Commento al Vangelo del 20 novembre 2016.
L’anno liturgico si compie con la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo. Il nostro sguardo è sospinto verso la mèta della nostra vita e di tutta la storia, che è orientata alla venuta definitiva del Signore. Lo diciamo sempre, forse un po’ distrattamente, nella Messa: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta!» e ancora: «…nell’attesa che si compia la beata speranza, e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo». La vita di ogni persona e del mondo intero ha senso se è vissuta in questa luce, in questa prospettiva. Il nostro è veramente un pellegrinaggio, un cammino tra mille difficoltà per giungere alla nascita definitiva, alla risurrezione della carne, al superamento della condizione di limite e soprattutto di peccato che stiamo vivendo.
Il fatto decisivo della storia, dunque, è la venuta del Signore. E cioè è l’incontro personale con lui. Un incontro che ora viviamo nella fede e prima o poi vivremo nella visione diretta del suo volto, e della bellezza del Padre e dello Spirito Santo. Questa dimensione personale dell’amore di Dio e per Dio è decisiva. Se Gesù fosse un dominatore alla maniera dei dominatori di questo mondo, forse ce ne accorgeremmo di più. Ma Gesù è un re strano, paradossale, scandaloso. L’onnipotente povero. Perché ama. La sua regalità consiste nell’amore e basta. In lui non c’è violenza né oppressione, né imposizione. Il racconto della crocifissione che ascoltiamo oggi nella Messa (Lc 23,35-43) ci obbliga ancora una volta a rimanere stupefatti e sconcertati: il nostro Re non reagisce al male con il male. È talmente forte da resistere alla tentazione della violenza anche inchiodato sulla croce. Non risponde nemmeno quando, per tre volte (i capi, i soldati, uno dei malfattori), con il ritornello «salva te stesso», lo provocano a venire giù dalla croce e a sbaragliare i suoi crocifissori per salvare la pelle. Torna insistentemente il problema di che cosa è la salvezza. Di che cosa è veramente la vita. Per Gesù, Re dell’universo inchiodato su una croce, è chiaro che la salvezza non è conservare semplicemente la vita terrena. La salvezza non consiste nell’evitare la morte del corpo. Piuttosto, è rimanere unito al Padre, in un amore che resiste al dolore e alla morte, e che vince il peccato con il perdono. Nel momento in cui Gesù continua ad amare il Padre anche sulla croce, si manifesta in modo infinito l’amore del Padre per gli uomini. Con il suo cuore, la sua mente, la sua volontà, le sue forze, anche in quegli istanti Gesù ha continuato ad amare il Padre e noi, perché «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). E noi riconosciamo così che l’amore del Padre ci ha raggiunto fino negli abissi della nostra condizione umana. Gesù è un Re credibile e degno di fiducia perché, sperimentando in prima persona la croce, s’è fatto veramente vicino a tutti, ha condiviso le situazioni più terribili e ingiuste. E in quella situazione ha perdonato, dando speranza sia agli oppressi che agli oppressori!
Chi si salva? Dio vuole che tutti siano salvi. E il suo giudizio è già stato emesso. Tocca a noi aprire o no le braccia. È una cosa bella e seria. Molti secoli fa, per aiutare i ferraresi a ricordarsi che la vita ha senso perché Dio ha mostrato la sua misericordia in Gesù Cristo e perché è orientata al definitivo incontro con Lui, qualcuno ha costruito la Cattedrale, e ha posto nella facciata la raffigurazione del giudizio universale. Campeggia, al centro del timpano nel protiro, la figura meravigliosa di Gesù, seduto sul trono. Due angeli, in alto, lo stanno incoronando, perché lui è il Re dell’universo intero, rappresentato dagli elementi simbolici dell’architettura della facciata. Gesù è risorto, ma mostra le piaghe delle sue mani e dei suoi piedi: ci tiene a ricordare il suo amore crocifisso e vittorioso. Accanto a lui due angeli tengono in mano gli strumenti della passione (lancia, chiodi e croce). Sotto di lui gli angeli suonano le trombe per il giudizio. I morti escono dalle tombe e diventa chiara la scelta di ciascuno: chi ha scelto di vivere nel dono di sé sta alla destra del Signore, nel seno di Abramo. Chi ha scelto di fregarsene va nel terribile fuoco alla sinistra del Signore.
Bisogna darsi una mossa. Lasciarsi amare ed amare gli altri come Lui. Adesso. Al ‘buon ladrone’ che gli chiede, con una preghiera bellissima: «Ricordati di me», Gesù dice che ad essere decisivo è oggi. Lo aveva già detto a Zaccheo («Oggi per questa casa è venuta la salvezza»: Lc 19,9).