Commento al Vangelo del 18 febbraio 2018.
Ci è donato il tempo di Quaresima per camminare seriamente, da discepoli, alla scuola del Signore: la mèta, il significato, il motivo di ogni passo del cammino è ‘con-formarci’, prendere la forma della umanità resa bella da Gesù risorto dai morti!
Quest’anno, nel desiderio di diventare in tutto come Gesù, poniamo attenzione ai ‘sensi’ della nostra carne, perché, se la fede non tocca la nostra umanità in tutto, non serve a niente. E iniziamo dal gusto, pensando a Gesù che (ci racconta Marco nel vangelo di oggi) sospinto dallo Spirito, è rimasto «quaranta giorni nel deserto, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (Mc 1,12-13).
Il deserto. Gesù rimase nel deserto 40 giorni. Nel deserto, che abbiamo dentro, dobbiamo ritrovare la sorgente, che è solo dentro di noi, ed è sepolta dalle cose che ci abbiamo buttato sopra.
Gesù viene nel nostro deserto per starci. Ci viene a cercare e ci chiede di svuotarci, di buttare fuori quello che ci pesa e ci turba per poter accogliere il sapore limpido di quella fonte d’acqua che è in noi, profonda, ma che esiste. Per questo Gesù in altro luogo dice: dammi da bere! Vuole che noi facciamo esperienza e gustiamo quanto Lui è buono. Vuole che assaporiamo il suo amore smisurato.
La quiete. Per assaporare, per gustare, dobbiamo smettere di ‘divorare’. La Bibbia si mangia. Dio è sapore. Il sapore implica lentezza, mentre il divorare è vorace, predominante. Il sapore rivela, illumina, si sparge dentro di noi fino a trasformarsi in vita. Bisogna andare adagio. Nel deserto non si corre. Ognuno deve trovare la lentezza a lui più congeniale. La lentezza spesso sceglie di coesistere con il silenzio. Ci vuole tempo. Il tempo necessario per cogliere il sapore.
La tavola. Se papa Francesco conclude l’Angelus con la frase “Buon pranzo e buona domenica” vorrà pur dire qualcosa. Applichiamo dunque un nuovo codice di comportamento a tavola in questi giorni!
Per Gesù i pasti sono performativi, cioè possono cambiare davvero la vita delle persone. Gesù mette intorno alla tavola persone che non possono stare insieme. La tavola diventa una specie di frontiera simbolica che testimonia l’incontro inatteso. Che sapore hanno le cose che ci alimentano? Come consumiamo i nostri pasti? Con chi? Quando? Cosa c’è da cambiare?
Il digiuno. Il digiuno che la Chiesa ci propone in quaresima è importante: pensare al digiuno ci dà la possibilità di interrogarsi su qualcosa di più profondo.
Il digiuno non è una semplice disintossicazione dalla bulimia in cui siamo immersi, ma un modo di dimostrare che il vero alimento per la nostra vita è un altro.
Il digiuno è luogo di un autentico ritrovamento spirituale. Ci lascia indifesi, ci mette di fronte alla nostra nudità, ci libera dalla tirannia delle maschere e mostra la povertà estrema che risiede in ogni essere umano.
Rivela che la nostra fame non è solo di pane e che il nostro desiderio più profondo non sono le cose materiali ma il desiderio dell’altro. Ampliando il nostro spazio interiore, si trasforma in una particolare forma di ospitalità che ci fa accogliere noi stessi e gli altri.
La frugalità. Impariamo la frugalità. Che è la scelta del poco, di vivere con poco, cercando di trovarvi il massimo del senso. La frugalità è uno stile. La ricchezza di una persona non è proporzionata al numero di beni che possiede, ma al numero di cose a cui può rinunciare. La società dei consumi non dà felicità (forse darà qualche sconto la domenica!!!). Sazi, pieni, riempiti e addomesticati: non è felicità.
La scuola dei desideri. In altri termini, digiunare e puntare alla essenzialità serve a mettere a fuoco meglio i nostri desideri. Qual è il nostro desiderio reale? Qual è il nostro desiderio più profondo? A quanti metri di profondità abbiamo seppellito il nostro desiderio di Dio? Quanto siamo schiavi di quell’albero che era «buono da mangiare» e che attrasse falsamente i nostri progenitori?