Sale e luce

Commento al Vangelo del 5 febbraio 2017.

Sul monte Gesù ha invitato i suoi a percorrere il cammino delle beatitudini, indicando l’autentica via della felicità. Come esplicitazione di questo programma di gioia il Maestro si serve di due immagini, il sale e la luce: «Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo». Ai nostri giorni il sale e la luce sono piccoli elementi rispetto all’ambito in cui si usano, ma la loro mancanza è facilmente percepibile poiché diventa per l’uomo fonte di disagio. La conferma l’abbiamo dall’attenzione che, in cucina, occorre riservare al sale come mezzo indispensabile per condire ed esaltare i sapori degli alimenti. Pensando poi ai momenti di black-out elettrico, ci accorgiamo di quanto la nostra esistenza dipenda in larga misura dall’erogazione della luce. Ai tempi di Gesù il sale e la luce godevano di un valore inestimabile, sia per la difficoltà nel venirne in possesso, sia per l’utilità. Il sale oltre ad essere usato per la conservazione dei cibi era collegato al valore della vita da salvaguardare e difendere. Nel brano evangelico l’esortazione ad essere persone “gustose” che danno sapore alla vita, diviene appello a rivitalizzare il rapporto con Cristo, affinchè non venga mai meno la fedeltà dell’uomo all’alleanza con Lui. La luce, segno pasquale, rimanda alla vocazione di battezzati, alla chiamata ad essere riflesso dell’unica luce che è Cristo: «fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine», scrive sant’Am-brogio. Come una città posta su di un monte non può essere nascosta, così la Chiesa continua a risplendere nel mondo per orientare ogni uomo diventando un punto di riferimento. Ed infine, usando l’immagine della lampada che non può venir coperta e deve esser posta su un lucerniere, viene ribadito l’impegno ad alimentare la fiamma della fede, perché non si spenga, ma continui ad ardere, a fare luce. Giorni fa ho partecipato alla proiezione del film Silence, che narra la complessa esperienza missionaria vissuta dai missionari gesuiti in Giappone all’inizio del ‘600. Un’atmosfera cupa e nebbiosa fa da sfondo ad una violenta repressione da parte delle autorità governative verso le piccole comunità di cristiani. La fiamma della loro fede nonostante tentativi di essere soffocata, rimane accesa e alimentata dall’arrivo di due padri gesuiti alla ricerca del loro maestro che, proprio a causa delle violenti persecuzioni, aveva abiurato. In una scena è evidente come la luce che si riflette dal volto di uno dei missionari, in particolare nel momento in cui segretamente celebra l’Eucaristia, illumini quei cristiani d’oriente. Molti di loro, seppur anziani e oppressi dalle tribolazioni, è come se traessero da questa luce energie nuove, rinnovato entusiasmo nell’affrontare l’esperienza di fede. La “caccia” ai cristiani sembra però non avere mai fine, tanto da far emergere drammaticamente i dubbi, le fragilità, le debolezze. Mentre il silenzio di Dio pare avere l’ultima parola, il finale del film mostra come anche in un terreno considerato paludoso, le radici cristiane possano attecchire grazie a testimoni di fede e di umanità, fecondi e luminosi. Credere è farsi portatori di un messaggio, quello delle beatitudini, che suscita ancora oggi scandalo, generando opposizione e rifiuto. Questo è il “prezzo” dell’amore cristiano, è la vita buona del Vangelo che desideriamo imitare perché le nostre esistenze, trovino nuovo gusto e valore, siano per sempre beate.

don Francesco