Commento al Vangelo del 3 marzo 2019.
Per vivere un amore grande e rivoluzionario, quello che vive la Trinità e che Gesù ci ha presentato nelle beatitudini e nell’appello ad amare i nemici, bisogna avere occhi e cuore a posto (Lc 6,39-45). È molto concreto, Gesù: ci conosce bene e sa come siamo fatti. Sa le complicazioni del nostro animo, sa degli offuscamenti del nostro sguardo. E da bravo educatore (certamente il migliore) ci accompagna con la sua pedagogia divina.
Anzitutto ci invita a verificare bene i nostri riferimenti: chi ci guida? Noi non camminiamo mai da soli: abbiamo sempre qualcuno con cui condividere la strada, qualcuno che ci è di esempio o i cui giudizi influiscono sulle nostre scelte. Attenzione – dice il Signore – a non dare per scontato che le nostre guide ci vedano bene! O che abbiano davvero le idee chiare sulla vita, sulle persone, sulla società, sulla Chiesa. O che abbiano un autentico un atteggiamento di ricerca e di discernimento. Dall’altra parte, attenzione anche alle nostre responsabilità educative nei confronti degli altri: chi è genitore o educatore ed è riferimento per altri, specie più giovani, ha da misurare bene le proprie parole, i propri giudizi, le proprie proposte, sapendo che andranno a pesare sul loro animo. L’unica guida che ci vede bene è Lui, il Signore, che illumina i nostri pensieri e ci rende pian piano sapienti della sua sapienza. E lo fa nella Chiesa, nell’ascolto personale e comunitario della sua Parola!
L’esempio della pagliuzza e della trave è diventato proverbiale. Ed è immediatamente condivisibile: quasi istintivamente, infatti, quando qualcuno ci fa notare qualche difetto, siamo pronti a rinfacciargli i suoi! Il Signore ci vuole donare occhi limpidi, cioè uno sguardo amante, capace di cogliere noi stessi e gli altri nella verità. Per questo c’è bisogno di purificare il nostro animo dall’orgoglio e dall’ipocrisia! Se ci lasciamo guardare con verità dal Signore che ci accoglie ed è pronto a perdonare i nostri difetti, a tirare via le travi del pregiudizio, della paura, della vanagloria, allora possiamo sperare di vedere gli altri in modo sereno e libero, e di metterci al loro servizio per aiutarli a crescere. Il Signore ci vuole così: partecipi della sua premura per gli altri, corresponsabili del cammino di santità di ognuno. Non va bene dire, come Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9).
Il problema dello sguardo si risolve andando giù, nel cuore. E qui il Signore ci dà un’altra bella lezione su come siamo fatti, rimettendo al centro la grandissima dignità della nostra coscienza, il luogo più intimo di noi stessi. Ci sono due tesori, nel nostro cuore: uno buono e uno cattivo. Quello buono l’ha fatto e lo alimenta sempre il buon Dio. Creati a sua immagine e somiglianza, abbiamo tutti «una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Gaudium et spes, 16). Questo tesoro buono è continuamente alimentato dalla Parola di Dio, dalle parole e dalle proposte buone degli altri, dalle buone letture e dalla contemplazione della bellezza, da ciò che decidiamo di approfondire e custodire.
Ma nel nostro cuore c’è anche un ‘tesoro’ cattivo: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno…» (Mc 7,21). Non possiamo nasconderci dietro un dito, o dare la colpa agli altri per la cattiveria che esce dalla nostra persona. Certo l’ambiente in cui nasciamo e cresciamo è importante, ma tocca a noi decidere che cosa vogliamo che ‘sovrabbondi’ nel nostro cuore.