Si è svolta domenica 12 marzo l’annuale giornata della Bibbia, che da una ventina d’anni si vive in parrocchia a S. Agostino. Quest’anno è stata dedicata alla lettera di Giacomo, con una lettura intervallata da brani musicali (dalla Passione secondo S. Giovanni di J.S. Bach e dal Messiah di G.F. Haendel) e da alcune pagine di S. Agostino, qui sotto riportate. Il video dell’incontro può essere consultato qui.
* * *
Introduzione alla lettera di Giacomo
Una «Lettera» che non è una lettera, piuttosto una una raccolta di testi omiletici, un’opera catechistico-morale, con una forte connotazione giudaica.
Un «caleidoscopio» senza una struttura individuabile:
1,1: indirizzo e saluto
1,2-11: esortazione alla perseveranza nella prove
1,12-18: da Dio viene non la tentazione, ma ogni dono perfetto;
1,19-27: pronti ad ascoltare, lenti a parlare
2,1-13: la legge regale dell’amore
2,14-26: la fede, senza le opere, è morta
3,1-12: la lingua avvelena l’esistenza
3,13-18: la vera sapienza viene dall’alto
4,1-12: esortazione alla sottomissione a Dio
4,13-17: rimprovero a chi presume di sè
5,1-6: ammonimento ai ricchi sfruttatori
5,7-20: esortazioni finali ad essere pazienti fino alla venuta del Signore
«La lettera trova la sua unità di fondo nell’idea di sapienza cristiana, intesa come saggezza pratica, come una mentalità maturata nella riflessione e nella preghiera, che si esprime poi in una valutazione concreta delle cose, anche le più disparate,, e tende a una conclusione operativa. La Lettera di Giacomo è l’espressione più viva di questa sapienza» (U. Vanni).
Tre principi per una vita sapiente:
– Dio Padre, creatore degli astri e degli uomini, immutabile, autore di ogni bene: della salvezza, della rigenerazione e della rivelazione profetica. Padre degli uomini, dona loro la grazia, esaudisce le preghiera, rimette i peccati.
– Gesù Cristo, il Signore, il Signore nostro della gloria
– l’uomo fatto a immagine di Dio, peccatore, spinto al male dalla sua concupiscenza e dal demonio. Rigenerato dal vangelo e dal battesimo, destinato alla vita eterna.
La dinamica della vita sapiente:
– l’ascolto della Parola di verità che ci rigenera; è come un seme che fa crescere la salvezza
– la preghiera individuale e comunitaria, in tutte le circostanze della vita, compresa la malattia
– il realismo delle tentazioni e delle difficoltà: bisogna superare se stessi, vincere il male radicato nel cuore e che conduce al peccato e alla morte; bisogna vincere il male che viene dal tentatore. Le prove consolidano e rafforzano!
– la fede è fondamentale: deve essere provata nella sua genuinità, accompagna la preghiera, impedisce preferenze indebite, rende ricchi i poveri. Deve essere viva!
Giacomo contro Paolo? Proprio no.
Fede per Paolo è l’apertura al rapporto con il Signore che giustifica e salva
Fede per Giacomo è una dottrina teorica, condivisa razionalmente, che rimane astratta
Opere per Paolo sono le indicazioni della Legge, da taluni intese come mezzi per ottenere la salvezza
Opere per Giacomo sono le opere della carità cristiana, segno e conseguenza della salvezza ricevuta
Della Giustificazione Paolo sottolinea il fondamento: il dono gratuito della salvezza
Della Giustificazione Giacomo sottolinea le conseguenze: le opere della vita nuova
– l’attenzione agli altri, fondamentale espressione dell’essere uniti nella Chiesa, come fratelli che pregano insieme, che si confessano reciprocamente, che con la carità coprono una moltitudine di peccati. Assurdo il preferenziale riguardo verso il ricco e il disinteresse verso il povero. Assurdo sfruttare i poveri a proprio vantaggio. Assurda la maldicenza.
Scritta in greco perfetto ed elegante e retorico, è simile agli scritti morali stoici, alla letteratura sapienziale biblica (spc. Proverbi e Siracide), a opere apocrife (Manuale di disciplina, la regola di Qumran), alle prime opere cristiane (I lettera di Clemente; Pastore di Erma). Contiene circa trenta passi in comune con Matteo!
Chi è Giacomo (Giacobbe), questo cristiano di origine giudaica che parla bene il greco ed è maestro autorevole?
– Non può essere il Maggiore, il figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni (morto troppo presto, nel 44 d.C.)
– Tradizionalmente è identificato con Giacomo il Minore, l’apostolo figlio di Alfeo, che a sua volta è identificato con il parente di Gesù di Mc 6,3 e capo della Chiesa di Gerusalemme At 12,17; 15,13; 21,18), uomo semplice della Galilea, legato alle tradizioni giudaiche e al rispetto della legge di Mosè. Ma nella lettera non ci sono tendenze legalistiche, mancano i riferimenti a Gesù, il greco è perfetto. E inoltre, la lettera è stata riconosciuta tardi: impensabile il disinteresse se fosse stata scritta dal capo della Chiesa di Gerusalemme…
È dunque, probabilmente, un Giacomo sconosciuto della seconda o terza generazione, colto, conoscitore dell’AT (LXX) che si è servito di tradizioni precedenti, specialmente dell’ambiente di Matteo.
Dove e quando è stata composta?
Probabilmente verso la fine del I secolo, in ambiente giudeo-cristiano di Palestina, Siria o Egitto
Per chi?
1,1: «Alle dodici tribù che sono disperse nel mondo (nella diaspora)». Cioè alla comunità cristiana erede delle promesse dell’AT, all’insieme dei convertiti, ovunque si trovino, di solido di condizione sociale medio-bassa.
Riconoscimento
Primi due secoli: nessuna attestazione
Origene (185-254) è il primo che la cita come scritto canonico.
Eusebio (265-340) ne accetta la canonicità, ma non l’autenticità.
IV secolo: è accettata pacificamente dai grandi Padri (tra cui Agostino) e compare nelle liste dei Concili africani (393, 397, 419 d.C.)
Sulla scia di Lutero, Erasmo da Rotterdam (nel 1522) la definisce «lettera di paglia» (cf. 1Cor 3,11-13: «Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno»), perchè «poco fondata e sicura» a causa della apparente opposizione con la dottrina paolina della giustificazione per fede e per la mancanza di cristologia.
Lettera di Giacomo, capitolo 1
SALUTO
1 Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella diaspora, salute. 2Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, 3sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. 4E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla.
5Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data. 6La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. 7Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: 8è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni.
9Il fratello di umili condizioni sia fiero di essere innalzato, 10il ricco, invece, di essere abbassato, perché come fiore d’erba passerà. 11Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l’erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco nelle sue imprese appassirà.
12Beato l’uomo che resiste alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.
13Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno.14Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono; 15poi le passioni concepiscono e generano il peccato, e il peccato, una volta commesso, produce la morte.
16Non ingannatevi, fratelli miei carissimi; 17ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. 18Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.
FEDE E OPERE
Ascoltare e mettere in pratica la Parola
19Lo sapete, fratelli miei carissimi: ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. 20Infatti l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio. 21Perciò liberatevi da ogni impurità e da ogni eccesso di malizia, accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. 22Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; 23perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio:24appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. 25Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.
26Se qualcuno ritiene di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana. 27Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.
S. Agostino, Discorso 79
Gli uffici di Maria e di Marta. Buona l’occupazione di Marta. Il bene dell’accoglienza.
3. Questa occupazione (di ascoltare la Parola) si era scelta anche quella ben nota Maria, la quale, mentre la sorella si dedicava al servizio, occupata in varie faccende, sedeva ai piedi del Signore e se ne stava oziosa ad ascoltarne la parola. Giovanni stava in piedi, quella sedeva; ma quella era eretta interiormente e quello sedeva per umiltà. Giacché la posizione eretta significa la perseveranza, lo stare seduti l’umiltà. E affinché sappiate che lo stare in piedi significa la perseveranza, si dice che il diavolo, di cui sta scritto: Era omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità (Gv 8, 44), non l’abbia avuta. Così pure, che lo stare seduti significhi l’umiltà, lo mostra quel Salmo che induce alla penitenza e dice: Alzatevi dopo essere stati seduti, voi che mangiate il pane del dolore (Sal 126, 2). Che vuol dire: Alzatevi dopo essere stati seduti? Chi si umilia sarà esaltato (Lc 14, 11). Parlando di Maria, che sedeva ai suoi piedi e ne ascoltava la parola, il Signore stesso attesta qual è il vantaggio che comporta l’ascolto. Indaffaratissima nel servire, la sorella di lei, lamentandosi infatti di essere stata lasciata sola da quella, sentì dirsi dal Signore a cui aveva fatto ricorso: Marta, Marta, tu ti preoccupi per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno, Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta (Lc 10, 41-42). Che era forse male ciò che faceva Marta? Chi di noi ha parole sufficienti a spiegare che gran bene sia offrire ospitalità ai santi? Se vale per qualsiasi fratello nella fede, quanto più per il capo e le membra più ragguardevoli, Cristo e gli Apostoli? Non è vero che ciascuno di voi, considerando questo bene dell’ospitalità, nell’ascoltare quel che Marta faceva, ne godesse tra sé? Lei beata, lei felice che meritò di accogliere il Signore, che ebbe quali ospiti gli Apostoli in carne ed ossa! Perché tu non ti senta da meno in quanto nella tua casa non puoi ricevere Cristo insieme ai suoi santi Apostoli come Marta, egli stesso ti fa sicuro: Quando lo avete fatto ad uno solo di questi miei più piccoli, lo avete fatto a me (Mt 25, 40). E’ perciò un’opera che vale molto, e assai eccellente ciò che prescrive l’Apostolo dicendo: Condividendo i bisogni dei fratelli nella fede, premurosi nell’ospitalità (Rm 12, 13). Facendone le lodi, dice nella Lettera agli Ebrei: Per essa, senza saperlo, alcuni hanno ospitato gli angeli (Eb 13, 2). Un servizio importante, quindi, un grande dono. Eppure Maria ha scelto la parte migliore perché, mentre la sorella era preoccupata, intenta a molte cose, se ne stava da parte, era seduta, ascoltava.
Migliore la parte di Maria, perché non è tolta. E’ tolto l’operare di Marta, non la ricompensa.
4. Tuttavia il Signore rende chiaro il motivo per cui quella parte è migliore. Subito dopo aver detto: Maria ha scelto la parte migliore, quasi noi mostrassimo il desiderio di sapere perché migliore, proseguì con l’asserire: Quella che non le sarà tolta (Lc 10, 42). Che cosa ci è dato capire, fratelli miei? Se ha scelto la parte migliore perché non le sarà tolta, indubbiamente Marta aveva scelto la parte che le sarà tolta. Propriamente sarà tolta ad ogni uomo, il quale somministra ai fratelli nella fede quelle cose che sono indispensabili al corpo; a costui sarà tolta la sua operosità. Non durerà sempre infatti il suo servizio a favore dei santi. In realtà a chi offre il suo servizio, se non all’infermo? Chi serve se non il mortale? Chi serve se non chi ha fame e sete? Tutte cose, queste, che cesseranno di esistere quando questo corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità e questo corpo mortale si vestirà d’immortalità. Una volta passata la stessa necessità, non ha ragione d’essere alcun servizio. Sarà eliminata la fatica, sarà data la ricompensa. A chi si darà cibo, dove nessuno ha fame? A chi si darà da bere, dove nessuno ha sete? Chi si ospiterà, dove nessuno è pellegrino? Infatti il Signore con i suoi discepoli, per aver modo di ricompensare tale opera, si degnò di aver bisogno. Anch’egli aveva fame e aveva sete; non perché era costretto, ma per degnazione. Era un bene davvero che avesse fame colui per il quale tutte le cose sono state fatte; in tal modo sarebbe stato felice chi lo avesse nutrito. E quando ognuno cibava il Signore, che dava? Chi era a dare? Da che dava? A chi dava? Che cosa dava? Dava cibo al ” pane “. Chi era a Dare?. Dava senz’altro uno che voleva ricevere di più. Da che gli veniva per darlo? Forse che dal suo? Che aveva infatti che non avesse ricevuto? A chi dava? Non lo dava forse a colui che aveva creato anche ciò che riceveva e l’uomo dal quale riceveva? Grande tale servizio, grande tale opera, grande il dono. Eppure Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta. Passa dunque la parte di Marta; ma, come ho detto, non passa la ricompensa data per quella.
Com’è che non passa la parte di Maria.
5. La parte di Maria non passa davvero. Considerate com’è che non può passare. Di che godeva Maria mentre era in ascolto? Di che si cibava? Che cosa beveva? Sapete voi che cosa mangiava, che cosa beveva? Interroghiamo il Signore stesso che ai suoi preparava una tale mensa, interroghiamo proprio lui. Beati – egli dice – coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati (Mt 5,6). La santa Maria, sedendo ai piedi del Signore, riceveva, affamata, alcune briciole da codesta sorgente, da codesto deposito. Il Signore le dava allora quel tanto di cui era capace. D’altra parte, né i discepoli e neppure gli stessi Apostoli avevano capacità di tutto – tanto però quanto egli darà in quella sua futura mensa – allorché diceva loro: Molte cose ho ancora da dirvi, ma ora non avete capacità per riceverle (Gv 16, 12). Maria allora, come ho detto, di che si dilettava? Che cosa mangiava, che cosa beveva con la bocca avidissima del cuore? La giustizia, la verità. Si dilettava della verità, ascoltava la verità; anelava alla verità, sospirava verso la verità. Affamata, si nutriva della verità; assetata, beveva; Maria si ristorava e non si riduceva quello da cui attingeva. Di che si dilettava Maria? Che cosa mangiava? Indugio qui: è il mio godere. Giungo perfino a dire che mangiava lui stesso ascoltandolo. Infatti, se mangiava la verità, non è forse perché egli stesso ha detto: Io sono la verità (Gv 14, 6)? E che dirò di più? Si faceva mangiare perché era pane. Io sono – ha detto – il pane che sono disceso dal cielo (Gv 6, 41). Ecco il pane che ristora senza venir meno.
Lettera di Giacomo, capitolo 2
Ingiuste preferenze
1 Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali.2Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. 3Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello»,4non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?
5Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? 6Voi invece avete disonorato il povero! Non sono forse i ricchi che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? 7Non sono loro che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi? 8Certo, se adempite quella che, secondo la Scrittura, è la legge regale: Amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene. 9Ma se fate favoritismi personali, commettete un peccato e siete accusati dalla Legge come trasgressori. 10Poiché chiunque osservi tutta la Legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto; 11infatti colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto anche: Non uccidere. Ora se tu non commetti adulterio, ma uccidi, ti rendi trasgressore della Legge.12Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché 13il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio.
La fede e le opere
14A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? 15Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano 16e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? 17Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. 18Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». 19Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! 20Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore? 21Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le sue opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? 22Vedi: la fede agiva insieme alle opere di lui, e per le opere la fede divenne perfetta. 23E si compì la Scrittura che dice: Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio. 24Vedete: l’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede. 25Così anche Raab, la prostituta, non fu forse giustificata per le opere, perché aveva dato ospitalità agli esploratori e li aveva fatti ripartire per un’altra strada?26Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.
S. Agostino, La fede e le opere
Questione terza: la fede senza le opere non è di alcun giovamento.
14. 21. Ora dunque esaminiamo ciò che si deve sradicare dai cuori timorati di Dio perché non perdano la loro salvezza a causa di una perversa sicurezza. Questo avverrebbe qualora ritenessero che per ottenerla sia sufficiente la fede, e perciò trascurassero di vivere bene e di seguire la via di Dio con le opere buone. Invero, anche al tempo degli Apostoli certuni, per non aver compreso alcuni passi piuttosto oscuri dell’Apostolo Paolo, credettero che egli dicesse: Facciamo il male, affinché ne venga il bene (Rm 3,8), perché aveva detto: È intervenuta la legge, affinché l’errore fosse abbondante; ma dove abbondò l’errore, sovrabbondò la grazia (Rm 5,20). Il che è vero, nel senso che, ricevendo la legge ma non chiedendo con retta fede l’aiuto divino per vincere le perverse concupiscenze, uomini che presumevano molto superbamente delle loro forze, si sono caricati di più numerosi e più gravi delitti, poiché vi aggiunsero anche la trasgressione della legge. Ma così, sotto la spinta di una colpa tanto grande, si rifugiarono nella fede, per mezzo della quale potessero meritare dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra (cf. Sal. 120,2), la misericordia della sua indulgenza e del suo aiuto, in modo che, diffusasi nei loro cuori la carità attraverso lo Spirito Santo (cf. Rm 5,5), potessero compiere con amore ciò che era loro prescritto contro le concupiscenze di questo generazione, secondo quanto era stato predetto nel Salmo: I loro mali si sono moltiplicati, allora si sono affrettati (Sa. 15,4). Quando dunque l’Apostolo dice che, a suo avviso, l’uomo è giustificato per mezzo della fede senza le opere della legge (Cf. Rm 3, 28; Gal 2, 16), non lo sostiene perché, una volta accolta e professata la fede, le opere della giustizia siano trascurate, ma perché ciascuno sappia che può essere giustificato per mezzo della fede, anche senza aver prima compiuto le opere della legge. Queste infatti seguono la giustificazione, non la precedono. Di questo argomento, però, non è necessario che ne discuta più a lungo in questa opera, soprattutto perché su di esso ho di recente pubblicato un libro assai esteso che si intitola Lo Spirito e la lettera. Poiché dunque questa convinzione aveva visto la luce in quei tempi, altre lettere, quelle degli apostoli Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda, si rivolgono principalmente contro di essa, per sostenere con energia che la fede senza le opere non è di alcun giovamento. Anche Paolo, del resto, definì salvifica e veramente evangelica non una fede qualunque con la quale si crede in Dio, ma quella le cui opere procedono dalla carità: La fede, così dice, che opera per mezzo della carità (Gal 5,6). Da qui l’affermazione che quella fede che ad alcuni sembra sufficiente per la salvezza, non giova a nulla, di modo che dice: Se possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, io sono un niente (1Cor 13,2). Invece là dove opera una carità ispirata dalla fede, senza dubbio si vive bene, perché Il compimento della legge è la carità (Rm 13,10).
Paolo, come pure tutti gli altri apostoli, è dell’opinione che la salvezza eterna è data solo a coloro che vivono bene.
14. 22. Per questo evidentemente nella sua seconda lettera Pietro esorta alla santità della condotta di vita e preannunzia che questo mondo passerà, ma si attendono cieli nuovi e una terra nuova, che sarà data ai giusti da abitare: si facciano perciò attenti a come devono vivere, per diventare degni di quella dimora. Inoltre, sapendo che alcuni cattivi cristiani avevano preso occasione da certi passi assai oscuri dell’apostolo Paolo per non curarsi di vivere bene, presumendosi sicuri della salvezza che risiede nella fede, ricorda che nelle sue lettere ci sono passi difficili a capirsi, dei quali – come avviene anche per il resto delle Scritture – gli uomini, a loro propria rovina, stravolgono il senso: anche Paolo, però come pure tutti gli altri apostoli, è dell’opinione che la salvezza eterna è data solo a coloro che vivono bene. Ecco appunto Pietro: Poiché dunque tutte queste cose si devono dissolvere così, quali non dovete essere voi, nella santità della vostra condotta e nella pietà, attendendo e, anzi, affrettando la venuta del giorno del Signore, nel quale i cieli infuocati si dissolveranno e gli elementi si disintegreranno consumati dal calore? Ma, secondo la sua promessa, noi attendiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia. Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, cercate di essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace. Giudicatela come salvezza la magnanimità del Signore nostro, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così fa in tutte le lettere in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli instabili travisano, come fanno anche con il resto delle Scritture, per loro propria rovina. Voi dunque, carissimi, che ne siete stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti dall’errore degli empi. Crescete piuttosto nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo. A lui sia gloria ora e nel giorno dell’eternità (2 Pt 3, 11-18).
La fede senza le opere non giova alla salvezza.
14. 23. Giacomo poi è così avverso nei confronti di quanti presumono che la fede senza le opere valga per ottenere la salvezza da paragonarli addirittura ai demoni. Dice infatti: Tu credi che c’è un solo Dio? Fai bene; anche i demoni lo credono, e tremano (Gc 2,19). Che cosa si sarebbe potuto dire di più vero e in modo più breve ed incisivo? Anche nel Vangelo infatti leggiamo di questa confessione dei demoni quando proclamarono Cristo Figlio di Dio e da lui furono rimproverati (Mc 1,24-25), cosa che fu lodata da Pietro nella sua professione di fede. Fratelli miei, domanda Giacomo, che giova ad uno dire di aver la fede, se non ha le opere? Forse che quella fede potrà salvarlo? (Gc 2,14); e ancora: Perché la fede senza le opere è morta (Gc 2,20). Ecco fino a qual punto dunque s’ingannano quelli che si ripromettono la vita eterna sul fondamento di una fede morta!
Lettera di Giacomo, capitolo 3
LA VERA SAPIENZA
La lingua è un fuoco
1 Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo: 2tutti infatti pecchiamo in molte cose. Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. 3Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. 4Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota. 5Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! 6Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna. 7Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dall’uomo, 8ma la lingua nessuno la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale. 9Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. 10Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei! 11La sorgente può forse far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara? 12Può forse, miei fratelli, un albero di fichi produrre olive o una vite produrre fichi? Così una sorgente salata non può produrre acqua dolce.
La sapienza che viene dall’alto
13Chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. 14Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità. 15Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; 16perché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. 17Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. 18Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
S. Agostino, La natura e la grazia
I peccati della lingua.
15. Certo, l’affermazione dell’apostolo Giacomo: Nessun uomo può domare la lingua (Gc 3,8) non mi sembra che si possa intendere alla maniera in cui la spiega l’autore del libro: “È detto in tono di rimprovero, come se si chiedesse: Nessuno dunque può domare la sua lingua? Sarebbe un rimbrotto di questa specie: Voi potete domare le fiere e non potete domare la lingua? Quasi ritenesse più facile domare la lingua che le fiere”. Non credo che questo sia il senso del testo! Se infatti avesse voluto convincere della facilità di domare la lingua, avrebbe dovuto sviluppare nel seguito il confronto con le bestie e invece afferma: [La lingua è] un male ribelle, è piena di veleno mortale (Gc 3,8), certo più dannoso di quello delle bestie e dei serpenti, perché l’uno uccide il corpo e l’altro l’anima: Una bocca menzognera uccide l’anima (Sap 1,11). S. Giacomo dunque non espresse né volle che s’intendesse quella sua sentenza nel senso che domare la lingua sia più facile d’ammansire le bestie, ma volle piuttosto mostrare quanto grande sia nell’uomo il male della lingua, tanto da non poter essere domato da nessun uomo, benché gli uomini dominino anche le bestie. E non dice questo perché lasciamo per trascuratezza che questo male continui a tiranneggiare su di noi, ma affinché per domare la lingua noi chiediamo l’aiuto della grazia divina. Non dice infatti: “Nessuno” può domare la lingua, ma: “Nessun uomo”, perché quando viene domata riconosciamo tale risultato alla misericordia di Dio, all’aiuto di Dio, alla grazia di Dio. Si applichi dunque l’anima a domare la lingua e nel suo sforzo chieda aiuto: preghi con la lingua che si domi la lingua, intervenendo il dono di colui che disse ai suoi: Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi (Mt 10,20). Siamo dunque avvertiti dal precetto divino a comportarci così; poiché però non bastiamo ad osservarlo con la nostra forza e il nostro sforzo. dobbiamo invocare l’aiuto di Dio con la preghiera.
S. Giacomo esorta alla preghiera e quindi alla grazia.
16. Perciò lo stesso S. Giacomo, dopo aver rilevato il male della lingua (cf. Gc 3,6) dicendo tra l’altro: Non dev’essere così, fratelli miei (Gc 3,10), nel porre fine all’argomento ricorda con quale aiuto non avverrebbe più quello di cui dice: Non dev’essere così. Scrive: Chi è saggio e accorto tra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrena, carnale, diabolica; poiché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia (Gc 3,13-17). Questa è la sapienza che doma la lingua, una sapienza che discende dall’alto, non che balza dal cuore umano. Oserà qualcuno togliere anche questa alla grazia di Dio e porla con superbissima vanità in potere dell’uomo? Perché dunque si prega di riceverla, se averla dipende dall’uomo? Oppure ci si oppone anche a questa preghiera per non offendere il libero arbitrio che basta a se stesso con le sue possibilità naturali per osservare tutti i precetti della giustizia? Ci si opponga dunque al medesimo apostolo Giacomo che esorta e dice: Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare e gli sarà data. La domandi però con fede senza esitare (Gc 1,5-6). Questa è la fede alla quale sospingono i precetti, perché la legge imperi e la fede impetri. Con la lingua che nessun uomo riesce a domare, ma ben ci riesce la sapienza che discende dall’alto (Cf. Gc 3, 8. 15), tutti manchiamo in molte cose (Gc 3,2). Anche a quest’affermazione l’apostolo Giacomo dà il medesimo senso che all’altra: Nessun uomo può domare la lingua (Cf. Gc 3).
Lettera di Giacomo, capitolo 4
Cause di discordia
1 Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? 2Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; 3chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni. 4Gente infedele! Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio?
Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. 5O forse pensate che invano la Scrittura dichiari: «Fino alla gelosia ci ama lo Spirito, che egli ha fatto abitare in noi»? 6Anzi, ci concede la grazia più grande; per questo dice:
Dio resiste ai superbi,
agli umili invece dà la sua grazia.
7Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi. 8Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori. 9Riconoscete la vostra miseria, fate lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza. 10Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà.
Lotta all’orgoglio
11Non dite male gli uni degli altri, fratelli. Chi dice male del fratello, o giudica il suo fratello, parla contro la Legge e giudica la Legge. E se tu giudichi la Legge, non sei uno che osserva la Legge, ma uno che la giudica. 12Uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e mandare in rovina; ma chi sei tu, che giudichi il tuo prossimo?
13E ora a voi, che dite: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni», 14mentre non sapete quale sarà domani la vostra vita! Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare. 15Dovreste dire invece: «Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello». 16Ora invece vi vantate nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è iniquo. 17Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato.
S. Agostino, Discorso 351
L’umiltà riduce la distanza tra noi e Dio.
1. 1. Gli uomini che tengono ben presente di non essere altro che uomini capiscono assai facilmente quanto sia utile e necessaria, a modo di cura, la penitenza. E` stato scritto infatti: Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia (Gc 4,6). E nel Vangelo il Signore dice: Chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato (Lc 18,14). Il pubblicano attento a confessare le sue colpe se ne esce dal tempio più giustificato del fariseo che per la enumerazione dei suoi meriti si sentiva tranquillo. Egli ringraziava Dio dicendo: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri; non sono neppure come contesto pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Ebbene a lui fu preferito quello che si era fermato a distanza e non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore (Lc 18,10-14). Il fariseo non tanto godeva della sua pretesa integrità, quanto del confronto coi difetti altrui. Di certo gli sarebbe stato più utile mostrare apertamente al medico, dal quale era venuto, i mali di cui soffriva, anziché nascondere le sue piaghe e prendere vanto dal confronto con quelle altrui. Non ci stupisce perciò se quel pubblicano, che non ebbe vergogna a mostrare la sua parte malata, se ne tornò più guarito dell’altro. Nel mondo del visibile, per raggiungere zone elevate, bisogna senza dubbio portarsi in alto; Dio invece, che è la somma altezza, si raggiunge abbassandosi per mezzo dell’umiltà, non innalzandosi. Per tale motivo dice il profeta: Il Signore è vicino a quelli che hanno il cuore contrito (Sal 33,19). E ancora: Eccelso è il Signore. Egli volge lo sguardo verso le umili cose e guarda da lontano le cose eccelse (Sal 137,6). Le cose eccelse sta qui ad indicare “i superbi”; le une quindi le guarda per accoglierle, le altre per respingerle. Dicendo che alle cose eccelse volge lo sguardo da lontano mostra a sufficienza che a quelle umili fa attenzione da vicino. E tuttavia aveva definito poco prima ” eccelso ” il Signore stesso. Ma Dio, lui solo, non è superbo per quanto grande sia la lode con la quale viene esaltato. Non ritenga dunque la superbia di potersi celare agli occhi di Dio perché Dio, conosce le cose eccelse, e non creda che la sua sia un’altezza congiunta a Dio, perché le cose eccelse Dio le guarda da lontano. Chi pertanto rifiuta l’umiltà della penitenza costui non ha in mente di avvicinarsi a Dio: altro è infatti innalzarsi a Dio, e altro è sollevarsi contro di lui. Chi si china davanti a Dio, da lui viene sollevato; chi si erge contro di lui, da lui viene respinto lontano. Una cosa è la solidità della vera grandezza, altra cosa la vanità di un vuoto orgoglio. Chi si gonfia all’esterno si guasta al suo interno. Chi invece sceglie di restare umile alla soglia della casa di Dio piuttosto che abitare nella casa dei peccatori (Sal 83,11), costui Dio lo sceglie perché abiti nei suoi atri e, mentre egli per sé non pretendeva nulla, lo fa entrare nella sede beata. Per questo con tanta dolcezza e somma verità si canta nel Salmo: Beato l’uomo accolto da te, Signore (Sal 83,6). Non credere poi che chi si umilia stia sempre in basso, dal momento che è stato detto sarà esaltato. Ma non credere che questo tipo di esaltazione si verifichi davanti agli occhi degli uomini, per qualche superiorità connessa col mondo terreno. Nelle parole: Beato l’uomo accolto da te, Signore è incluso e svelato il livello di altezza spirituale di questa accoglienza. Ha messo gradini di ascensione – prosegue il Salmo – nell’intimo del suo cuore, nella valle del pianto, nel luogo stabilito da lui (Sal 83,6-7). Dove dunque ha collocato l’inizio dell’ascesa? Nel cuore, cioè nella valle del pianto. Questo è il significato di: Chi si umilia sarà esaltato. Come infatti l’ ” ascesa ” è l’esaltazione dell’uomo, così la valle ne indica l’umiltà, i suoi gemiti nel profondo delle convalli. Come infatti il dolore è compagno del pentimento, così il pianto lo è del dolore. Si attaglia benissimo al tema il seguito del Salmo: Chi ha dato la legge darà la benedizione (Sal 83,8). La legge è stata data per mettere in luce le ferite provocate dal peccato, ferite che la benedizione della grazia può risanare. La legge è stata data per manifestare al superbo la sua debolezza e per indurre il debole a penitenza. La legge è stata data perché nella valle del pianto dicessimo [con l’Apostolo]: Vedo nelle mie membra una legge che muove guerra alla legge che è nella mia mente, e che mi rende schiavo della legge del peccato, che si trova nelle mie membra; e gridassimo piangendo con lui: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Ci venga in soccorso, esaudendoci, colui che rialza chi è caduto, libera i prigionieri, ridona la vista ai ciechi (cf. Sal 145,7-8), la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo il Signore nostro (Rm 7,23-25)!
Lettera di Giacomo, capitolo 5
Contro i ricchi
1 E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! 2Le vostre ricchezze sono marce, 3i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! 4Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. 5Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. 6Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.
IL SIGNORE E’ VICINO
La venuta del Signore è vicina
7Siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. 8Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. 9Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. 10Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. 11Ecco, noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione.
12Soprattutto, fratelli miei, non giurate né per il cielo, né per la terra e non fate alcun altro giuramento. Ma il vostro «sì» sia sì, e il vostro «no» no, per non incorrere nella condanna.
Preghiera e unzione dei malati
13Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode. 14Chi è malato, chiami presso di sé i presbìteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. 15E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. 16Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto potente è la preghiera fervorosa del giusto. 17Elia era un uomo come noi: pregò intensamente che non piovesse, e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. 18Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto.
Correzione fraterna
19Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, 20costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati.
S. Agostino, Discorso 39
6. Come non ti sei recato nulla [in questo mondo] così non ti porterai via nulla (1Tim 6,7). Spedisci lassù ciò che hai potuto trovare, sicuro che non lo perderai. Dàllo a Cristo. Cristo stesso infatti volle ricevere da te in questo mondo; e tu, dando a Cristo del tuo, forse che lo perderai? Non lo perdi affidandolo al tuo servo, e lo perderai se lo affidi al tuo Signore? Non lo perdi quando affidi al tuo servo ciò che ti sei acquistato, e lo perdi affidando al tuo Signore ciò che da lui stesso, il tuo Signore, hai ricevuto? Cristo ha voluto esperimentare il bisogno in questo mondo, ma l’ha fatto per noi. Cristo poteva nutrire tutti i poveri che incontrate, come nutrì Elia servendosi d’un corvo. Tuttavia giunse il momento in cui anche ad Elia fece mancare il corvo. E il fatto che Elia fu sostentato dalla vedova, non fu un beneficio concesso ad Elia ma alla vedova stessa (Cf. 1 Re 17, 4-16). Quando dunque Dio dispone che ci siano i poveri – poiché è lui che non vuole posseggano beni materiali – quando crea i poveri mette alla prova i ricchi. Così infatti sta scritto: Il povero e il ricco si corsero incontro (Prv 22,2). Dove si corsero incontro? In questa vita. Nacque l’uno e nacque anche l’altro: si conobbero, si incontrarono. E chi li fece? Il Signore (Prv 22,2). Fece il ricco perché aiutasse il povero, fece il povero per mettere alla prova il ricco. Ciascuno faccia [l’elemosina] secondo le sue disponibilità. Non deve largheggiare, il ricco, in modo da venirsi a trovare lui stesso nelle strettezze. Non diciamo questo. Il tuo superfluo è necessario all’altro. Or ora, quando si leggeva il Vangelo, avete ascoltato: Chi darà un bicchiere di acqua fresca a uno di questi miei più piccoli per amor mio non perderà la sua ricompensa (Mt 10, 42; Mc 9, 40). Mise come in vendita il regno dei cieli, e stabilì che suo prezzo fosse un bicchiere di acqua fresca. Ma questo bicchiere di acqua fresca potrà essere [sufficiente] come elemosina quando chi la fa è anche lui povero; se invece uno ha di più deve dare di più. Quella vedova diede due spiccioli (cf. Mc 12,42); Zaccheo diede la metà del suo patrimonio, riservandosi l’altra metà per risarcire le truffe che aveva commesso (cf. Lc 19,8). Le elemosine giovano a coloro che cambiano vita, e in tanto dài a Cristo bisognoso in quanto ti serve per redimere i peccati commessi. Se viceversa volessi dare presumendo che ti sia lecito continuare nel peccato, non nutriresti Cristo ma tenteresti di corrompere il tuo giudice. Fate dunque l’elemosina perché le vostre orazioni siano esaudite e Dio vi aiuti a cambiare in meglio la vostra vita. Se infatti cambiate la vostra vita, cambiatela in meglio. E in conseguenza delle vostre elemosine e preghiere siano cancellate le vostre colpe passate e vengano su di voi i beni futuri, quelli eterni.
Il resto, quello che ti rimane di superfluo, è necessario agli altri. Il superfluo dei ricchi è necessario ai poveri. Quando si posseggono cose superflue si posseggono cose che appartengono agli altri. (En. in ps. 147, 12)