Commento al Vangelo del 4 ottobre 2020.
Portare frutto. È proprio importante per Gesù. La parabola dei vignaioli omicidi dice tutta la serietà della questione (Mt 21,33,43). Gesù la dice ancora ai ‘capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo’. Dio da un sacco di secoli aveva affidato la sua alleanza al popolo di Israele e ai suoi responsabili, ma questa proposta non aveva funzionato. Già Isaia aveva denunciato: «Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi» (Is 5,7, nella prima lettura di oggi). Cogliamo dalle parole di Gesù il progetto di Dio a riguardo della fede: non una intimistica esperienza sganciata dalla vita, ma una relazione calda e intelligente e vivace, che informa e ispira il modo di vivere. Dio Padre ha questo desiderio e mette a disposizione tutti i suoi doni, lui che è già creatore del mondo e di ogni persona umana. In altre parole, Dio, che è amore, si mette a disposizione dei suoi figli, sperando che il suo amore entri in circolo e sia ricambiato, verso di lui e verso i fratelli.
Questa parola rivolta allora ai capi di Israele è rivolta veramente anche a noi oggi.
A ciascuno di noi. Io sono creatura di Dio: non mi sono fatto da solo e mi ritrovo nella esistenza come dono, arricchito di un sacco di cose belle, dalla dignità della mia persona alle facoltà più profonde di intelligenza, di volontà libera, di affettività. Che faccio di me? Con quale criterio mi gestisco? Quale via seguo? C’è la via dei contadini omicidi della parabola, che non leggono la loro esperienza come dono e si vogliono semplicemente impossessare di tutto. È la via che percorriamo quando vince il nostro egoismo, e per la paura di non essere amati cerchiamo di dominare gli altri spendendo le nostre energie per fregarli o sottometterli a noi. C’è invece la via dello Spirito di Gesù e del Padre: è la via che percorriamo nei momenti in cui ci rendiamo veramente conto di essere amati e vogliamo mettere in circolo le nostre qualità per il bene degli altri.
Questa parola è rivolta a noi come comunità dei discepoli del Signore. Siamo la Chiesa, fatta di persone in cammino, di persone che stanno imparando, di persone che si sentono salvate e raggiunte ogni giorno dalla misericordia del Padre. Ci rendiamo conto che il nostro stare insieme (la comunione), l’ascolto della Parola, il servizio e la liturgia sono regali permanenti della Trinità che ci vuole bene e che ci vuole dare una vita bella adesso e definitiva per l’eternità.
Ebbene, potremmo dare per scontati questi doni, o riceverli con formalità o abitudinarietà, o viverli solo nella dimensione privata, o non condividerli né tra di noi, né con i fratelli e le sorelle con cui viviamo. Saremmo una Chiesa insignificante, per niente incisiva nei rapporti e tantomeno nella ispirazione di una cultura e di una mentalità nuova, evangelica, una Chiesa che quantomeno rimane in silenzio davanti alle attuali, drammatiche situazioni di ‘spargimento di sangue e di grida di oppressi’.
Oppure, come Chiesa, potremmo vivere veramente la condivisione della fede, e ringraziare insieme, e pensare insieme a quello che lo Spirito ci suggerisce per essere fermento di giustizia e di pace nella città in cui siamo seminati, nel mondo al quale apparteniamo e nel quale Dio ci vuole come animatori del Regno.
È una parola rivolta, anche ad ogni persona umana e ci aiuta a guardare bene tutti. Se è vero che ogni persona che è sulla faccia della terra (ogni uomo e donna del nostro condominio, della nostra città) è creata e voluta da Dio, se è vero che ogni esperienza di bene è suscitata (anche segretamente) dallo Spirito, allora questa faccenda del dono e del portare frutto è proprio interessante. Perché impariamo a contemplare l’opera di Dio in tutti. Perché ci facciamo consapevoli che tutti sono candidati a portare frutto (sì, anche i clandestini, violenti, spacciatori e bivaccatori seriali). Perché questo diventa un terreno di dialogo e di incontro e di sintonia e di condivisione anche con chi ‘non viene in Chiesa’. Perché nell’esperienza di questa condivisione può innestarsi il nostro annuncio missionario: l’annuncio di Colui che è l’origine dell’amore (il Padre), di Colui che ha dato la vita perché noi fossimo capaci di viverlo (il Figlio), di Colui che ora soffia continuamente nel nostro cuore la sapienza di un amore fruttuoso (lo Spirito).