Commento al Vangelo del 1 gennaio 2023.
Siamo molto abituati a parlare di Maria ‘Madre di Dio’. Fermiamoci un attimo e ripensiamoci: una creatura mamma di Dio?! In effetti i cristiani ci hanno messo un po’ a capire che si poteva dire così della mamma di Gesù, dopo alcuni secoli di riflessioni e discussioni ed eresie! Dire che Maria è Madre di Dio dipende da ciò che abbiamo capito di Gesù, suo figlio. La persona di Gesù è Uno della Trinità. L’Io di Gesù è quello del Figlio eterno di Dio, completamente partecipe della natura divina del Padre (‘Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero… della stessa sostanza del Padre’). Questa unica persona divina ha anche assunto pienamente la natura umana, in un modo verissimo e misterioso, tale che ha tutte le caratteristiche di Dio e tutte le caratteristiche dell’umanità (eccetto il peccato, che infatti è disumano e dal quale il Figlio di Dio è venuto a guarirci). Hanno scritto i nostri padri nella fede nel Concilio di Calcedonia nel 451: «Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi». Commenta il Catechismo della Chiesa Cattolica (468): «Tutto, quindi, nell’umanità di Cristo deve essere attribuito alla sua Persona divina come al suo soggetto proprio (cf Concilio di Efeso in DS 255)». Se l’umanità muore, è il Figlio di Dio che muore. Se la sua carne umana viene alla luce nel mondo, è il Figlio di Dio che nasce e perciò la sua mamma è Madre di Dio.
Che bellezza! Che mistero! Tutto ‘per noi e per la nostra salvezza’, per rifare la nostra umanità!
È bello sostare oggi a contemplare Maria ed essere aiutati da lei ad accogliere il suo Figlio. Questa esperienza di per sé grandiosa (unica), è narrata dagli evangelisti in modo da farci cogliere, però, tutta la semplicità del percorso non sempre facile di comprensione da parte di Maria e di Giuseppe. Quello che capitava a loro figlio era piano piano occasione di capire meglio la sua identità, passando attraverso lo stupore, le domande, le ansie e le preoccupazioni, la meditazione e la preghiera. Tutte sfumature che appartengono anche alla nostra fede, e che con Maria vogliamo far crescere.
Stupirsi. Maria e Giuseppe si stupivano delle cose che di Gesù dicevano i pastori a Betlemme (Lc 2,18), oppure Simeone e Anna al tempio, quando andarono per presentarlo al Signore (Lc 2,33). Forse abbiamo nostalgia dello ‘stupore’, in una vita di fede spesso piuttosto piatta. Dovremmo chiedere allo Spirito di darci il dono della meraviglia e della contemplazione, della sorpresa davanti alla bellezza della presenza del Signore che nella nostra vita non ci abbandona mai e continua a metterci in comunione con lui parlandoci e toccandoci nei Sacramenti.
Domandare. Maria e Giuseppe si interrogavano intelligentemente su quel che stava succedendo (Lc 1,34; 2,48; Mt 1,19), su cosa potevano fare, sui comportamenti strani di Gesù. Sapere del modo misterioso in cui il loro figlio era stato concepito non ha comportato una conoscenza immediata e piena della sua missione. È bello vedere il percorso paziente che hanno fatto, che provoca sempre anche noi ad essere ‘teologi’, cristiani che si fanno domande, che interrogano la Scrittura nella Chiesa, che non si accontentano di lontani e sbiaditi ricordi del catechismo.Custodire. Maria e Giuseppe quando non capivano (Lc 2,50) non si arrabbiavano e non si avvilivano. La loro reazione è ricordata per due volte da Luca, in riferimento a Maria (ma possiamo pensare che anche Giuseppe lo facesse, e anzi che ne parlavano con profondità tra di loro): custodiva tutto meditando nel suo cuore (Lc 2,19.51). Da Nazaret impariamo la preziosità del silenzio. E la necessità di riempirlo di preghiera, di dialogo con il Signore, di lettura della Parola, di maturazione lenta e sicura delle convinzioni di fede. Il silenzio esteriore è la via necessaria per gustare interiormente prima di tutto la presenza amante del Signore, che ci accompagna anche alla comprensione del suo mistero e di ciò che ci chiede per servirlo nella nostra vita. Custodire meditando nel cuore è l’invito ad amare intimamente, anche se non si capisce, ma si vive la sicurezza della presenza del Signore, e del Padre e dello Spirito. Anche tra di noi capita un sacco di volte che, tra amici, tra fidanzati, tra sposi, tra genitori e figli, si sta insieme volentieri anche se non conosciamo tutto dell’altro, ma abbiamo la sicurezza comunque di volergli bene e di sentire il bene che ci vuole. Così è con Gesù, presenza della Trinità nella nostra storia personale: l’amicizia cresce solo nella pazienza e nella custodia interiore di ogni parola che esce della sua bocca.