Atti degli Apostoli: Discussioni ad Antiochia e Gerusalemme sulla via della salvezza – Concilio di Gerusalemme

Discussioni ad Antiochia e Gerusalemme sulla via della salvezza (15,1-5)

1 Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati».
2Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. 3Essi dunque, provveduti del necessario dalla Chiesa, attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. 4Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani, e riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro. 5Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: «È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè». 

Concilio di Gerusalemme (15,6-21)

6Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema.

7Sorta una grande discussione, Pietro si alzò e disse loro: «Fratelli, voi sapete che, già da molto tempo, Dio in mezzo a voi ha scelto che per bocca mia le nazioni ascoltino la parola del Vangelo e vengano alla fede. 8E Dio, che conosce i cuori, ha dato testimonianza in loro favore, concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando i loro cuori con la fede. 10Ora dunque, perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? 11Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro».
12Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Bàrnaba e Paolo che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro.

13Quando essi ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: «Fratelli, ascoltatemi. 14Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome. 15Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:

16Dopo queste cose ritornerò
e riedificherò la tenda di Davide, che era caduta;
ne riedificherò le rovine e la rialzerò,
17perché cerchino il Signore anche gli altri uomini
e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome,
dice il Signore, che fa queste cose,
18note da sempre.

19Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, 20ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. 21Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».

 

Discussioni ad Antiochia e Gerusalemme sulla via della salvezza (At 15,1-5) e

Concilio di Gerusalemme (At 15,6-21)

I luoghi: da Antiochia, a Gerusalemme, ad Antiochia…

I protagonisti: Paolo e Barnaba, Pietro e Giacomo, i giudeo-cristiani integralisti…

In questione un metodo missionario (di Paolo e Barnaba… ma anche di Pietro): battezzare i pagani che hanno ricevuto lo Spirito…

In questione un contenuto essenziale: l’accesso alla salvezza è per la fede in Gesù Cristo o per l’appartenenza al popolo dell’alleanza?

In questione il futuro della Chiesa: conversione in massa dei giudei? Allargamento ai pagani?

Anche nel giudaismo c’era diversità di appartenenze: per nascita, convertiti e circoncisi, osservanti non circoncisi…

At non dà una ricetta, ma alcuni criteri…

Il racconto di Luca non è semplice cronaca, ma rilettura teologica: già dalla descrizione dei primi versetti si capisce come andrà a finire…(entusiasmo dei fratelli di Fenicia e Samaria, racconto delle grandi cose compiute…).

Pietro fa una sintesi che pare esagerata: ma a Luca interessa sottolineare che l’episodio della conversione di Cornelio (capp. 10-11) è il paradigma della conversione dei pagani: lo Spirito si è rivelato nella esperienza… della fede suscitata senza preferenze di persone anche tra i pagani.

La conseguenza sul piano operativo è chiara: non imporre i gravami della legge… Pietro lo dice quasi in termini paolini…

Anche se sono stati Barnaba e Paolo a lanciare alla grande l’evangelizzazione dei pagani, qui sono appena citati per la loro relazione sui ‘grandi segni e prodigi compiuti per mezzo loro’ (v. 12). Ma Luca ne aveva parlato a lungo nei capitoli precedenti! E il loro breve intervento concorda sulla iniziativa di Dio già sottolineata da Pietro.

Per un resoconto del Concilio di Gerusalemme dal punto di vista di Paolo cf. Galati 2,1-10.

Giacomo arriva alle stesse conclusioni di Pietro, ma aggiungendo il riferimento alla Scrittura (Am 9,11-12): la lettura dei fatti da sè non basta, perché bisogna confrontarsi con la Parola di Dio nei profeti (v. 15). Giacomo coglie l’intreccio tra parola e storia…

Il v. 14 potrebbe essere il titolo degli Atti: Luca descrive proprio ‘come fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome’.

Amos è citato dalla versione dei LXX, che al v. 17 sostituisce ‘conquistino’ con ‘cerchino’ ed ‘Edom’ con ‘gli altri uomini’. La profezia che riguardava la restaurazione di Israele con la sottomissione dei popoli vicini si allarga alla costituzione di un popolo nuovo da tutti i pagani.

A Gerusalemme, nel primo Concilio, si evidenziano alcuni criteri importanti per la vita della Chiesa di sempre:

– l’unità e l’armonia attorno ai responsabili

– la lettura degli avvenimenti della storia

– la sicurezza che il protagonista è Dio

  1. la centralità della fede
  2. il confronto necessario con la Parola di Dio della Scrittura

Per la riflessione personale

Sempre, nella Chiesa, è in questione il rapporto tra la fede e l’ambiente socio-culturale in cui si sviluppa la vita cristiana. Sia per le situazioni in cui il vangelo arriva per la prima volta, sia per quelle in cui serve un rinnovamento…

Come rimanere fedeli al vangelo e insieme immersi nel nostro ambiente socio-culturale che sta evolvendo rapidissimamente? Quali questioni ci sembrano più importanti o difficili in questo confronto oggi?

Testi utili

Una riflessione sugli scritti di V. Bachelet: fede e storia

È da questo atteggiamento di fondo che possiamo ricavare il cuore della lezione di Bachelet per i credenti di oggi, e in modo particolare per i credenti laici, chiamati a spendere i propri talenti sul terreno non facile dell’impegno sociale e politico. È nota, in questo senso, l’immagine utilizzata da Paolo VI, Papa che tanto stimava Vittorio e che Vittorio tanto amava: «i nostri laici», diceva, «fanno da ponte. E ciò non già per assicurare alla Chiesa un’ingerenza (…), ma per non lasciare il nostro mondo terreno privo del messaggio della salvezza cristiana». Un’immagine di cui proprio Bachelet colse tutta la forza, quando ricordava che «per essere “ponte” bisogna essere saldamente cristiani e vigorosamente uomini del nostro tempo; non per subirne quanto vi è di corruzione, ma per viverne con linearità, con fortezza, ma con animo aperto la ricchezza di esperienza. Bisogna essere in entrambe le comunità vivi, attivi e responsabili. Giacché come ogni ponte, il laico è sottoposto alla tensione della grande arcata».

È proprio prendendo le mosse da questo snodo decisivo che Bachelet indicava nell’acquisizione di un profondo senso del significato della storia la condizione indispensabile per poter agire dentro il mondo da credenti. Egli era convinto, infatti, che mettere la propria fede a servizio del bene possibile comportasse sì la necessità di educarsi «a una lineare aderenza agli essenziali immutabili principi», ma che occorresse «in pari tempo» formarsi e formare ciascuno «al senso storico, alla capacità cioè di cogliere il modo nel quale quei principi possono e debbono trovare applicazione». «Se non si distinguono con chiarezza i valori perenni e immutabili del bene comune dai suoi mutevoli contenuti storici», ammoniva infatti Bachelet con lucidità, «si rischia che dall’inevitabile mutare dei secondi finiscano per apparire travolti anche i primi».

Un modo di concepire il rapporto tra fede e storia per nulla scontato, all’epoca come oggi. Ma è proprio qui che si colloca la radice più profonda della lezione che Bachelet ci ha lasciato e che suona tanto più preziosa per i tempi in cui viviamo. Il nostro tempo, infatti, sembra se possibile ancor più sfidante per la fede di quello in cui visse Vittorio. Le grandi trasformazioni dentro cui siamo immersi interpellano i credenti, con cambiamenti che aprono possibilità inedite ed entusiasmanti, ma dischiudono anche rischi finora forse solo immaginati dalla letteratura e dai grandi miti antichi. Trasformazioni enormi sotto il profilo culturale, economico, geopolitico, ambientale, interrogano la nostra fede, esponendoci alla tentazione di fare di essa una barriera dietro cui trincerarci per difenderci dalle vicende del nostro tempo e, in particolare, dal confronto che esso ci impone con chi può apparire come una minaccia, perché portatore di valori, tradizioni, visioni dell’uomo differenti dalle nostre. Finendo, così, per perdere di vista il nucleo stesso della nostra fede, che ci impone di vedere in chi è diverso da noi il volto del fratello, e non del nemico. Già molto tempo fa Bachelet vedeva bene questo pericolo. «Oggi è di moda l’integralesimo», scriveva appena ventunenne: «Umanesimo integrale, cristianesimo integrale (…). E fin qui non possiamo che esser d’accordo. Il guaio comincia quando dalle parole si passa ai fatti. (…) Succede allora, per esempio, che invece di essere il cristianesimo a regolare in pieno ogni atteggiamento della nostra vita, siamo noi che trasportiamo i nostri piccoli modi di vedere nella concezione stessa del cristianesimo, e mentre siamo in buona fede convinti di attuare un cristianesimo integrale, non facciamo in realtà che deformare spesso paurosamente la stessa concezione cristiana. (…) portati dal corso stesso delle cose a concepire il cristianesimo, la Chiesa cattolica, come un gigantesco fronte di combattimento che — come tutti i fronti — divide gli uomini in due schiere: quelli che stanno al di qua e quelli che stanno al di là, gli amici e i nemici. Ora bisogna intendersi: (…) Se nemico è colui che non ama, allora è vero senz’altro che i cattolici hanno molti tenaci nemici: ma se nemico è colui che non si ama, allora è più vero ancora che i cattolici non hanno nemici. (…) Questo può essere più difficile oggi, in una società spezzettata o atomica, in cui ogni piccola frazione sente il dovere di chiudersi nella sua piccola fortezza puntando sulle altre le proprie batterie. (…) Ad ogni modo è certo che, qualunque possa essere la difficoltà, alla legge non si può derogare. (…) Se i cristiani sapessero sempre amare così, essi avrebbero certamente meno nemici. Perché è difficile resistere alla forza dell’amore».