11 + 11 chilometri!

Commento al Vangelo del 26 aprile 2020.

Torniamo volentieri sulla strada di Emmaus, che abbiamo percorso tante volte assieme a Cleopa e al suo amico, e assieme al Signore risorto. Ci vogliono più o meno tre ore. E altrettante a tornare…
Ventidue chilometri di scuola: una università della fede!
La fede è una roba di Chiesa. Non la si vive da soli. Il Signore risorto è uno che lega, che collega, che fa entrare in comunione. Si mostra ai suoi personalmente e insieme, radunandoli, o facendosi vedere mentre sono radunati. È uno che condivide e fa condividere. Fa dire insieme la fede («Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone»). Ai due di Emmaus, appena lo riconoscono nello spezzare il pane (esattamente un gesto comunitario) la prima cosa che viene in mente è di andare dagli altri, di rifare quegli undici chilometri in fretta, con le ali ai piedi. Perché hanno ritrovato il senso profondo del legame con gli altri. Poche ore prima quel senso comunitario era svanito, ognuno se ne andava per conto proprio, come pecore senza pastore. Ma ora il Signore è riconosciuto come risorto. E se già legava i suoi prima della Pasqua, ora ancor di più è il vincolo tra i discepoli di ogni tempo e di ogni luogo, perché non è più costretto (il Risorto) dal limite dello spazio e del tempo.

Ventidue chilometri di vita: c’è tutto il senso della nostra esistenza.
La fede è una esperienza di vita profonda, riguarda le profondità del nostro essere, e non i fronzoli o i margini. Una speranza grande («Noi speravamo…») deve guidare il nostro vivere. Solo un senso grande, una ‘salvezza’ vera può darci tranquillità e sicurezza. A noi personalmente e alla nostra famiglia e al popolo in cui viviamo. Gesù risorto tocca questa profondità. Disseta questo bisogno profondo di una vita buona, che non finisce più, che il male, la sofferenza e la morte non ci possono portare via. Ansiosi come siamo, specie in questo tempo di incertezze sul nostro futuro, siamo in cammino con il Signore che ha vissuto con pienezza di senso perfino il tradimento, l’incarcerazione, le frustate, gli sputi e gli schiaffi, l’emarginazione e la presa in giro, la crocifissione e la morte. Ci piacerebbe avere una capacità di dare senso a tutto, proprio a tutto, come Lui. Ci piacerebbe guardare alla nostra vita (personale e sociale) di oggi con grande speranza!

Ventidue chilometri di esperienza di Chiesa: c’è tutta la consistenza della comunità cristiana
La fede è una scuola: ci vuole un Maestro che insegni. Perché la nostra esistenza è fatta così: non nasciamo ‘imparati’. E Dio lo sa. E ha mandato il suo Figlio come bravo pedagogo, che usa il metodo del dialogo. Si mette in ascolto, lascia che i suoi discepoli (letteralmente ‘coloro che imparano’) tirino fuori le loro domande e le loro riflessioni. E anche i loro sentimenti, che sono di tristezza e di sgomento, perché avevano scommesso tutto su quel Nazareno che era morto e sepolto, e anzi non si sapeva nemmeno dove era finito il suo cadavere. E poi Gesù parla, istruisce raccontando specialmente la Scrittura: Mosè e i profeti. Il sillabario della fede è la Bibbia, nella quale Dio ha messo la grammatica e la storia della salvezza, che ha il suo centro cosmico nella esperienza pasquale di Gesù. E solo in quella. Chi non si apre a questo mistero di gloria raggiunta attraverso la passione non ha capito nulla, rimane semplicemente «stolto e lento di cuore…».