Commento al vangelo dell’8 novembre 2015.
Gesù è quasi al termine del suo itinerario verso la Pasqua. Gli ultimi giorni prima dell’evento cruciale li passa nel tempio di Gerusalemme: insegna, ascolta, discute con la gente, con i discepoli, con gli scribi, i farisei, i sadducei. Il brano che ascoltiamo oggi (Mc 12,38-44) è immediatamente precedente il suo ultimo grande discorso (quello cosiddetto ‘escatologico’). Nel suo insegnamento, il Signore continua a manifestare premura e insieme grande chiarezza e profondità. Mette in guardia (‘guardatevi’) i suoi ascoltatori di allora e di oggi: lo stile di vita degli scribi non va bene. È fondato sull’apparire, sul farsi vedere, sul cercare consenso degli altri. ‘Amano’ fare così. C’è proprio un senso di compiacimento, che Gesù ci aiuta a smascherare in noi stessi: nessuno è esente da questa tentazione, che lui stesso, il Signore, aveva affrontato nei quaranta giorni di deserto all’inizio della sua missione. La tentazione dell’avere, del successo, del potere, nella quale pensiamo di star bene, di essere forti e sicuri. In realtà è una illusione. È una risposta sbagliata ad un bisogno vero. Tutti abbiamo bisogno di sentirci forti e sicuri, perché abbiamo bisogno di essere amati. Perché abbiamo paura di non essere amati. E cercare il consenso, e l’applauso, e il dominio sulle cose e sulle persone ci dà l’impressione di compensare il bisogno e la paura. Gesù dice che bisogna guardarsi da questo: la risposta vera è un’altra!
Marco continua a raccontare che Gesù «stava seduto di fronte al tesoro». Il tesoro era una grande sala costruita da Erode nella parte settentrionale del tempio di Gerusalemme, che conteneva 13 cassette per le offerte, fatte a forma di imbuto, ristrette verso l’alto, dette ‘trombe’. Sette erano per le imposte stabilite, cinque per qualche scopo specifico, una per offerte spontanee. Gesù si è divertito a star lì a guardare come la gente gettava la sua offerta. Luogo pubblico, sacerdoti che controllano, rumore sonante delle monete che scivolano nelle trombe… Possiamo immaginare anche noi la scena: i volti compiaciuti di chi gettava manciate di monete; il volto dismesso dei poveri che avevano poco da offrire. E in particolare il volto sereno e pieno di dignità di quella vedova povera, che ha gettato solo due monetine. Quel gesto così semplice non sfugge agli occhi e al cuore buono di Gesù, che chiama apposta i suoi discepoli per farlo notare anche a loro. E per far notare un duplice contrasto: quello tra le tante e le poche monete, ma soprattutto quello tra la falsa e la vera generosità. Anche qui il Signore è veramente radicale. Anche noi siamo immediatamente d’accordo con lui (cioè siamo schifati dall’ostentazione e ammirati dall’umiltà), ma qui non basta fermarsi all’insegnamento morale. C’è di più. Gesù precisa che quella vedova ha gettato «tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Allude certo alle cose essenziali che servono per vivere, ma allude forse anche alla vita stessa. Si potrebbe tradurre letteralmente: «tutta intera la sua vita». Questa vedova ha capito tutto. Ha capito che tutto ciò che ha è un dono. La sua stessa vita è un dono. E la rimette nelle mani del donatore, senza tenere nulla per sé. Si sente figlia del Padre pieno di misericordia e provvidente, che viene in soccorso degli orfani e delle vedove.
Quella vedova è forse anche l’immagine in cui possiamo riconoscere lo stesso Gesù, il Figlio di Dio che riceve tutto dal Padre e che riconsegna tutto al Padre. Che si dona senza riserve, che «dà la sua vita» fino all’ultima goccia di sangue. In quella vedova, povera in spirito, Gesù ci aiuta a riconoscere la risposta di Dio al nostro bisogno di sicurezza: non solo il dono delle cose che ci servono per vivere, ma soprattutto e prima di tutto il dono di una relazione di comunione indistruttibile.
Su questo fondamento si posa la fortissima provocazione a verificarci nella scelta della povertà, che non è un optional per i discepoli di Gesù. È nella scelta della condivisione dei beni e della nostra stessa vita. Forse siamo ancora al livello di quei ricchi che condividono solo ‘parte’ del loro ‘superfluo’? Sarebbe già molto decidere di condividere ‘tutto’ il superfluo. Ma il Signore ci vuole dare la grazia di donare tutto quel che abbiamo e perfino la nostra vita, nella sicurezza dell’amore del Padre, che vuole muovere in sintonia con Lui ogni nostro desiderio e ogni nostra scelta: «ma già volgeva il mio desio e ‘l velle, si come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Par. XXXIII, 143-145).