Sicilia. 13 agosto 2017

Tempi siciliani. Dici alle dieci e diventano le diecietrequarti. Vabbè. È l’ora in cui incontriamo Davide, consigliere diocesano di Azione Cattolica, volontario dell’associazione Libera. Viene a prelevarci alle Anime Sante; seguendo la sua Mercedes andiamo nella vicina Cinisi, luogo di vita e di lotta di Peppino Impastato. Il cielo è terso e la mattina è piuttosto fresca. Il mare sembra sempre più blu. Sul largo viale che taglia al centro Cinisi (lo abbiamo già visto nel film), cerchiamo la casa di Impastato. Ci càpita di parcheggiare alla fine dei cento passi, davanti alla casa che era del boss Gaetano Badalamenti, confiscata e ora trasformata in biblioteca comunale. Più in giù di qualche decina di metri, dall’altra parte del viale, Davide ci ha preceduti e ci attende a Casa Memoria, la dimora della famiglia Impastato, stretta tra le case che qui sono tutte a schiera. Davanti alla porta un albero dai cui rami pendono, consunti, decine di fazzolettoni, magliette, bandiere lasciate dai visitatori.

Nell’atrio che era anche sala da pranzo, iniziamo ad ascoltare qualche pezzo della storia di Peppino e della sua famiglia. Una famiglia mafiosa, impregnata, all’inizio, della illusione che cosa nostra fosse una cosa buona, perché dava sicurezza e onore e benessere. La storia di Peppino incuriosisce e forse affascina. Sentiamo (dalle parole di Davide e leggiamo nei pannelli appesi alle pareti e nelle teche che custodiscono la testimonianza documentale dell’impegno di Peppino) la sua progressiva presa di coscienza che la mafia, in realtà, è ‘una montagna di merda’. Sentiamo del suo impegno culturale e sociale, della sua presa di distanza e dei litigi che proprio lì avvenivano con il padre. Sentiamo del suo pungente e insistente e geniale servizio di denuncia, con un gruppo di amici che scrivevano la loro ‘Idea’ e parlavano dalle frequenze di ‘Radio Aut’. Con commozione e sdegno ripercorriamo la notte del suo assassinio e dei vergognosi depistaggi e del coraggio della mamma Felicia e del lento farsi strada della giustizia che solo dopo 20 anni smentisce ufficialmente la storia del suicidio/attentato di questo giovane comunista. Ancora una testimonianza di un lavorìo paziente e quotidiano di chi cerca la verità dentro a un sacco di menzogne. Un lavorìo che ha portato tanti frutti. Davide ci parla della Cinisi di adesso, non più dominata dalle logiche mafiose: un paese in cui si può parlare apertamente, si può collaborare tra associazioni e amministrazione comunale e perfino la chiesa e l’Azione Cattolica. Dire che la mafia non c’è più e un po’ eccessivo e ci provoca ad approfondire.

Il pranzo è nella pizzeria della famiglia Impastato, a pochi chilometri. La gestisce Giovanni, fratello minore di Peppino, che ci fa accomodare all’aperto, all’ombra di ulivi secolari ed eucalipti, noi soli nella terrazza del locale. Il mare fa da cornice sullo sfondo.

L’incontro più bello è proprio con lui, con Giovanni, che portandosi appresso una birra si siede con noi dopo che abbiamo consumato il pranzo. Siamo proprio con un diretto interessato, con un famigliare delle vittime di mafia: questo fa un po’ impressione a tutti. Flemmatico e disincantato, semplice ed equilibrato, Giovanni risponde ad alcune nostre domande, sul suo rapporto con Peppino, sulla condizione attuale della mafia, sulla figura della mamma Felicia. Tra i ricordi personali che non teme di nascondere, infila parole forti.  Dice dei giudici di Roma non hanno capito o non vogliono capire derubricando l’accusa di associazione di stampo mafioso nel recente processo su mafia capitale. Dice delle trasformazioni della mafia, che si muove non più tramite personaggi di paese intrecciati con la borghesia. La strategia delle grandi stragi è stata perdente per la mafia, che ha subito colpi micidiali con la rinnovata sensibilità popolare e l’arresto di tanti suoi capi, ma si è riorganizzata sotto l’ordine di altre figure appartenenti a sfere più alte, meno riconoscibili e che la rendono più pericolosa nella gestione di grandi interessi e ormai solidamente diffusa anche nel nord della Penisola. Avverte: attenzione a considerare la mafia come un anti-stato: la mafia, in realtà, è dentro lo Stato e continua a fare affari specie con le opere pubbliche. Non è vero che la mafia è invincibile: quel che manca è evidentemente la volontà politica. Infatti i servitori dello stato uccisi dalla mafia sono quelli che lo Stato non ha voluto proteggere. E questo lo diceva un altro Giovanni: Falcone.

Ci dice poi, del coraggio della sua umile mamma, che quando ha visto Badalamenti al processo, non ha esitato a dire ‘Sei stato tu ad uccidere mio figlio’, con forza e serenità. Ecco il punto, decisivo, secondo Giovanni, per tutti i frutti di cambiamento che lo sforzo comune di volontari e associazioni ha portato a Cinisi: il fatto che la loro famiglia non ha provato e non ha ceduto all’odio. Ci racconta di un momento decisivo, quando i parenti americani erano tornati per vendicare l’assassinio di Peppino, considerato ‘un sangue pazzo’ ma pur sempre ‘uno di loro’. No. ‘Peppino non è uno di voi, e vendette non ne voglio’: Felicia vive e insegna il passaggio definitivo al di fuori delle logiche mafiose…

Salutiamo cordialmente Giovanni, che non manca di far pubblicità al suo ultimo libro, e visitiamo a Marina di Cinisi la struttura ‘Ciuri di campo’, un bene confiscato alla mafia: alcune villette (già dell’immobiliarista Vincenzo Piazza) in mezzo ai pini marittimi, luogo di ritrovo di centinaia di giovani che da tutta Italia vengono a informarsi e a formarsi sulla legalità.

Avevamo cominciato dopo e finiamo prima del previsto. Ci sta un bel bagno alla Praiola, tra le alte e divertenti onde. Ci sta poi la Messa, celebrata nella chiesetta della anime Sante, con calma, tentando di raccogliere la nostra vita di questi giorni e di intrecciarla con la presenza buona e reale del Signore della vita. Ci chiede di essere come lui, fermi sussurri della giustizia di Dio; ci chiede di essere appassionati per la salvezza degli altri; ci tranquillizza, con la sua fedeltà educativa, sulle nostre paure e sui passi incerti della nostra fede.

Alla Sirenetta, sul porto di Terrasini, si conclude la nostra giornata. Si mangia pesce, scambiandoci fraternamente gli assaggi di fritto, pescespada, sarde, scogli, strani condimenti di pistacchi e gamberi, con l’immancabile panella e un fresco bianco locale, mentre non si riesce a non parlare degli incontri di oggi.