Vedere e prostrarsi, adorare e donare

Commento al Vangelo del 6 gennaio 2019.

Epifania, cioè ‘manifestazione’. Il Figlio di Dio nato a Betlemme ‘si fa vedere’ al mondo, rappresentato da quei magi venuti da oriente. E si fa vedere come luce, cioè come sapienza che illumina ogni uomo che è sulla faccia della terra. Quale luce? Su cosa illumina?

Anche l’incontro con i magi è fatto di grande semplicità, ma di profonda intensità (Mt 2,1-12). Due frasi: «Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e offrirono in dono oro, incenso e mirra».

Vedere, prostrarsi ed adorare. Gli occhi guidati dalla stella si posano sul bimbo e la madre; allo sguardo segue la reazione del corpo che si prostra; l’atteggiamento del cuore è quello della adorazione. Quel gesto dei magi è ripetuto continuamente da noi, che riconosciamo la presenza luminosa del nostro Signore negli umili segni che lui ha scelto, e gli diciamo che gli vogliamo bene con tutta la nostra persona.

Lo facciamo prima di tutto nella liturgia, e specialmente nella Messa: i nostri occhi vedono il risorto che si fa Pane da mangiare; le nostre ginocchia si piegano per dire anche con il corpo che siamo gioiosamente convinti della sua presenza vera, reale e sostanziale e che ci sottomettiamo volentieri a Lui.

Ma il gesto di adorazione nostro e dei magi è copiato, non è proprio originale. Forse dovremmo contemplare di più il fatto sconvolgente della incarnazione: si potrebbe dire che, in qualche modo, il primo a vedere, prostrarsi e adorare è Dio stesso, che ci guarda con un amore infinito e che è disposto a rinunciare alla sua onnipotenza per farsi povero e mettersi nelle nostre mani, desidera darci tutti i suoi doni e prima di tutto se stesso. Il Figlio di Dio si fa bambino, si fa servo, si fa mendicante d’amore presso ogni uomo. offrendosi a noi quasi ci dice: ti adoro! Come noi diciamo alle persone cui vogliamo tanto bene e per le quali siamo disposti a metterci in gioco. Ebbene, il Figlio di Dio lo fa per tutti. C’è da andar giù di testa a pensare all’umiltà di Dio che adora gli uomini e le donne di ogni tribù, lingua, popolo e nazione. Basta fermarsi un attimo e pensare agli abitanti di tutta la terra, ai ricchi e ai poveri, ai colti e agli ignoranti, agli onesti e ai criminali, ai sani e agli ammalati, ai cristiani e ai non cristiani… Ai nostri vicini di casa e ai nostri famigliari. Tutti guardati dalla Trinità con un profondissimo affetto, con una infinita preoccupazione, con un palpitante desiderio.

Anche il gesto dei doni è copiato. È una restituzione. Il primo a donare è quel bambino, il Figlio di Dio che con il Padre e lo Spirito dona tutto a tutti. Quei tre doni dei magi sono interessanti e simbolici. Se li pensiamo dal punto di vista dei magi (e nostro) significano che noi riconosciamo la regalità di Gesù (oro), la sua divinità (incenso) e il suo amore crocifisso (mirra). Ma dobbiamo pensarli dal punto di vista di Gesù, che ci ha donato la sua libertà di re, la sua vita divina, la sua forza d’amore che rende profumata la sofferenza,  e vince il peccato e la morte. Aprendo i loro scrigni, i magi non fanno altro che ridare al legittimo proprietario quelle cose e nella fede riconoscere di essere stati arricchiti di quei bei doni.

È una bella lezione, che ci aiuta a mettere a fuoco bene il nostro rapporto con il Signore, da cui riceviamo tutto e a cui è bello restituire tutto. Se Gesù si è manifestato nella sua totale disponibilità a donare tutto se stesso, senza considerare come un privilegio l’essere come Dio (cf. Fil 2,6) come potremmo noi essere egoisticamente attaccati alle cose e alla nostra persona? Impariamo da Gesù e dai magi a condividere tutto con i fratelli, sacramenti della presenza del Signore.