Commento al Vangelo del 21 giugno 2020.
Riprendiamo l’itinerario della liturgia feriale: il Signore ci spezzetta la sua Parola di domenica in domenica in questo Tempo ordinario, e noi, da bravi scolari (discepoli) con curiosità lo ascoltiamo, perché vogliamo davvero con-formare la nostra vita alla sua.
In queste domeniche, Gesù ci sta ripetendo le cose che aveva detto inviando i Dodici nella prima esperienza missionaria. Li aveva appena scelti tra gli altri discepoli, e subito li aveva spediti a predicare in giro per i villaggi, annunciando che ‘il regno è vicino’. L’esperienza di conoscenza e di amicizia con Gesù è il contenuto della predicazione, perché il regnare di Dio nella storia si rende concreto proprio nella persona del Figlio che si fa conoscere e offre a tutti la possibilità di una relazione d’amore con il Padre e conseguentemente di una vita bella, buona e giusta.
Nel discorso riportato da Matteo al cap. 10 (Oggi in particolare Mt 10,26-33) capiamo da una parte la gioia e dall’altra la fatica e il dramma di questo annuncio. Gesù è molto chiaro fin dall’inizio, ed è dunque molto chiaro anche con noi oggi. Parlare del Padre e del suo amore e della sua visione giusta del mondo può mettere nei guai. Annunciare la verità di Dio (luce che stana le cose sbagliate, che illumina le magagne e le malefatte) può portare ad essere rifiutati, mal visti, perseguitati. O addirittura uccisi. Ed è successo anzitutto a Gesù stesso. Sentendo lui, dunque, la condizione normale di chi parla di lui annunciando il regno è proprio quella della lotta contro la menzogna e il rischio di esser fatti fuori.
Viene da chiedersi se le cose dette da Gesù siano valide solo per la situazione iniziale dell’annuncio del regno, oppure solo per alcune situazioni particolari della chiesa nelle varie epoche storiche o nei vari luoghi. Ma a sentire lui, pare non possa esistere una esperienza di vita cristiana del tutto tranquilla… Pare che la normalità sia proprio quella del gridare la verità di Dio senza paura. E questo ci provoca tanto nella nostra condizione di chiesa (di comunità parrocchiale) che non pare avere tanti problemi di persecuzione, di emarginazione, di pericolo per la vita. A meno che non impariamo a leggere come forme di persecuzione le situazioni di indifferenza, di presa in giro del nostro essere cristiani, di emarginazione culturale che portano in noi la paura di esporci, di parlare della nostra fede, di annunciare Gesù risorto e il suo stile con le nostre parole e con il nostro modo di vivere.
Gesù rassicura da ogni paura… Ricorda a noi, suoi amici e missionari, che la nostra vita è nelle mani del Padre. Ci ricorda, il Signore, che il valore della nostra persona non sta nel riconoscimento degli altri, nel consenso, nell’applauso che viene dalla gente. Il valore della nostra persona (che è molto più grande di quella dei passerotti che pure sono custoditi dal Padre) sta nell’essere riconosciuti dal Padre e da Gesù stesso.
Che t’importa (sembra dirci il Signore) di quel che pensano gli altri? Che ti importa se quel che dici è scomodo o ti porta a incomprensioni? Che ti importa se non hai successo? Quel che ti deve importare è avere la stima e la benevolenza di chi ha veramente potere su di te: il Padre della vita, dall’amore più grande e più forte della morte. La tua vita definitiva – sembra continuare Gesù – non è nelle mani di quelli di cui cerchi il consenso, o di quelli che possono anche ammazzare il tuo corpo! La tua vita definitiva è nelle mani dell’unico che è più forte della morte. Quelli che ti fanno del male adesso, lo possono fare in un modo limitato alla esperienza di questo mondo. Ma se tu stai distaccato dalla fonte della vita, se stacchi il cordone ombelicale dalla fonte dell’amore autentico, allora ti metti in una situazione di sofferenza definitiva, ben rappresentata dalla puzza e dal fuoco dell’immondezzaio che stava nella valle della Geènna a Gerusalemme. Dio Padre è buono e serio: offre gratuitamente il suo amore, e non obbliga ad amare, prendendosi il rischio che i suoi figli lo rifiutino…