Commento al Vangelo dell’11 ottobre 2015.
Uno degli incontri più famosi di Gesù è con un uomo ricco, che gli chiede cosa deve fare per avere la vita eterna (Mc 10,17-31). Ne nasce un dialogo importantissimo per ogni discepolo, perché Gesù ne approfitta per mettere a fuoco altre esigenze della sua sequela.
Quel tale è ben disposto: si inginocchia davanti al ‘maestro buono’, e si presenta come pio israelita, osservante dei comandamenti di Mosè, richiamati da Gesù. Ma non basta. Gesù fa capire che c’è di più. C’è di più prima del fare. E c’è di più nel modo in cui fare le cose.
Il di più che Gesù fa sperimentare per primo è il suo amore, da cui tutto deve partire e ripartire. L’evangelista annota che Gesù «fissò lo sguardo su di lui e lo amò». È l’esperienza decisiva, gratuita, immeritata che il Signore offre a tutti. Per quelli che lo hanno conosciuto prima della Pasqua, sentirsi addosso il suo sguardo penetrante e infuocato d’amore dev’essere stata una cosa indimenticabile. Ne sa qualcosa Pietro, che si è sentito ‘guardato dentro’ da Gesù subito dopo averlo rinnegato (cf. Lc 22,61). Per noi, che viviamo dopo la Pasqua, incrociare gli occhi di Gesù risorto è una esperienza spirituale che viviamo nella Liturgia e nell’ascolto della Parola, oppure nello sguardo pieno di amore delle persone che ci vogliono bene.
Da questa proposta di amore personale, in questo clima di dono da parte di Gesù, nasce la sua parola fortissima e radicale e appassionata, quasi una implorazione da parte del Signore. Il tono delle sue parole non può non essere in sintonia con il suo sguardo amante: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Il di più nel modo di vivere è seguire Gesù, metterlo al centro di tutto, assumere la sua logica nella visione e nella gestione della propria vita, vivere ricordandoci che Lui c’è e cammina con noi. Di conseguenza, vendere tutto non è una esigenza riservata a pochi (i frati, le suore): ogni discepolo è chiamato a vivere la povertà, e cioè a maturare un sapiente e distaccato uso delle cose. Rassicurati da Dio e coinvolti nel progetto del suo Regno, siamo chiamati a seria e concreta verifica: il nostro cuore è attaccato più alle cose che alle persone? Viviamo la condivisione dei beni? Il criterio del servizio ispira le nostre scelte economiche?
Certo non è facile. Quel tale del vangelo se ne andò con la faccia scura e triste, «perché aveva molti beni»… In quel momento, l’amore di Gesù non ha fatto breccia. E Gesù sa bene quanto forte è per noi il bisogno di sicurezza, cui rispondiamo con il possesso delle cose. Eppure non arretra e non fa sconti. Sa che «è impossibile», ma proprio per questo alza il tiro e invita a volare in alto, nella fiducia in suo Padre, il Dio del-l’impossibile.
Par di risentire la storia di Abramo, sulla quale abbiamo tracciato il programma pastorale della nostra comunità in questo anno 2015/2016. Il primo credente è chiamato a lasciare la sua terra, la sua parentela e la casa di suo padre, e a fidarsi solo di Dio, che gli garantisce la sua benedizione. E promette a lui (nomade, vecchio e senza figli) una terra in cui abitare e una discendenza incalcolabile. Dio gli dice: «Cammina davanti a me» (Gen 17,1); letteralmente: ‘davanti al mio volto’, vale a dire ‘alla mia presenza’. Nella storia di Abramo, il protagonista è Dio. Così nella nostra storia il Dio di Abramo si è manifestato e si rende presente nel suo Figlio Risorto. Gesù richiama e approfondisce per noi l’esperienza di Abramo. E perciò vogliamo vivere con fiducia il cammino della nostra comunità: tutti e ognuno ci sentiamo raggiunti dal dono e dalla proposta appassionata di Gesù, e vogliamo maturare la sicurezza della sua presenza, dell’essere davanti al suo volto o, meglio, penetrati dal suo sguardo. Tutti e ciascuno vogliamo sperimentare la libertà offerta ad Abramo e al giovane ricco, e in questa libertà imparare ad amare gli altri e a fare un po’ più bello il mondo in cui il Signore ci dona di vivere.