Commento al Vangelo e omelia del 24 aprile 2022.
Che insistenza… dalla dolce bocca del Risorto esce per tre volte il grido «Pace a voi!» (Gv 20,19-31). È il primo pensiero, la prima preoccupazione. È il primo dono che Gesù, vincitore della morte, vuole assicurare ai suoi amici, i discepoli che sono radunati in un luogo a porte chiuse e se lo trovano improvvisamente, gratuitamente in mezzo.
Proviamo a vedere cosa può significare il dono della pace. Un primo aspetto che viene in mente riguarda il rapporto personale che Gesù vuole offrire. Pensiamo alla situazione: i discepoli si erano innamorati del loro Maestro e lo avevano seguito per alcuni anni, imparando, condividendo, contemplando, ricevendo anche qualche bella sgridata… poi lo avevano visto finire nel dramma dell’arresto, del giudizio ingiusto, della crocifissione. E loro si erano tirati indietro, non erano stati capaci di difenderlo, né di accompagnarlo. Avevano avuto paura e lo avevano rinnegato. Ma, forse, si sentivano loro stessi traditi da Gesù: pensavano di averlo capito ma non avevano capito nulla. Avevano scommesso su di lui e si erano trovati soli e arrabbiati. Al suo primo farsi vedere risorto, Gesù ricuce il legame. Non rimprovera di nulla: rassicura sul fatto che lui si sente in pace con loro e vuole che loro si sentano in pace con lui. E mostrando le mani e i piedi mette davanti ai loro occhi il sigillo del suo amore che non è stato fermato da dolore dei chiodi piantati ingiustamente. Le ferite sono come tatuaggi indelebili che dicono: ti amo! Pace a voi, quindi, vuol dire anche: sono disposto a perdonare i vostri peccati, i vostri sbagli, le vostre mancanze d’amore, i chiodi spirituali che mi avete conficcato.
Dopo aver mostrato mani e piedi, Gesù (artista della comunicazione) fa una cosa semplicissima: soffia su di loro. Respira su di loro la sua vita. Come aveva fatto Dio con il primo uomo, Adamo, soffiando sulle sue narici e facendolo ‘diventare un essere vivente’ (cf. Gen. 2,7). Ecco: la pace non è solo la rimozione degli ostacoli alla vita e all’amore (il perdono dei peccati, il trattato a fine guerra), ma è contemporaneamente la condizione di ‘essere vivente’ nella pienezza della capacità di amare. I discepoli non erano morti fisicamente, ma spiritualmente sì: bloccati, chiusi, disorientati. Gesù li rimette nella condizione della gioia di sentirsi amati e li coinvolge in qualche cosa di importante da fare per mettere a frutto la loro persona nel bene: annunciare a tutto il mondo la pace che Dio vuole offrire.
Allargando lo sguardo all’umanità che Gesù ha nella mente e nel cuore, allora, possiamo intuire quale sia la Pace che lui vuole proporre. Sarebbe già molto l’assenza di guerra. Ma è molto di più: è l’impegno di mettere tutti nella possibilità di amare; è l’impegno a tessere relazioni di condivisione e di arricchimento reciproco; è la edificazione di una società che mette insieme le caratteristiche buone di tutti, con la gratuità di chi si sente sicuramente amato dal Signore della vita e della morte.
Nella celebrazione di questa Pasqua, in tutto il mondo, in tutte le Chiese in cui si legge il Vangelo, risuona questo grido sussurrato ad ogni cuore, specie ai cuori di coloro che hanno gravi responsabilità nella gestione del bene comune internazionale.