Commento al Vangelo del 27 gennaio 2019.
Ci rimettiamo a seguire Gesù. Lo abbiamo riconosciuto nella sua manifestazione ai magi, al Giordano, a Cana. Adesso (nel tempo della liturgia ‘feriale’) stiamo dietro a Lui con curiosità e attenzione. Ci accompagna l’evangelista Luca, che nei primi versetti del suo racconto (1,1-4) ci spiega il suo metodo e il suo intento nello scrivere il vangelo. Vuole che noi (che siamo ‘teòfili’, cioè innamorati di Dio) ci rendiamo conto della solidità degli insegnamenti che abbiamo ricevuto.
Ha davvero il senso della storia, Luca: non racconta favole artificiosamente inventate, ma gli «avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi». Per noi, che viviamo a duemila anni di distanza, è un po’ faticoso cogliere la pregnanza e la verità di questi avvenimenti e avvertirli come storia della nostra storia: i racconti evangelici sono perciò importantissimi per entrare nella vicenda storica del nostro Signore.
Ha fatto un lavoro serio, Luca: ha fatto ricerche accurate su ogni circostanza della vita di Gesù. A chi si è rivolto? A gente che noi non possiamo più interrogare direttamente: i «testimoni oculari». Quelli che hanno visto il Signore con i loro occhi e lo hanno ascoltato con i loro orecchi. E tra questi Luca sceglie quelli che hanno seguito Gesù «fin dal principio» e sono diventati ministri della Parola.
Ci fidiamo del lavoro di Luca e degli altri evangelisti e dei racconti dei ‘testimoni oculari’? Mi sa che non abbiamo altra via per accedere alla vita e alla parola di Gesù! Da una parte, a noi sembra strano doverci fidare di notizie passate di bocca in bocca, abituati come siamo ad una informazione immediata e scritta (… ma quanti dubbi sulla veridicità della informazione oggi!). Dall’altra parte, dobbiamo tenere presenti due cose: il metodo di trasmissione del sapere di allora era solamente quello orale, di bocca in bocca; eppoi effettivamente gli unici esperti della vicenda di Gesù sono quelli che l’hanno vista (ed è una cosa normale: se uno vuole sapere qualcosa di una mamma, deve chiederlo a suo marito o ai suoi figli…).
Nella fede, poi, noi crediamo che questo processo di racconto e di scrittura è ‘ispirato’: lo Spirito Santo ha discretamente mosso i cuori e le teste dei testimoni e degli evangelisti per garantire che nella loro testimonianza fosse presente «fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture» (cf. Dei Verbum 11). La verità consegnata dalle Scritture non è quella scientifica, ma è ciò che serve «per la nostra salvezza».
E che cosa intenda Gesù per «salvezza» lo dice chiaramente all’inizio della sua predicazione, nella sinagoga di Nazaret (4,14-21). Durante la preghiera si alza a leggere. Attimi di silenzio mentre apre il rotolo del profeta Isaia e cerca il passo giusto. Gli occhi di tutti sono fissi su di lui. Finalmente lo trova e lo proclama:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Un programma di tutto rispetto! La nostra salvezza consiste fondamentalmente nel vederci bene: questo sta al centro. Dio ci vuole rivelare la sapienza della vita, il senso della nostra persona e della nostra storia: vedere bene che veniamo dall’amore di Dio e siamo fatti per vivere di quell’amore.
Ma per vivere quell’amore bisogna essere liberati: siamo prigionieri, siamo schiavi del male e delle nostre fragilità che ci impediscono di amare!
Questo è il vangelo (una notizia buona) che da duemila anni viene proclamato dalla Chiesa: lo Spirito ha consacrato il Figlio di Dio, che morendo e risorgendo per noi ci ha salvato!