Prete perché innamorato…

Oggi, 22 settembre, don Giuliano Scotton, ordinato prete sabato 21 settembre assieme ad altri quattro confratelli,  celebra la sua Prima Messa nella nostra parrocchia. Accogliamo con riconoscenza il dono che il Buon Pastore fa alla sua Chiesa di Ferrara-Comacchio e preghiamo perché questi preti novelli siano pastori secondo il cuore di Dio.

Ecco alcuni pensieri di don Giuliano:

Qualche settimana fa, nell’annunciare ad un amico l’imminente ordinazione presbiterale, sono rimasto sorpreso dalla sua reazione: «Ha senso farsi prete al giorno d’oggi? Cosa ti spinge a farlo?». Ho 31 anni e sono originario di Romano d’Ezzelino, un paese nel vicentino alle pendici del Monte Grappa. L’idea di farmi prete è venuta all’età di circa cinque anni; in seguito ho passato più della metà della vita in cammino per giungere a questo giorno. Se rileggo questo lungo percorso, per rispondere alla prima domanda del mio amico, dico proprio di sì, che ha ancora senso farsi prete al giorno d’oggi: gli uomini e le donne del nostro tempo hanno una sete più o meno espressa di felicità, di amore e il prete, nel suo piccolo, è uno strumento nelle mani di Colui che lo consacra e lo invia per rispondere a questa sete. Per rispondere alla seconda domanda, invece, guardando tutto il mare che il Signore mi ha fatto attraversare finora, credo che l’unica risposta sia quella di essere innamorato: è questo che, nonostante i miei peccati e le difficoltà incontrate, mi ha portato a questo giorno, certamente non per mio merito, ma perché il Padre mi ha scelto tra il suo popolo per mettermi al servizio del popolo stesso.

Ciò che desidero e domando al Signore come grazia per la mia ordinazione, è di essere come prete un «uomo di Dio». Pienamente uomo, consapevole delle mie fragilità e fatiche, capace di farmi semplice e discreto compagno di viaggio di coloro che incontrerò nel ministero, con il desiderio di maturare sempre più insieme ai fratelli la mia umanità ad immagine di quella di Cristo. Essere una persona gioiosa, che sa trasmettere serenità e amore, che crede fermamente in ciò che è chiamata ad essere e a vivere. E poi totalmente «di Dio» perché, con la mia persona, gli altri non incontrino solo quello che sono, ma soprattutto Colui che mi manda e verso cui tutti noi siamo in cammino. Insomma, chiedo la grazia di essere un uomo di Dio… innamorato!

Don Giuliano Scotton

A don Giuliano la comunità regala una busta con le offerte raccolte dai fedeli e uno strumento per la predicazione: il Grande Commentario Biblico delle edizioni Queriniana, accompagnati da questa lettera:

Caro don Giuliano,

                siamo grati al Signore per il dono della tua persona e del sacerdozio ministeriale che ti fa partecipe del Suo servizio pastorale.

                Permettici di augurarti di essere un buon ‘cane da pastore’, secondo le intuizioni bellissime di Madeleine Delbrêl:

«Quando un gregge è piccolo e le pecore sono docili e vi sono pochi lupi o non ve ne sono affatto, il pastore può far a meno del cane.

Quando il gregge è grande e le pecore sono vagabonde, non una sola  ma a branchi, e i lupi sono numerosi, bisogna che il pastore abbia un cane e magari più di uno.

I cani somigliano sempre ai lupi, e spesso i migliori cani da pastore sono proprio i cani lupi. E’ quel che hanno conservato del lupo che permette loro di fare per il pastore ciò che lui stesso non farebbe: fiutano, corrono, si arrampicano alla maniera degli animali che sono.

Ma è quel che il pastore ha comunicato loro di se stesso che fa di essi dei cani da pastore: amare le pecore come un pastore o come un lupo, non è affatto la stessa cosa.

E’ condividendo un po’ la vita del pastore che il cane rimane un cane e non diventa un lupo. Non vive più nei boschi, ma accanto alla casa del pastore. Si nutre del cibo dell’uomo. Ode la voce dell’uomo. E’ l’uomo che lo chiama senza tregua a sé, è l’uomo che lo manda incessantemente alle frontiere del gregge. I suoi due estremi sono la testa del gregge e i piedi del pastore.

Le pecore non possono né ritrovarsi le une le altre, né difendersi. Ma non diventeranno mai lupi.

I cani possono ritrovare le pecore e difenderle, ma c’è sempre un lupo nascosto dentro di loro; possono tornare ad esserlo.

Ai piedi di san Domenico, in San Pietro a Roma, c’è un cane simbolo della sua missione.

L’ovile della Chiesa, in certi periodi ha bisogno di cane da pastore. In queste ore, il Signore li ha fatti sempre sorgere.

Se sono fedeli, li si riconoscerà sempre da due cose: le spine e i morsi sulle zampe, il segno del collare intorno al collo.

Come tutti i cani pastori, porteranno la contraddizione di essere al tempo stesso gli amici dell’uomo e gli antichi abitatori della giungla.

Come tutti i cani pastori, un giorno o l’altro riceveranno la ‘correzione’ del pastore… perché non possono capire tutto ciò che egli dice.

Come tutti i cani da pastore, saranno disprezzati, ai margini del bosco, un giorno, una sera, a causa del collare dell’uomo»

(M. Delbrêl, Strade di città, sentieri di Dio, Città Nuova 1988, 135-136.)

Con affetto, stima e gratitudine per il tuo preziosissimo servizio, la Comunità parrocchiale di S. Agostino.