Camminare in una vita nuova

Commento al Vangelo del 27 marzo 2016. È Pasqua. Risuona nella liturgia della chiesa, continuamente, l’annuncio degli angeli alle donne: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!» (Lc 24,1-12).

La deificazione dell’uomo. Celebriamo il compimento del progetto di Dio sull’uomo: la risurrezione spalanca il nostro pensiero alla grandezza della nostra umanità, creata da Dio secondo la forma del suo Figlio e assunta e ri-plasmata dal Figlio. Il progetto di Dio era quello di fare partecipe l’uomo della sua vita divina, cioè della comunione d’amore tra le persone divine. Questo cammino era stato bloccato dalla libertà dell’uomo che, suggestionato dal suo orgoglio e dal Maligno, aveva rifiutato il dono e spezzato il legame filiale con Dio. Il cuore dell’uomo era diventato incapace di amare limpidamente. Così, l’incarnazione del Figlio di Dio è divenuta obbligatoriamente, per Dio, mistero di redenzione. Perché l’uomo è libero di dire «no» a Dio, ma Dio non è libero di dire di no all’uomo, suo figlio. Perché Dio è felicemente e totalmente amore e vuole coinvolgere nel suo amore divino l’uomo. C’era bisogno di rifare il cuore dell’uomo perché, liberamente, scegliesse di dire «sì» all’amore di Dio. E la via che Dio ha scelto è quella di stare dentro alla carne dell’uomo, e di rendere questa carne capace di amare. Un testo famosissimo del Concilio Vaticano II dice che Gesù: «Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’Apostolo: il Figlio di Dio mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me (Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l’esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato» (GS 22). L’incarnazione punta alla risurrezione, ed è una nuova creazione della nostra persona. Si noti la sottolineatura: Gesù non è solo il nostro modello (saremmo comunque incapaci di imitarlo), ma il risorto che ci dona il suo Spirito perché abbiamo la forza interiore di vivere da risorti.

Risorgere, cioè camminare in una vita nuova. La partecipazione alla risurrezione di Gesù Cristo, infatti, non è una esperienza futura (lo sarà la risurrezione della carne nella parusia), ma una esperienza che i battezzati hanno già fatto! Ce lo spiega san Paolo, con parole audaci: «Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?» (Rm 6,3-11). Battezzati vuol dire immersi. Gesù ci ha raggiunto nel nostro sepolcro, nelle nostre dinamiche di morte, nella nostra situazione di peccatori. Ed è uscito vittorioso dalle grinfie della morte, passando illeso attraverso la grande tentazione di non vivere nell’amore. Gesù è stato nel nostro sepolcro e noi nel suo. Lui è uscito dal sepolcro per trascinare fuori noi. È interessante il modo in cui Paolo dice questo mistero di l’obiettivo dell’unione alla morte di Gesù: «Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova». L’obiettivo della con-sepoltura con Gesù è detta con due parole diverse, che per Paolo sembrano corrispondenti: di Gesù si dice che ‘fu risuscitato’, di noi che possiamo ‘camminare in una vita nuova’. Ecco la risurrezione per noi, oggi: camminare in una vita nuova. Camminare nella vita di Gesù, pensare come Lui, agire come Lui, vedere il mondo e la storia con il suo sguardo, tenere botta nelle sofferenze con Lui…

Risorgere, cioè stare in comunione con Gesù. La risurrezione di Gesù è dunque un dono di amore fatto personalmente e continuamente a ciascuno di noi, a ciascuna persona umana. È il dono di una relazione con Dio che neppure la morte può spezzare. Ma soprattutto non la può spezzare il peccato: perché il peccato è perdonato dalla morte del Signore, e la risurrezione è il sigillo di questo perdono. Il risorto infatti si ripresenta ai suoi continuando ad accoglierli come amici, come discepoli, in un meraviglioso rapporto personale che non indugia nel far pesare i peccati.

Risorgere, cioè stare in comunione con i fratelli. La comunione con il Signore risorto è, allora, fonte di rinnovamento quotidiano della nostra capacità di voler bene agli altri. Gesù ci attrae a sé e ci fa partecipi della instancabile, inesauribile misericordia del Padre verso i fratelli, specie i poveri.