Illusione e pretesa

Commento al Vangelo del 31 gennaio 2016.

Per Gesù, le cose si mettono subito male (Lc 4,21-30). Proprio a Nazaret, proprio all’inizio della sua missione, proprio appena ha annunciato la notizia più bella del mondo: che Dio Padre lo ha mandato «a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista». La sua parola suscita a Nazaret reazioni forti e contrastanti. La meraviglia anzitutto, perché le sue sono parole di grazia (doveva essere una cosa stupenda ascoltare direttamente la voce del Signore!). Ma anche stupore e contrarietà. Per due motivi, par di capire dal racconto di Luca.

Anzitutto, i presenti nella sinagoga vivevano l’illusione di conoscere abbastanza Gesù. Per loro (che da una trentina d’anni lo vedevano in giro) era semplicemente il «figlio di Giuseppe». Difficile ammettere che da questo compaesano potesse venire fuori qualcosa di diverso. Chi si credeva d’essere Gesù?! Difficile una apertura di fede alla novità di Dio che si affacciava in Lui.

Eppoi (semmai fosse stato vero che lui era più del figlio di Giuseppe), vivevano la pretesa che Gesù facesse quel che volevano loro. Lo dice Gesù stesso: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». È la pretesa di sempre, la tentazione di imporre a Dio quel che vogliamo noi. La pretesa di avere l’esclusiva, di appropriarsi di Dio e di piegarlo ai nostri interessi e bisogni. Tentazione che Gesù (lo mediteremo all’inizio della Quaresima) ha voluto affronatare nel deserto, dove il Diavolo lo ha provocato a fare cose spettacolari e ha cercato di appropriarsi del potere di Gesù.

Certo che, potremmo dire, Gesù se l’è cercata. Siamo davanti, fin dall’inizio del racconto evangelico, agli esiti del mistero dell’incarnazione: una scelta di amore radicale che sconcerta. Noi ci aspettiamo un Dio potente e dagli effetti speciali, ma Dio è un amante umile. Noi vorremmo un Dio che si impone, ma Lui si propone sempre. Noi vorremmo vedere la sua gloria e appropriarcene, ma Lui si fa vedere nella umiltà della nostra carne e cerca di attrarci al suo amore. Il culmine di questo amore paradossale è già adombrato a Nazaret: sarà la crocifissione, manifestazione definitiva della onnipotenza povera di Dio, che vince il male con il bene. Espressione inequivocabile del contrasto tra la logica diabolica (il potere e il successo) e la logica divina (l’amore e il servizio).
Anche con noi, oggi, Gesù fa così. Continua a far udire la sua voce nella fragile parola della predicazione e della testimonianza dei suoi discepoli; continua a comunicare la sua onnipotenza nella incredibile semplicità dei segni sacramentali (l’acqua del Battesimo, l’unzione della Confermazione, il pane e il vino dell’Eucaristia…), che non danno nessuna evidenza scientifica della sua forza; continua a far circolare il suo amore nei gesti di accoglienza e di condivisione dei cristiani e anche degli uomini di buona volontà, anche di chi non lo conosce ancora; continua a far sperimentare la sua presenza nel suo Corpo che è la Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica e fatta di peccatori.

Sì: le obiezioni degli abitanti di Nazaret possono essere avanzate anche oggi. E potremmo ritrovarle in noi stessi e nella nostra comunità. Non siamo esenti dall’illusione di saperne abbastanza di Gesù. Non siamo forse sempre liberi dalla pretesa di piegarlo ai nostri interessi, con il pericolo di arrabbiarci con lui (a Nazaret «tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno») quando le cose non vanno come vogliamo noi o quando Lui o i suoi profeti d’oggi ci colgono in fallo nella nostra mancanza di fede.

E invece proprio di fede si tratta! La fede di cui sono state capaci persone lontane, come la povera vedova di Sarèpta di Sidone che si è fidata di Elia (cf. 1 Re 17), o come Naaman, il capo dell’esercito del re di Siria, che era lebbroso e si è fidato del profeta Eliseo (cf. 2 Re 5). Persone che non avevano nulla da perdere: avevano capito che dovevano rinunciare alla illusione e alla pretesa di gestire da sole la propria salvezza, la propria felicità. Persone educate dalla vita e dai profeti a spostare il baricentro su Dio, Padre misericordioso.

In questa settimana potremmo impegnarci a pregare meglio il Padre nostro. La preghiera che il Signore ci ha insegnato, infatti, è un capolavoro di espressione della fede che mette in primo piano Dio e i suoi progetti (il suo Regno), e la sicurezza che Dio ci dà il pane di ogni giorno e la libertà dalla tentazione e dal maligno.