L’uomo resta ancora dominio del peccato, ma Dio è fedele. Né dice che Dio non permetterà che siate tentati, ma: Non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze; al contrario, insieme con la tentazione, vi farà trovare una via d’uscita sicché possiate reggere. Sei in balia della tentazione, ma Dio ti farà trovare una via per uscirne e non perire nella tentazione. Ti si potrebbe paragonare al vaso del vasaio: con la predicazione vieni modellato, con la tribolazione vieni cotto. Ebbene, quando la tentazione t’incoglie pensa che ne uscirai: essendo Dio fedele, il Signore ti custodirà quando entri e quando esci. E poi finalmente il tuo corpo diverrà immortale e incorruttibile, e allora svanirà ogni sorta di tentazione. Si dice che il corpo è morto. E perché è morto? A causa del peccato. Lo spirito, viceversa, è vita, – sono parole dell’Apostolo, che aggiunge anche il perché – a motivo della giustizia. Manderemo quindi in malora il corpo perché morto? No!, ma ascolta: Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che risuscitò Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali. Adesso il nostro corpo è animale, lassù sarà spirituale. In effetti il primo uomo fu creato per essere anima vivente, l’ultimo uomo sarà spirito vivificante. Per questo darà vita anche ai vostri corpi mortali ad opera dello Spirito che abita in voi. Oh felice Alleluia, quello di lassù! Alleluia pronunciato in piena tranquillità, senza alcun avversario! Lassù non ci saranno nemici, non si temerà la perdita degli amici. Qui e lassù si cantano le lodi di Dio, ma qui da gente angustiata, lassù da gente libera da ogni turbamento; qui da gente che avanza verso la morte, lassù da gente viva per l’eternità; qui nella speranza, lassù nel reale possesso; qui in via, lassù in patria. Cantiamolo dunque adesso, fratelli miei, non per esprimere il gaudio del riposo ma per procurarci un sollievo nella fatica. Come sogliono cantare i viandanti, canta ma cammina; cantando consolati della fatica, ma non amare la pigrizia. Canta e cammina! Cosa vuol dire: cammina? Avanza, avanza nel bene, poiché, al dire dell’Apostolo ci sono certuni che progrediscono in peggio 15. Se tu progredisci, cammini; ma devi progredire nel bene, nella retta fede, nella buona condotta. Canta e cammina! Non uscire di strada, non volgerti indietro, non fermarti! Rivolti al Signore.

4. Il desiderio del cuore si spinge verso Dio

 Dai «Trattati sulla prima lettera di Giovanni» di sant’Agostino (Tratt. 4, 6)

Che cosa ci è stato promesso? «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). La lingua si è espressa meglio che ha potuto, ma il resto bisogna immaginarlo con la mente. Infatti cosa ha rivelato lo stesso Giovanni a paragone di colui che è, o che cosa possiamo dire noi creature che siamo così lontane dalla sua grandezza? 

Ritorniamo perciò a soffermarci sulla sua unzione, su quella unzione che ci insegna interiormente quanto non siamo capaci di esprimere in parole. E poiché ora non potete avere questa visione, vostro compito è desiderarla. 

L’intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione. 

Se tu devi riempire un recipiente e sai che sarà molto abbondante quanto ti verrà dato, cerchi di aumentare la capacità del sacco, dell’otre o di qualsiasi altro contenitore adottato. Ampliandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo si comporta Dio. 

Facendoci attendere, intensifica il nostro desiderio, col desiderio dilata l’animo e, dilatandolo, lo rende più capace. 

Cerchiamo, quindi, di vivere in un clima di desiderio perché dobbiamo essere riempiti. Considerate l’apostolo Paolo che dilata il suo animo, per poter ricevere ciò che verrà. Dice infatti: «Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto» (Fil 3, 13). 

Allora che cosa fai in questa vita, se non sei arrivato alla pienezza del desiderio? «Questo soltanto so: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3, 13-14). Paolo ha dichiarato di essere proteso verso il futuro e di tendervi pienamente. Era consapevole di non essere ancora capace di ricevere «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo» (1 Cor 2, 9). 

La nostra vita è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Già abbiamo detto altre volte che per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito dal bene, e quindi devi liberarti dal male. Supponi che Dio voglia riempirti di miele. Se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. Bisogna pulirlo magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa. 

Quando diciamo miele, oro, vino, ecc., non facciamo che riferirci a quell’unica realtà che vogliamo enunziare, ma che è indefinibile. 

Questa realtà si chiama Dio. E quando diciamo Dio, che cosa vogliamo esprimere? Queste due sillabe sono tutto ciò che aspettiamo. Perciò qualunque cosa siamo stati capaci di spiegare è al di sotto della realtà. Protendiamoci verso di lui perché ci riempia quando verrà. «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2).

5. Spirito e carne: le prerogative delle dute città

La città di Dio (XIV, 4. 28)

Vivere secondo spirito e secondo carne.

4. 2. Abbiamo detto che da questo fatto sono derivate due città differenti e contrarie fra di loro, perché vi sono alcuni che vivono secondo la carne e altri secondo lo spirito 19. Si può anche dire in questo senso che alcuni vivono secondo l’uomo e altri secondo Dio. Molto chiaramente in proposito Paolo scrive ai Corinti: Poiché tra di voi vi sono invidia e discordia, non siete forse carnali e non camminate secondo l’uomo? 20.Camminare secondo l’uomo è lo stesso che esser carnale, perché con carne, che è parte dell’uomo, s’intende l’uomo. Poco prima aveva considerato viventi secondo l’anima quelli stessi che poi denomina carnali. Scrive così: Chi degli uomini conosce i valori dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così nessuno conosce i valori di Dio se non lo Spirito di Dio. Noi, continua, non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo Spirito che è da Dio per conoscere le cose che Dio ci ha donato. Ne parliamo anche non con parole insegnate dalla sapienza umana ma insegnate dallo Spirito, perché confrontiamo le cose spirituali alle spirituali. L’uomo naturale non conosce le cose che sono dello Spirito di Dio; per lui sono una sciocchezza 21. Poco dopo Paolo dice a costoro, cioè ai viventi secondo l’anima: Ed io fratelli non vi ho potuto parlare come se foste spirituali ma carnali 22. La frase di sopra e questa sono secondo quel linguaggio figurato che è la parte per il tutto. Dall’anima e dalla carne, che sono le due parti dell’uomo, può essere significato il tutto che è l’uomo, quindi non sono due cose diverse l’uomo vivente secondo l’anima e l’uomo carnale, ma la medesima cosa, cioè l’uomo che vive secondo l’uomo. Così s’indicano gli uomini nel passo: Qualsiasi carne non sarà giustificata dalle opere della legge 23 e: Settantacinque anime si recarono in Egitto con Giacobbe 24. Nel passo di sopra con qualsiasi carne s’intende “qualsiasi uomo” e nell’altro per settantacinque anime s’intendono settantacinque uomini. E invece della frase: Non nelle parole insegnate dalla sapienza umana, sipoteva dire: “non della sapienza carnale”; come invece di: Camminate secondo l’uomo si poteva dire: “secondo la carne”. Più apertamente questo senso è stato evidente nelle parole che Paolo soggiunse: Quando qualcuno dice: Io sono di Paolo, e un altro: Io di Apollo, non mostrate di essere uomini? 25. Il senso che si aveva in: Vivete secondo l’anima e in: Siete carnali è stato espresso con maggiore evidenza con le parole: Siete uomini che significano: “Vivete secondo l’uomo”, non secondo Dio, perché se viveste secondo lui sareste dèi.

Prerogative delle due città.

28. Due amori dunque diedero origine a due città, alla terrena l’amor di sé fino all’indifferenza per Iddio, alla celeste l’amore a Dio fino all’indifferenza per sé. Inoltre quella si gloria in sé, questa nel Signore. Quella infatti esige la gloria dagli uomini, per questa la più grande gloria è Dio testimone della coscienza. Quella leva in alto la testa nella sua gloria, questa dice a Dio: Tu sei la mia gloria anche perché levi in alto la mia testa 157. In quella domina la passione del dominio nei suoi capi e nei popoli che assoggetta, in questa si scambiano servizi nella carità i capi col deliberare e i sudditi con l’obbedire. Quella ama la propria forza nei propri eroi, questa dice al suo Dio: Ti amerò, Signore, mia forza 158. Quindi nella città terrena i suoi filosofi, che vivevano secondo l’uomo, hanno dato rilievo al bene o del corpo o dell’anima o di tutti e due. Coloro poi che poterono conoscere Dio, non lo adorarono e ringraziarono come Dio, si smarrirono nei propri pensieri e fu lasciato nell’ombra il loro cuore stolto perché credevano di esser sapienti, cioè perché dominava in loro la superbia in quanto si esaltavano nella propria sapienza. Perciò divennero sciocchi e sostituirono alla gloria di Dio non soggetto a morire l’immagine dell’uomo soggetto a morire e di uccelli e di quadrupedi e di serpenti e in tali forme di idolatria furono guide o partigiani della massa. Così si asservirono nel culto alla creatura anziché al Creatore che è benedetto per sempre 159. Nella città celeste invece l’unica filosofia dell’uomo è la religione con cui Dio si adora convenientemente, perché essa attende il premio nella società degli eletti, non solo uomini ma anche angeli, affinché Dio sia tutto in tutti 160.