Esercizi spirituali di Quaresima – 22-26 febbraio 2021
Per iniziare la Quaresima in un incontro più profondo con il Signore.
Per approfondire il tema del nostro piano pastorale annuale.
Meditazioni di don Michele, don Adrian, don Thiago, don German, don Christian
Mt 5,1-12: «Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli.
Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».
22 febbraio – don Michele Zecchin
Mt 5,1: Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo…
Vedendo. Tutto parte dagli occhi Gesù, occhi fiammeggianti di fuoco, occhi di un Dio attento e non distratto, occhi penetranti e dolcissimi, dai quali dobbiamo imparare a lasciarci osservare, o addirittura scrutare… Se Gesù vede (e spesso prova compassione) è perchè vuole bene. E il discorso che sta iniziando è espressione del suo desiderio di comunicare amore…Come mi sento guardato dal Padre e dal Figlio?
Le folle. Non il popolo, ma un sacco di gente proveniente da tante parti: «Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decаpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano» (Mt 4,25). Gesù guarda con delicatezza a tutti, tutti sono candidati alla sua felicità… Come guardo gli altri?
Salì sul monte. Come aveva fatto un sacco di volte Mosè per parlare con Dio e ricevere la sua rivelazione. Il monte è sempre luogo di vicinanza a Dio, luogo faticoso da salire per raggiungere il punto di contatto tra la terra e il cielo. Gesù sul monte si trasfigura (Mt 17,1-9) e dal monte manda i suoi per l’avventura missionaria (Mt 28,16-20)… Negli esercizi saliamo sul monte?
Si pose a sedere. Mica come Mosè, che era andato per ricevere la Legge. Gesù è più di Mosè: è il Maestro che si mette in cattedra per insegnare definitivamente ciò che è giusto. Un gesto importante. Ai Dodici Gesù annuncia: «quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele» (Mt 19,28)…
Si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Dalle folle un gruppo esce per avvicinarsi. Fa una scelta un po’ più esplicita: seguire da vicino. Discepolo è colui che sta imparando. E decide di farlo con calma, di sentire bene. Non vuole perdersi una parola del Maestro. ‘A lui’, i ‘suoi discepoli’: il possessivo è un bell’indizio di una crescente appartenenza reciproca. È molto chiaro, Gesù, con cui vuole essere suo discepolo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mc 8,24-25). Tutto il discorso di felicità che Gesù fa sul monte è regola di vita bellissima ed esigentissima per i suoi discepoli… Decido di avvicinarmi?
Si mise a parlare. Cioè ‘aprì la bocca’. Tutti pendono dalle sue labbra. Quando ci mettiamo ad ascoltare la Parola riviviamo lo schiudersi del mondo di Dio, dei pensieri di Dio e del suo amore. Quando apriamo la Bibbia per pregare la Parola, si apre la bocca del Signore…
Insegnava loro dicendo. C’è il verbo dell’annuncio da parte del Messia (proclamare) e il verbo dell’approfondimento paziente del Maestro (insegnare). Gesù sa fare bene entrambe le cose! Qui è il momento della seconda: spiegare in lungo e in largo cosa comporta il kerygma nella vita dei discepoli.
Alcuni spunti dalla condivisione
Rimane aperto il desiderio di dare concretezza oggi alle beatitudini: come devo vivere oggi il vangelo? Qual è il modo più vero per attualizzare la Parola di Gesù?
Gesù sa ‘vedere’ le folle e le persone con verità, per quello che sono. Dobbiamo maturare uno sguardo simile al suo, superando i nostri pregiudizi. E nella predicazione della chiesa (dalle omelie alle varie forme di catechesi) è necessaria una attenzione alla concretezza delle persone che ascoltano.
Lo sguardo di Gesù è intenso: ricorda quello sul giovane ricco: ‘fissatolo, lo amò’! Noi riusciamo a guardare così poche persone, Lui sa guardare così tutti!
È bello sapere che Gesù ‘si siede’, ha tempo per dialogare con me, non ha fretta, è disponibile a spiegare le cose con calma. Come quando con gli amici ci fermiamo per prendere un caffè e dialogare con calma.
Gesù sale sul monte. Dall’alto vede la folla. Scende insegna… Discepoli o folla…pensare che ancora oggi siamo visti dall’alto del cielo o di fronte nell’Eucaristia da Colui che e’ morto in croce x tutti ed Risorto, mi vien da dire oggi in tempo di pandemia
1) Beati coloro che crederanno pur non avendo visto… Se il vedere coinvolge gli occhi e questi sono lo specchio dell’anima, allora ci sono occhi e quindi anime in difficoltà xché reggere gli occhi di Gesù nell’altro significa essere davvero in pace con chi hai di fronte.
2) Siamo affaticati e ci gestiamo ciò che conosciamo, ciò che non conosciamo o ciò che riteniamo di intralcio viene “glissato oltre”, come Gesù che passa in mezzo a chi lo sfida e ancora non è giunta l’ora.
3) Vivere come Gesù non è tanto copiarlo o imitarlo, è provare ogni giorno a fare come lui ha fatto, vivere come lui ha vissuto
Mi chiedo quindi ci vuole il potere della croce
Chi è disposto a sporcarsi con il sangue di non conosci?
Chi è disposto a reggere gli occhi di chi ti conosce?
Fare e essere: essere con Gesù o fare le cose per Gesù? Siamo discepoli da tanto tempo… in questo momento vivo una certa fatica nel fare, e forse dovrei ‘essere’ in relazione con Gesù e con le persone… Chiedo al Signore di aiutarmi ad ‘essere’. Mi aspetto che mi dica in queste sere ‘come’ essere in queste sere!
Mi ha colpito l’umiltà di Gesù: prima di parlare osserva e cerca di comprendere la realtà di chi ha di fronte. E solo dopo parla per insegnare.
Questo sguardo che accoglie e comprende fa sì che le persone si avvicinino a lui… anche io dovrei avere uno sguardo più accogliente e comprensivo… prima di pretendere di aiutare qualcuno.
Gesù vive momenti importanti della sua vita sul monte: beatitudini, trasfigurazione, crocifissione, invio degli apostoli… In questi misteri c’è l’esercizio del servizio di Gesù sacerdote, profeta e re. Da prete mi sento chiamato a seguirlo salendo sul monte, vivendo la sequela e anche il sacrificio, la fatica, la passione. Salire la montagna comporta esercizio costante, possibilità di cadute e sbagli, pazienza nella attesa che ci siano tutti… Dobbiamo trovare insieme il passo giusto…
Imparare a ‘guardare’ bene i nostri figli o le persone: spesso rischiamo di trasformare gli altri in figure trasparenti.
Gesù continua a radunarci sulla montagna per essere vicini a lui e a scaldare il nostro cuore con la parola.
23 febbraio – don Thiago Camponogara
Mt 5,9: Beati gli operatori di pace, perchè saranno chiamati figli di Dio
Per comprendere il significato del brano nel suo contesto, dobbiamo guardare l’atteggiamento di Gesù che sta ammaestrando la folla. L’occasione probabilmente è fortuita, ma le parole di Gesù non sembrano affatto casuali: sono parole meditate che, con un linguaggio molto profondo, fanno emergere chiaramente ciò che Gesù pensa e vuole trasmettere.
Se guardiamo alla disposizione delle Beatitudini, possiamo credere che il loro ordine non sia casuale e suggerisca una gradualità di importanza tra l’una e l’altra categoria dei beati.
Il discorso della montagna, prende il nome dal luogo dove queste Beatitudini vengono pronunciate, cioè su un’altura.
Il mio intervento cercherà di rispondere a questa domanda: le Beatitudini sono una realtà possibile oppure rappresentano un sogno utopistico proiettato nel futuro Regno dei Cieli?
Possiamo dire che il Regno dei cieli è stato manifesto da Gesù e inizia con la sua stessa persona in cui si rivela l’Amore del Padre; un amore che non solo è incondizionato, ma che trasforma chi lo accoglie e lo vive rendendo la sua vita “giusta davanti a Dio”, una “vita da figli” che hanno parte al Regno di Dio questo è possibile solo perché Gesù è il Messia e il Cristo, cioè colui che porta a compimento in maniera nuova e superiore ciò che dissero i profeti e Mosè attraverso la Legge.
Per specificare ulteriormente la nostra riflessione, dobbiamo dire velocemente che anche Luca ci parla delle Beatitudini, dette “della pianura” per la loro collocazione geografica, ma [Luca] ne parla differenziandole dal testo matteano, sia nel numero che nelle categorie di persone dette “beate”, quindi per maggior praticità ci soffermeremo solamente sulle beatitudini di Matteo.
Le Beatitudini sollevano molti quesiti, tra cui l’obiettivo della loro redazione: esse furono indirizzate ad una sola comunità o furono pensate per la moltitudine dei popoli?
Considerando la dinamica con cui vengono proclamate, notiamo come Gesù parli apertamente a tutte le genti e che quindi l’evangelista voglia fare proprio l’orizzonte universale del suo Maestro.
Considerando la redazione del testo, possiamo dire che le parole con cui le Beatitudini sono raccontate all’interno del Vangelo risultano essere non frutto di un’opera redazionale, ma con molta probabilità possiamo dire che provengono direttamente dalla bocca di Gesù.
Circa l’interpretazione delle Beatitudini ci troviamo dinanzi a due principali scuole di pensiero: da un lato troviamo alcuni teologi medioevali che interpretano le Beatitudini come semplici consigli evangelici, ponendo in evidenza la difficoltà di viverle pienamente nel tempo presente, dall’altro lato troviamo alcuni pensatori tra cui Agostino che confermano la realtà delle “beatitudini” ponendo in evidenza il fatto che già nell’ Antica Alleanza venivano presentate come qualcosa di concretamente realizzabile per chi crede in Dio.
Ciò che appare risolutivo è il mistero del Verbo incarnato che pone in una nuova relazione l’uomo e Dio, quindi Gesù ha la capacità e l’autorità di proporre una nuova forma di vita con le Beatitudini; Gesù esprime la volontà di istituire le Beatitudini fin dai primi versetti del capitolo 5, dove anche la collocazione geografica non è casuale ma serve ad accreditare Gesù come nuovo Mosè che dal monte porta la nuova Legge di Dio.
La struttura di questo brano è composta di tre sezioni:
– l’introduzione: i versetti 1 e 2,
– il corpo centrale, va dal versetto 3 al versetto 11, dove troviamo elencate le 9 beatitudini.
– la conclusione è la sintesi rappresentato dal versetto 12.
Il termine beatitudini evangelica o macarismo, dal greco makarios, lo troviamo 45 volte nei testi Biblici, dove viene accostato al termine felice e non precisamente beati, questo ad sottolineare che per l’Antico Testamento, questa felicità è già presente ed attuale, mentre per il Nuovo Testamento è una realtà futura cioè in potenza.
Per quanto riguarda l’origine etimologica, inizialmente questo termine veniva usato in un contesto religioso liturgico (Salmi) per poi passare ad una beatitudine sapienziale, con valore dialettico parenetico nonché escatologico apocalittico.
Il termine “Beati” si trova dislocato lungo il Vangelo fino a giungere all’ Apocalisse, anche se solo nel discorso della montagna si trova in forma così strutturata ed uniforme.
Il monte non è un luogo casuale: è caratteristico dei grandi avvenimenti del Vangelo. Lì, troviamo Gesù che affida agli Apostoli la missione di evangelizzare. Sul monte Gesù si ritira a pregare; sul Tabor si trasfigura. In particolare in questo episodio si rievoca in qualche modo, l’incontro di Mosè con Dio sul Sinai, per ricevere da Lui le tavole della Legge. Le Beatitudini divengono allora la nuova Legge che Gesù consegna i suoi discepoli.
Analizzo ora nello specifico il termine “Beati gli operatori di pace”.
In ambito Ellenistico questa frase veniva usata anche in ambito profano come “missio” ai capi politici e militari, che in particolare usavano l’intelletto e l’abilità per terminare un conflitto, evitando quando era possibile la forza e l’uso delle armi.
In ambito biblico il concetto cambia, dando il posto alla pace intesa come “Shalom”, la quale implica la realizzazione del benessere, in tutte le sue dimensioni, comprese la liberazione e la giustizia. Lo “Shalom” diventava anche l’impegno a creare pace tra le persone concretizzare nel quotidiano l’amore al prossimo e alla comunità. Si attuava così il progetto di Dio attraverso l’osservanza della Legge e la predicazione profetica.
Chi opera in questo modo è in perfetta sintonia con Dio, e diviene figlio di Dio, in quanto concretizza la Sua volontà, come fece il figlio di Dio che fu sempre obbediente alla volontà del Padre.
La visione universale che questa beatitudine va ad illustrare, non solo riguarda il popolo ebraico o i discepoli ma l’intera umanità.
Essere operatore di pace trova la sua concretizzazione nel versetto 13 dove si evidenzia il ruolo degli apostoli/discepoli che devono essere “il sale della terra e luce del mondo.”
Il discepolo di Gesù ha a cuore, non solo la pace nella propria famiglia, nel proprio lavoro, ma abbraccia un orizzonte molto più ampio, che arriva a tutto il mondo. Ponendoci come strumenti di Dio e facendo la Sua volontà, saremo imitatori del Re e Principe della Pace, Gesù Cristo nostro Signore.
Queste espressioni legate alle beatitudini sono da concretizzarsi, già in questa vita; infatti il cristiano orientando tutta la sua esistenza verso Cristo, può dire insieme all’apostolo San Paolo “tutto concorre al bene di chi ama Dio” (Rm 8,28).
Chi sono dunque gli operatori di pace per il Vangelo? Sono tutte quelle persone che valutano le scelte della vita, partendo dalla volontà di Dio; sono coloro che sanno lottare e proporre soluzioni di pace, non fermandosi alle soluzioni più comode e facili, ma impegnandosi in prima persona, affinchè un mondo migliore di giustizia e di pace non sia qualcosa di ipotetico, ma una realtà che si costruisce di giorno in giorno con lo sforzo umano e l’aiuto di Dio.
Creare la pace sembra un compito molto difficile; nel nostro pianeta, infatti, ci sono molte guerre in corso. «Stiamo assistendo alla Terza guerra mondiale a pezzetti», ha detto il Papa con un’espressione originale per commentare il fatto che l’uomo non sembra mai stanco di combattere.
Per ottenere la pace occorre iniziare dai gesti di ogni giorno, tutti possono fare qualcosa, anche i più piccoli. E gesto dopo gesto la pace aumenta, si espande e si allarga a tutto il mondo.
Cosa si può fare: può sembrare ingenuo, ma se due litigano, proponi il dialogo, così forse potranno lasciarsi da buoni amici, convinti che il confronto è servito a fare un passo in avanti.
Le beatitudini non ci sono state date per metterci alla prova, bensì per darci un’indicazione: ci aiutano a trovare un modello nel comportamento di Gesù. Di più solo guardando a Gesù vivremo la pace, perché egli non ha solo insegnato la pace, ma è Lui stesso la pace si presenta come lo Shalom, carico di tutte le promesse messianiche.
Solo se saremo suoi discepoli avremo la possibilità possibilità di vivere come lui ci ha insegnato, essere benedetti da Dio ed essere felici.
Scrive Chiara Lubich: «Può essere portatore di pace chi la possiede in se stesso. Occorre essere portatore di pace anzitutto nel proprio comportamento di ogni istante, vivendo in accordo con Dio e la sua volontà. […] «… saranno chiamati figli di Dio». Ricevere un nome significa diventare ciò che il nome esprime. Paolo chiamava Dio «il Dio della pace» e salutando i cristiani diceva loro: «Il Dio della pace sia con tutti voi». Gli operatori di pace manifestano la loro parentela con Dio, agiscono da figli di Dio, testimoniano Dio che […] ha impresso nella società umana l’ordine, che ha come frutto la pace».
Essere operatori di pace è uno stile di vita, che caratterizza il cristiano e che lo rende distinto nella e dalla società, infatti nella mentalità del mondo vince il più forte, e la pace è quasi una forzatura. San Giovanni Paolo II durante la GMG del 2000 a Tor Vergata a Roma, invita i giovani a dire no alla guerra e ad essere strumenti di pace, perché la pace edifica l’uomo e da all’essere umano la sua dignità.
In conclusione questa beatitudine, ci invita a guardare ed imitare Gesù che dalla sua nascita alla sua crocifissione, ha sempre cercato il dialogo e la Verità, come unica via per giungere a Dio.
Appunti dalla condivisione
Saranno chiamati figli di Dio: è possibile già ora: se facciamo rispecchiare il modo di comportarsi di Dio nella nostra vita concreta, gli altri dovrebbero riconoscerci come figli di Dio.
La pace non è semplice assenza di conflitto, ma una cosa positiva, che viene dal Signore. Quando uno è in dialogo con Gesù tutta la sua persona è proiettata verso il bene: la pace che ha dentro si manifesta poi nelle avversità. Nella Messa il Signore ci dà questa pace interiormente e ci permette di vedere tutto nell’ottica del bene.
La beatitudine degli operatori di pace sta tra i beati i puri di cuore e i beati i perseguitati. È una beatitudine difficilissima. Non si tratta del ‘per buona pace’ che alle volte si dice in famiglia, al lavoro, al consiglio pastorale… Se si parte dal discernimento sul da farsi, il fabbricatore di pace è come il muratore che fa una fatica boia! Non è la mondana ricerca della comodità, della tranquillità del divano. Le beatitudini non danno comodità: che fa la pace, chi è mite è sempre in difficoltà in questa storia. Ci sono situazioni del mondo in cui i cristiani sono perseguitati (ad esempio in Siria)… noi qui stiamo bene, ma dobbiamo pensare anche ai nostri fratelli perseguitati. Per tutti dobbiamo chiedere il dono della pace che discende dall’altare in ogni Messa.
“Vedere tutto, dissimulare su ciò che non serve, intervenire su ciò che è importante. Dona la pace alle persone che ho nel cuore, quelli che amo, che amo a metà e a coloro che non sopporto, che conosco e non conosco”. Il Donde mi diceva che dovevo fare così a messa allo scambio della pace se ero sola, lo faccio ora perché la situazione lo richiede.
Mi permette il discernimento tra il parlare e il tacere, tra l’azione e l’inerzia, tra il servizio gratuito e il giusto-equo riconoscimento, mettendo in campo, con fatica, quella pazienza, umiltà, quel perdono che serve affinché io abbia pace non perché sono egoista, perché merito la pace, se non sono in pace, come posso stare in mezzo agli altri?
Così chiedo: “Dio Padre guardando tuo Figlio Crocifisso e Risorto aiutami a sfoderare quella spada che sei venuto a portare sulla terra. Costruire la pace richiede coraggio, senza pigrizia e timori x vincere quella effimera pace che il mondo offre, x stare nel mondo senza essere del mondo.
Aiutami a sfoderare volontà e capacità di andare oltre… perché la sera di Pasqua tuo Figlio Gesù ha salutato i discepoli dicendo Pace a voi! e pure prima di salire in cielo lo ha detto, dando a loro e a noi una consegna: “ora la mia pace passa nelle vostre mani”, nelle mie, nelle nostre, riuscirò, riusciremo a non deluderlo?
“Rimanete in me…” e potete fare… tutto? No, ciò che è essenziale, possibile, semplice, quotidiano, fare ciò che so tocca a me qui e ora.
Le Beatitudini non solo un ‘consiglio’, ma una proposta concreta per tutti, adesso, anche se ci vuole tempo per imparare a vivere come propone il Vangelo.
Le beatitudini sono in un ordine non casuale: indicano un cammino di fede, che parte dalla scelta di essere poveri e abbandonati al Signore e arriva alla disponibilità al martirio.
L’uomo non sembra mai stanco di combattere… Nel nostro mondo c’è una grande complessità nel modo di pensare e di vivere: difficile trovare chi la pensa allo stesso modo, difficile mettersi d’accordo.
L’operatore di pace non sta fuori dal conflitto, ma vi entra con l’atteggiamento di chi ha la pace dentro di sè perchè gli viene da Dio I discepoli sono quelli che si avvicinano a Gesù, che non stanno a guardare, ma con la forza di Dio diventano operatori di pace, anche quando si trovano persone che sono contro!
L’operatore di pace non è quello che mette tutti d’accordo. La pace è un tipo di relazione: anche quando siamo in disaccordo, ci riconosciamo nella stessa dignità di figli di Dio!
Spesso poi non si è in pace con qualcuno quando con egoismo si vuole imporre qualcosa agli altri. Se invece si parla di cose più profonde, fondamentali, è più facile essere d’accordo.
I conflitti non avvengono perchè vogliamo difendere delle cose importanti, ma perchè siamo egoisti e cerchiamo di difendere le nostre cose.
La famiglia è il luogo più pericoloso, più minato per la pace. Le difficoltà degli sposi non si risolvono con una Messa alla domenica o con una confessione. Le difficoltà quotidiane richiedono la capacità di perdonare in silenzio anche i piccoli gesti del coniuge o dei figli. Per costruire la pace bisogna partire dal costruire la famiglia.
23 febbraio – don Adrian Gabor
Mt 5,9: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio
Preghiamo con le parole del Salmo 24:
Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli, chi non giura con inganno.
Egli otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
Chiedere di Dio, cercare il suo volto – è questo il presupposto basilare per l’ascesa che conduce all’incontro con Dio. Davanti alla porta del tempio sorge la domanda su chi possa stare lì, vicino al Dio vivente: «Mani innocenti e cuore puro» sono la condizione.
Visto che la comunità ha come patrono sant’Agostino, iniziamo la nostra riflessione proprio con un suo invito, fatto nel commento al vangelo secondo Giovanni:
“Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontano da voi? Andando lontano vi perderete. Perché vi mettete su strade deserte? Rientrate dal vostro vagabondaggio che vi ha portato fuori strada; ritornate al Signore. Egli è pronto. Prima rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato estraneo a te stesso, a forza di vagabondare fuori: non conosci te stesso, e cerchi colui che ti ha creato! Torna, torna al cuore… Rientra nel cuore: lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova l’immagine di Dio; nell’interiorità dell’uomo abita Cristo, nella tua interiorità tu vieni rinnovato secondo l’immagine di Dio”. (S. Agostino, In Ioh. Ev., 18, 10)
Le beatitudini sono la mappa tracciata da Cristo per chi è alla ricerca della felicità. Papa Francesco ci mette in guardia che se non abbiamo aperto il cuore alla salvezza non possiamo comprenderle. Esse non sono un ideale di vita astratto, una specie di codice morale pensato a tavolino. Prima di essere proclamate, sono state vissute. Le beatitudini sono l’autoritratto di Gesú! È lui il vero povero di spirito, il mite, il puro di cuore, il pacifico, il perseguitato per la giustizia. Noi siamo chiamati dunque, oggi, a contemplare un tratto della persona di Cristo; è lui, risorto, vivo e presente qui in mezzo a noi, che proclama di nuovo la sua grande parola: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5, 8) Guardiamo a lui e ci disponiamo al suo Spirito per poter essere, con il suo aiuto, anche noi uomini e donne beate. Il cristiano beato è colui che ha incontrato Cristo. Finchè non accade questo incontro, nessuno può dirsi cristiano, nessuno può essere pienamente felice. E dove avviene questo incontro personale, se non nel cuore?! Scriveva Origene: “vuoi sapere dove abita Dio? Un cuore puro, ecco la sua dimora”.
Nel pensiero di Gesù, la purezza di cuore non indica solamente una virtù particolare, ma una qualità che deve accompagnare tutte le virtù.
Prima di tutto dobbiamo capire il significato biblico della parola cuore. Per la cultura ebraica il cuore è il centro dell’essere umano: dei sentimenti, dei pensieri e delle intenzioni della persona umana. Se la Bibbia ci insegna che Dio non vede le apparenze, ma il cuore (cfr 1 Sam 16,7), possiamo dire anche che è a partire dal nostro cuore che possiamo vedere Dio. Questo perché il cuore riassume l’essere umano nella sua totalità e unità di corpo e anima, nella sua capacità di amare ed essere amato. Nel vangelo secondo Matteo Gesù dice: “Se la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!” (Mt 6,23) la luce che è in noi è il cuore. È li il punto da cui osserviamo la realtà.
Andiamo ora alla condizione richiesta: la purezza. Quando noi parliamo di purezza pensiamo subito a qualcosa di morale, di etico, però questo livello è insufficiente. Per il termine puro, la parola greca utilizzata dall’evangelista Matteo è katharos che significa: pulito, limpido, libero da sostanze contaminanti. Il Vangelo, riguardo alla purezza di cuore insiste su due ambiti in particolare: la rettitudine delle intenzioni e la purezza dei costumi. Alla purezza delle intenzioni si oppone l’ipocrisia, alla purezza dei costumi l’abuso della sessualità.
Vediamo spesso Gesù scardinare una certa concezione della purezza rituale legata all’esteriorità, che vietava ogni contatto con cose e persone (tra cui i lebbrosi e gli stranieri), considerati impuri. Impuro è ciò che non può stare insieme agli altri senza danno. Ai farisei che, come tanti giudei di quel tempo, non mangiavano senza aver fatto le abluzioni e osservavano numerose tradizioni legate al lavaggio di oggetti, Gesù dice in modo categorico: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7, 15.21-22).
In che consiste dunque la felicità che scaturisce da un cuore puro? A partire dall’elenco dei mali che rendono l’uomo impuro, enumerati da Gesù, vediamo che la questione tocca soprattutto il campo delle nostre relazioni. Ognuno di noi deve imparare a discernere ciò che può “inquinare” il suo cuore, formarsi una coscienza retta e sensibile, capace di «discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).
Con questa beatitudine siamo condotti nel più profondo di noi stessi e nell’intimità più segreta del nostro ‘io’, in quel luogo cioè, dove solo Dio è capace di entrare con la sua Luce. Solamente a questo livello si può parlare di purità o di purezza. Ha un cuore puro non tanto chi rispetta la regola esterna ma chi agisce animato e spinto da una interiorità sincera e autentica.
Andare al cuore significa operare scelte radicali, rifiutando le mezze misure e i compromessi. Dobbiamo qui fare riferimento al discorso della montagna (Mt 5,20-48), che costituisce il cuore del messaggio evangelico. Proprio lì troviamo la novità dell’annuncio evangelico. Gesù riprende la legislazione mosaica, spesso scesa a compromessi per la durezza del cuore del popolo, sublimandola e proclamando nuove esigenze di interiorità e di radicalità. Egli non abolisce il passato, ma lo integra, lo perfeziona e lo radicalizza: “Avete inteso che fu detto… Ma io vi dico!” Si tratta di fare scelte che vanno alla radice, che toccano il cuore.
Il cuore che cambia è la persona che cambia: “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore (Gl 2,13). Il nucleo della predicazione di Giovanni Battista è “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2) e Marco pone sulle labbra di Gesù proprio all’inizio del suo ministero queste parole: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Conversione implica un duplice movimento che parte dal cuore: abbandonare il peccato e orientarsi a Dio. Tutto parte dal cuore e trascina con sé la persona intera con tutta sé stessa.
Il salmista dice: “Crea in me, o Dio, un cuore puro”. In ognuno di noi deve essere distrutto il cuore impuro, perché sia creato quello puro, un cuore nuovo, un cuore umile e docile, un cuore autentico nei pensieri, nei sentimenti e negli intenti, verificabili nel concreto della propria esistenza, cioè nella coerenza. Questa beatitudine ci parla di una messa in discussione dei nostri desideri, dei nostri pensieri di fronte alla Verità. La costante purificazione del cuore ci permette di essere a contatto con Dio.
Perché vedranno Dio. È la seconda parte della beatitudine. Si nota subito che questa beatitudine offre un dono immenso: vedere Dio. Ed è tanto più sconvolgente se consideriamo che tutta la Scrittura è unanime nell’affermare la impossibilità dell’uomo di vedere Dio. “Dio, nessuno l’ha mai visto” afferma Giovanni nel Prologo al suo Vangelo (Gv 1,18). Mosè stesso non può vedere il volto di Dio, ma solo le sue spalle (Cfr Es 33,20-23).
Dice il salmo 27: «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (Sal 27,8-9). Questo linguaggio manifesta la sete di una relazione personale con Dio. Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuona continuamente l’invito del Signore a cercarlo.
Questa promessa che sentiamo oggi, dimostra l’eccellenza e la centralità di questa beatitudine in tutto il messaggio evangelico: ai puri di cuore Dio promette di donare sé stesso; non delle sue cose, ma sé stesso!
Dice sant’ Agostino: Noi desideriamo di vedere Dio, cerchiamo di vederlo, lo bramiamo ardentemente. Chi non lo brama? Ma vedi che cosa è detto: Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio. Prepara questa condizione per essere in grado di vederlo. Per portare un paragone materiale, perché vorresti vedere il sole con gli occhi cisposi? Se gli occhi saranno sani, la luce ti darà gioia. Se gli occhi non saranno sani, la luce ti sarà un tormento. Non ti sarà permesso di vedere col cuore non puro ciò che si vede solo col cuore puro. Ne verrai respinto, ne verrai allontanato, non lo vedrai. Beati infatti i puri di cuore, perché essi vedranno Dio.
L’invito del Signore a incontrarlo è rivolto ad ognuno di noi, in qualsiasi luogo e situazione ci troviamo. Basta «prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui» (dice il papa in Evangelii gaudium, 3). Siamo tutti peccatori, bisognosi di essere purificati dal Signore. Ma basta fare un piccolo passo verso Gesù per scoprire che Lui ci aspetta sempre con le braccia aperte, in particolare nel Sacramento della Riconciliazione, occasione privilegiata di incontro con la misericordia divina che purifica e ricrea i nostri cuori.
Il Signore vuole incontrarci, lasciarsi “vedere” da noi. Così scriveva papa Francesco ai giovani: L’incontro con Dio nella preghiera, attraverso la lettura della Bibbia e nella vita fraterna vi aiuterà a conoscere meglio il Signore e voi stessi. Come accadde ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), la voce di Gesù farà ardere i vostri cuori e si apriranno i vostri occhi per riconoscere la sua presenza nella vostra storia, scoprendo così il progetto d’amore che Lui ha per la vostra vita. Mettiamo a confronto il nostro cuore con la Verità di Cristo. Solo eliminando tutto ciò che incompatibile con Dio potremmo arrivare all’intimità con Lui.
“Fa’ che io impari a desiderarti, Signore; che io impari a prepararmi per poterti vedere. Beati i puri di cuore perché ti vedranno… Buona è l’umiltà per avere il regno dei cieli, buona la mansuetudine per possedere la terra, buono il pianto per essere consolati, buona la fame e la sete della giustizia per essere saziati, buona la misericordia per ottenere misericordia, ma è la purezza del cuore che fa vedere te, o Signore (Sr 53, 7.9). Io ti voglio vedere: è buona, è grande la cosa che voglio… Aiutami a purificare il mio cuore… perché puro è ciò che io voglio vedere, e impuro è il mezzo con cui lo voglio vedere… Purificami, Signore, con la tua grazia, purifica il mio cuore con i tuoi aiuti e i tuoi conforti. Aiutami a produrre per tuo mezzo e in unione con te frutti abbondanti di opere buone, di misericordia, di benignità, di bontà (Sr 261, 4.9)”
- o La purezza del cuore è la beatitudine della trasparenza. Ho un cuore sincero e sono autentico nei pensieri e nei fatti? La verità deve mettere in discussione la sincerità. Quali sono le cose che dovrei mettere in discussione nel mio cuore?
- o Passando in rassegna le parti del mio corpo (occhi, bocca, mani, mente, cuore, sessualità …) quale è il settore in cui mi sento meno “puro”, limpido, sincero, leale, coerente con me stesso e gli altri?
- o La preghiera è uno stare davanti a Dio a “cuore aperto”, permettendo a Dio di cambiarmi il cuore. Mi impegno a dedicare ogni giorno un tempo adeguato al rapporto personale con il Signore?
Appunti dalla condivisione
Il cuore non è solo il centro della vita affettiva: c’è di più. Il cuore è il centro della persona, in cui si intrecciano i pensieri e le scelte e gli affetti, in una tensione alla unità e alla limpidezza che la Scrittura ci propone. È il luogo in cui si realizza l’unità della nostra vita in rapporto con Dio (è un ‘sacrario’: cf. GS 16).
Essere limpidi davanti a Dio è possibile quando si è limpidi davanti a qualcun altro che Dio mette accanto a noi.
Nella Messa diciamo che confessiamo i nostri peccati anzitutto nei ‘pensieri’… Per bloccare i pensieri che non vanno bene è importante partire dallo Spirito: decidere di seguire i pensieri buoni che sono suscitati dallo Spirito. È fondamentale l’esperienza del discernimento.
Addormentarsi in pace, guardati e vegliati da Dio è importante: è necessario consegnare i nostri pensieri a Dio che ricrea la nostra persona riordinando quel che ci ha scombussolato durante il giorno.
Non è quel che entra nell’uomo, ma quel che esce dal cuore a renderlo impuro. Non si tratta solo degli alimenti! In realtà dobbiamo dare molta attenzione a quel che ascoltiamo, perchè potremmo diventare quel che guardiamo se lasciamo entrare tutto acriticamente.
Questa beatitudine ci aiuta a rimettere a fuoco lo scopo fondamentale della nostra vita: vedere il Signore, incontrare il Signore, cercare solo Lui, stare solo con Lui.
Abbiamo un continuo bisogno di purificare il cuore: le intenzioni e i propositi… Oggi si sente dire ‘Vai dove ti porta il cuore’: ma non è scontato che quel che dice il cuore sia la verità e il bene supremo. Solo nella grazia dello Spirito e alla luce della Parola possiamo pensare che il nostro cuore ci porti al bene.
Spesso si dice “che male c’è, non c’è nulla di male”, con superficialità cerchiamo di gestire relazioni, situazioni, contesti famigliari, di lavoro, attività, gli stessi progetti che definiamo sono frutto di una lettura personale, parziale e, a volte, ambivalente, di convenienza. I puri di cuore sono coloro che con carità nella verità cercano di vivere in trasparenza e la loro luce è visibile: così i figli della luce saranno più scaltri dei figli delle tenebre, affinché ogni azione, parola, pensiero e il “non detto” siano sostenuto dalla ferma scelta del “si, si; no, no” e siano, invece, rigettati secondi fini, opportunismi, manipolazioni. La bellezza del volto di ciascuno sarà visibile credibile e vera, esattamente come Gesù vuole che sia “immagine di Dio”
25 febbraio – don German Diaz Guerra
Mt 5,6.10: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati… beati i perseguitati per la giustizia, perchè di essi è il regno dei cieli
Intro:
Nella Gmg 2014, a Rio de Janeiro, il papa Francesco accennava: «La forza rivoluzionaria delle Beatitudini ci fa sempre molto bene leggere e meditare le Beatitudini! Gesù le ha proclamate nella sua prima grande predicazione, sulla riva del lago di Galilea. C’era tanta folla e Lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò quella predica viene chiamata “discorso della montagna”. Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come maestro divino, come nuovo Mosè. E che cosa comunica?» (si chiedeva il papa, e mi chiedo adesso anche io).
1. Di quale giustizia ci parla Gesù nelle beatitudine?
Spontaneamente siamo sempre pronti a tracciare delle righe, e quando parliamo della giustizia, in questo passo del vangelo, di che cosa parliamo: giustizia di Dio – giustizia degli uomini (se non ci sono altre giustizie di cui parlare)? La divisione è chiara per noi, però la domanda manca ancora di risposta: Gesù parla della giustizia di Dio, oppure la giustizia che si genera tra i uomini, forse delle due insieme?
2. La giustizia umana
Secondo il dizionario biblico Dufour, pag 134:
1. Virtù morale che consiste nel rispettare i diritti altrui e nel riconoscere a ciascuno ciò che li aspetta: governare, amministrare, giudicare con giustizia.
esempio:
– uomo di giustizia, chi agisce secondo i principi della giustizia.
– calpestare la giustizia, agire senza rispettare i principi della giustizia.
2. Attuazione concreta di un principio di un provvedimento giusto: hanno compiuto un atto di giustizia; gli è stata negata la giustizia.
– Rendere, fare giustizia a qualcuno, riparare i torti da lui subiti riconoscere i meriti.
3. Potere istituzionale a cui è demandata l’applicazione della legge, magistratura: giustizia civile, penale; assicurare qualcuno alla giustizia.
– gli esecutori della potestà giudiziaria; è fuggito dalle mane della giustizia.
4. Pena o punizione e relativa esecuzione: giustizia è fatta.
– fare giustizia sommaria, punire, uccidere senza regolare processo.
3. La giustizia secondo l’Antico Testamento
Quando nella Bibbia si parla di giustizia è sempre a partire dal rapporto con Dio, e si ritiene, senza contestazioni, che vi siano uomini giusti i quali compiono la volontà divina nel timore di Dio e nell’amore verso il prossimo.
Il significato spazia tra “normativa”, fedeltà della comunità, conformità all’ordine, rettitudine, e anche capacità di vittoria. Il significato lascia emergere che il fondamento del termine rimanda ad un concetto di relazione: la giustizia si attua tra Dio e il popolo eletto, o il singolo uomo, tra gli uomini nelle loro dinamiche relazionali.
Il rapporto tra Dio e il popolo di Israele poggia sulla giustizia che si configura come un diritto e un dovere: il diritto di Dio è il dovere del popolo e dei suoi membri. Dio ha stipulato un patto con Israele; mantenerlo significa aiutare Israele in ogni suo bisogno. La giustizia di Dio si manifesta dunque nell’osservare la sua Alleanza e nel presentarsi come salvezza di Israele.
4. Nel Nuovo Testamento
Anche nel Nuovo Testamento il termine indica la rettitudine etico-religiosa dell’uomo, nel senso di disponibilità a fare propria la volontà di Dio.
San Paolo accoglie il concetto di grazia di Dio in questo senso: la grazia divina è sempre espressa come fedeltà al patto. Nella Lettera ai Romani (Rom 3,3) parla in modo esplicito della fedeltà di Dio e della fedeltà degli uomini. La giustizia di Dio consiste dunque nella fedeltà di Dio alle sue promesse.
In armonia con il linguaggio veterotestamentario: Dio ha stipulato un patto con l’uomo; mantenerlo significa aiutare l’uomo in ogni suo bisogno. La giustizia di Dio si manifesta dunque nell’osservare la sua Alleanza e nel presentarsi come salvezza dell’umanità.
Il concetto cristiano di Giustizia ha varie accezioni e fa riferimento a diversi contesti:
– Indica in genere la volontà di aderire ai comandamenti di Dio; si configura come una virtù che orienta la vita del credente;
– indica lo stato di innocenza e di perfetta rettitudine, gratuitamente concesso da Dio all’uomo prima del peccato: giustizia originale.
La realizzazione della giustizia nella vita cristiana la rende inseparabile dalla carità. Dal cristiano si esige molto di più che il rispetto degli inalienabili diritti altrui: egli resta, comunque, sempre debitore nell’amore.
5. Di cosa parlano le beatitudini?
Ci parlano, senza altro, di quello che ci aspettiamo della vita: “La Felicità”. Chi non vuole essere felice? ogni persona istintivamente cerca di essere felice: chi non vuole aggiungere un tassello di intima gioia alla sua esistenza?
È senz’altro giusto volere essere felice: quando arriviamo alla felicità diciamo che stiamo vivendo un momento di giustizia.
Ciò che di peculiare il Vangelo testimonia è la misericordia di Gesù superiore a ogni giustizia, intesa come legalità umana. Per questo egli ha potuto dire: “Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17).
La giustizia della beatitudine è infatti gratuita e preveniente rispetto alla nostra risposta: gratuita, perché l’amore e la misericordia di Dio non vanno mai meritati; preveniente, perché Dio per primo ci propone la relazione con lui, chiedendoci di accogliere il suo amore prima di rispondergli con il nostro.
La giustizia come Gesù ce la presenta è come una possibilità per arrivare a condividere le beatitudine.
Nella passione e morte di Gesù, si compie un atto di giustizia o di ingustizia?
6. Finale
Quanto siamo disposti a offrire per la giustizia?
La giustizia di Dio è sovente legata al concetto di misericordia, Dio è giusto, per questo è anche amante, capace di grazia, compassionevole. Insomma è capace di un amore gratuito, preveniente, che non va mai meritato.
7. Altri spunti.
Nella dottrina classica viene tradizionalmente ripartita secondo i tre rapporti fondamentali della vita sociale:
– Riguarda il rapporto degli individui tra di loro: giustizia commutativa.
– Riguarda il rapporto tra la comunità e i singoli membri che partecipano al bene comune: giustizia distributiva.
– Riguarda il rapporto tra l’individuo e la comunità, facendo sì che gli interessi particolari siano subordinati a quelli del bene comune: giustizia legale.
Padri della chiesa. Per i padri della Chiesa la giustizia di cui parla Gesù non è soltanto la costante e perpetua volontà di dare a ciascuno ciò che è suo, ma consiste principalmente nell’operare la carità, la pietà, la misericordia.
Papa Francesco: “Invito ciascuno – ha aggiunto Francesco – a sentirsi coinvolto non solo in un impegno esterno che riguarda gli altri, ma anche in un lavoro personale dentro ognuno di noi: la nostra personale conversione. È solo questa la giustizia che genera giustizia!”.
Non è sufficiente la sola giustizia – ha ricordato il Pontefice – occorrono anche prudenza, fortezza e temperanza: “La prudenza – ha spiegato il Papa – ci dà la capacità di distinguere il vero dal falso e ci consente di attribuire a ciascuno il suo. La temperanza come elemento di moderazione ed equilibrio nella valutazione dei fatti e delle situazioni ci rende liberi di decidere in base alla nostra coscienza. La fortezza ci consente di superare le difficoltà che incontriamo, resistendo alle pressioni ed alle passioni. In special modo a voi può esservi di aiuto nella solitudine che spesso sperimentate nel prendere delle decisioni complesse e delicate”.
Nel vostro lavoro giornaliero – ha detto ancora il Pontefice – ricordate che “vi trovate spesso di fronte a persone che hanno fame e sete di giustizia, persone sofferenti, talora in preda ad angosce e disperazione esistenziale. Al momento di giudicare dovete essere voi, scavando nella complessità delle vicende umane, a dare risposte giuste, coniugando la correttezza delle leggi con il di più della misericordia insegnataci da Gesù. Infatti, la misericordia non è la sospensione della giustizia, ma il suo compimento”.
Giudicando – ha continuato il Papa – dovete “comprendere le cause dell’errore, e la fragilità di chi ha violato la legge”.
Dopo aver ricordato l’ammodernamento della legislazione vaticana, Francesco ha spiegato che tale azione si inserisce “all’interno della missione della Chiesa, anzi fa parte integrante ed essenziale della sua attività ministeriale. Ciò spiega il fatto che la Santa Sede si adoperi per condividere gli sforzi della comunità internazionale per la costruzione di una convivenza, giusta ed onesta, e soprattutto attenta alle condizioni dei più disagiati e degli esclusi, privati di beni essenziali, spesso calpestati nella loro dignità umana e ritenuti invisibili e scartati”.
Appunti dalla condivisione
Posta la gradualità delle Beatitudini, la 6 e la 10 possono essere gestite insieme. Senza la 10 avere fame e sete di giustizia può diventare un mero lamento, o si ha la speranza che qualcuno pensi a fare giustizia, ma noi intanto giochiamo a scarica barile e chi è in difficoltà, resta in difficoltà. Così si generano le differenze economiche, sociali, di relazioni sia a livello macro che micro.
La giustizia è virtù cardinale che vive nel concreto quotidiano, è disciplinata da norme e decreti, ieri come oggi. Ma vive anche di gratuità, è strettamente connessa alla carità, quella di 1Cor. 13,1-13. A volte basterebbe togliere le travi che abbiamo negli occhi, mentre vediamo benissimo le pagliuzze degli altri, della serie “perché lui/lei sì e io no?”. La semplicità dei bambini ci aiuta perché, se q.cosa non è giusto, loro lo dicono e trovano pure la soluzione, perché non sanno cosa è l’orgoglio e la speculazione.
Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto….chiedendo allo Spirito Santo di intercedere presso Dio Padre che vede e provvede. Mi chiedo siamo capaci di dare, aprire, ritrovare “quel misericordia io voglio e non sacrificio?”
Attenzione ai recinti, …
Attenzione a chi ci troviamo davanti.
Essere perseguitati per la giustizia viene da un atteggiamento attivo e propositivo, di proposta di giustizia nella comunità degli uomini.
La affermazione della giustizia nella società è possibile solo a partire dall’apertura di cuore a Gesù che è la giustizia di Dio. L’impegno del cristiano non è semplicemente filantropico, ma teologico.
26 febbraio – don Christian Piva
Mt 5,4: Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati
Per comodità di espressione, parlo di “afflitti/afflizione”, piuttosto del letterale “coloro che piangono”, in modo da far emerge più chiaramente la coppia “afflizione/consolazione”, esperienza che ogni credente fa nella propria vita di fede!
● Domandiamoci subito chi siano gli afflitti, che cosa voglia dire essere afflitti. Ho trovato che in latino afflictus significa “abbattuto, rovinato, buttato giù a terra”, e vale sia per cose materiali, sia per l’ambito psicologico, morale e spirituale delle persone.
Medita la Parola…
- –Afflizione spirituale: Salmi 6; 13; 38; 69; 88
- –Afflizione sociale, politica, religiosa: Lamentazioni 1 e ss., Qoèlet 4, 1-16
● Viene così da chiedersi come lo stato di afflizione possa essere detto da Gesù fonte di beatitudine?
Si dice sempre che la beatitudine è la felicità; se la beatitudine fosse una situazione ottimale dove tutto va bene umanamente parlando, dove tutti sono felici, Gesù ci avrebbe detto una bella fandonia!
● Allora che cos’è la beatitudine? Che cos’è una vita beata, secondo il Vangelo?
Direi che la beatitudine è semplicemente l’incontro che avviene nella nostra vita con l’agire di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio che incontra l’uomo…questa è la beatitudine! E l’uomo beato è colui che si è lasciato incontrare da Dio. Tutto qui.
Se lasciamo crescere nel nostro cuore questa prospettiva, allora inizia dentro di noi a risuonare bene anche “beati gli afflitti” e cominciamo veramente a comprendere come agisce Dio, che cosa fa nelle sue giornate: va a cercare gli afflitti, coloro che sono buttati a terra dalla vita, si fa vicino a loro per rimetterli in piedi! Il lavoro di Dio è quello di abbassarsi fino a dove ci troviamo noi uomini, prenderci per mano e con pazienza tirarci su, ridarci vita, rimetterci nella condizione di figli liberi.
● Così ci portiamo a contemplare la seconda parte della nostra beatitudine: “perché saranno consolati”.
Nel discorso di addio ai discepoli nell’Ultima Cena (Gv 14, 15-31; 16, 1-15), Gesù promette che il Padre manderà il Paràclito (in greco significa “Colui che si fa accanto”, che ti viene vicino per difenderti), termine che in latino è reso con Avvocato e Consolatore; sappiamo che il Consolatore è lo Spirito Santo!
È lo Spirito Santo di Dio che opera la vera e unica consolazione nel cuore di chi è afflitto e desolato; ogni altro spirito o qualsiasi altra realtà non sarebbe capace di rimettere in piedi l’uomo buttato a terra!
Medita la Parola…
- -Salmi 40; (34,19); 86; (118,49-56)
- -Isaia 40,1-11; 61,1-3; 66,10-14. Geremia 31,10-14.
- -Giovanni 14,15-19
- -2Cor1, 3-7
● Chi sono coloro che possono sperimentare la consolazione di Dio? Chi sono quelli che fanno esperienza nella loro carne di essere rimessi in piedi come uomini e figli salvati e amati dal Padre? Non di certo coloro che si ritengono già apposto, coloro che non debbono chiedere niente a nessuno, (tantomeno a Dio!), coloro che nella vita hanno già tutto quello che vogliono in successo, potere, mezzi economici…
ESERCIZI
Dagli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola
[316] Terza regola: la consolazione spirituale. Si intende per consolazione quando si produce uno stimolo interiore, per cui l’anima si infiamma di amore per il suo Creatore e Signore, e quindi non può amare nessuna delle realtà di questo mondo per se stessa, ma solo per il Creatore di tutte; così pure quando uno versa lacrime che lo portano all’amore del Signore, sia per il dolore dei propri peccati, sia per la passione di Cristo nostro Signore, sia per altri motivi direttamente ordinati al suo servizio e alla sua lode. Infine si intende per consolazione ogni aumento di speranza, fede e carità, e ogni gioia interiore che stimola e attrae alle realtà celesti e alla salvezza dell’anima, dandole tranquillità e pace nel suo Creatore e Signore.
[317] Quarta regola: la desolazione spirituale. Si intende per desolazione tutto il contrario della terza regola, per esempio l’oscurità dell’anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l’inquietudine dovuta a diverse agitazioni e tentazioni: così l’anima s’inclina alla sfiducia, è senza speranza e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore. Infatti, come la consolazione è contraria alla desolazione, così i pensieri che sorgono dalla consolazione sono contrari a quelli che sorgono dalla desolazione.
- –Quali sono le mie afflizioni, desolazioni, tristezze?
(dobbiamo imparare a dare nome e cognome alle nostre desolazioni)
- –Quali sono le consolazioni che il Signore mi dona?
(dobbiamo imparare a riconoscere l’agire di Dio nella nostra vita per far nascere la gratitudine, alimentare la fede e la speranza, infiammarsi di amore per Dio e per i fratelli!)
- –Che cosa prevale di più oggi nella mia vita e in ciò che mi sta attorno?
- –Quali afflizioni ci sono nella nostra parrocchia? Di quali consolazioni ha bisogno?
- –E io sono capace di consolare chi è nell’afflizione?
- –Che impegno concreto di consolare mi prendo per il prossimo periodo?
Dal Compendio di teologia ascetica e mistica di Adolfo Tanquerey
Illusioni degl’incipienti sulle consolazioni
920. Il Signore ordinariamente concede consolazioni sensibili agl’incipienti per attirarli al suo servizio; poi per un tempo li priva a fine di provarne e rinsaldarne la virtù. Or vi sono taluni che si credono già arrivati a un certo grado di santità quando hanno molte consolazioni; se poi esse vengono a cessare e cedono il posto alle aridità, si credono perduti. A prevenir quindi nello stesso tempo la presunzione e lo scoraggiamento, conviene spiegar loro la vera dottrina sulle consolazioni e sulle aridità.
I. Le consolazioni.
921. Natura ed origine.
a) Le consolazioni sensibili sono dolci emozioni che toccano la sensibilità e fanno gustare una viva gioia spirituale. Il cuore si dilata e batte allora più animatamente, il sangue circola con maggior rapidità, radioso è il volto, la voce commossa, e la gioia si manifesta talora con le lacrime.
b) Queste consolazioni possono provenire da triplice fonte:
1) da Dio, che opera con noi come la madre col suo bambino, traendoci a sè con le dolcezze che ci fa provare nel suo servizio, a fine di staccarci più facilmente dai falsi diletti e piaceri del mondo;
2) dal demonio, che, operando sul sistema nervoso, sull’immaginazione e sulla sensibilità, può produrre certe emozioni sensibili di cui poi si servirà per spingere ad austerità indiscrete, alla vanità, alla presunzione presto seguita dallo scoraggiamento;
3) dalla natura stessa: vi sono temperamenti immaginosi, sensitivi, ottimisti, che, dandosi alla pietà, vi trovano naturalmente alimento alla loro sensibilità.
922. Vantaggi. Le consolazioni hanno certamente la loro utilità:
a) Agevolano la conoscenza di Dio b) Contribuiscono a fortificar la volontà c) Ci aiutano a formarci abitudini di raccoglimento, di preghiera, d’obbedienza, d’amor di Dio, che persevereranno in parte anche quando le consolazioni saranno cessate.
923. Pericoli. Ma hanno anche i loro pericoli queste consolazioni:
a) Eccitano una specie di spirituale ghiottoneria, la quale fa che uno si affezioni più alle consolazioni di Dio che al Dio delle consolazioni; cosicchè, cessate che siano, si trascurano poi gli esercizi spirituali e i doveri del proprio stato.
b) Fomentano spesso la superbia sotto una forma o sotto un’altra:
1) la vana compiacenza: quando si ha consolazioni e la preghiera riesce facile, uno si crede facilmente un santo, mentre invece è ancora novizio nella perfezione!
2) la vanità: si desidera parlare ad altri di queste consolazioni per darsi importanza; e allora se ne viene spesso privati per un notevole tempo;
3) la presunzione: uno si crede forte e invincibile, e si espone talora al pericolo, o almeno comincia a riposarsi, quando invece bisognerebbe raddoppiare gli sforzi e progredire.
924. Contegno rispetto alle consolazioni.
Per trar profitto dalle divine consolazioni e schivare i pericoli che abbiamo indicati, ecco le regole da seguire.
a) Si può certamente desiderare queste consolazioni ma in modo condizionato, con l’intenzione di servirsene ad amar Dio e adempierne la santa volontà.
b) Quando queste consolazioni ci vengono date, riceviamole con gratitudine ed umiltà.
c) Ricevutele umilmente, vediamo di premurosamente volgerle al fine voluto da Colui che ce le dà. Ora Dio ce le concede, dice S. Francesco di Sales, “per renderci dolci con tutti e amorosi verso di lui. La madre dà i confetti al figliolino perchè la baci; baciamo dunque questo Salvatore che ci dà tante dolcezze. Ora baciare il Salvatore vuol dire obbedirlo, osservarne i comandamenti, farne la volontà, secondarne i desideri, insomma teneramente abbracciarlo con obbedienza e umiltà”.
d) Finalmente bisogna persuadersi che queste consolazioni non dureranno sempre, e chiedere quindi umilmente a Dio la grazia di servirlo nelle aridità quando si degnerà di inviarcele. Intanto, in cambio di voler prolungare con sforzata applicazione queste consolazioni, bisogna moderarle e attaccarsi fortemente al Dio delle consolazioni.
II. Delle aridità.
925. Natura.
Le aridità sono una privazione delle consolazioni sensibili e spirituali che agevolavano la preghiera e la pratica delle virtù. Non ostante sforzi spesso rinnovati, non si ha più gusto per la preghiera, vi si prova anzi noia e stanchezza, e il tempo pare molto lungo; la fede e la confidenza sembrano assopite e l’anima, in cambio di sentirsi svelta e lieta, vive in una specie di torpore: non si va più avanti se non per forza di volontà. È questo certamente uno stato molto penoso, ma ha pure i suoi vantaggi.
926. Scopo provvidenziale.
a) Quando Dio ci manda le aridità, lo fa per distaccarci da tutto ciò che è creato, anche dalle gioie della pietà, affinchè impariamo ad amar Dio solo e per sè stesso.
b) Vuole pure umiliarci, mostrandoci che le consolazioni non ci sono dovute, ma sono favori essenzialmente gratuiti.
c) Ci purifica sempre più così dalle colpe passate come dagli attacchi presenti e da ogni mira egoistica; quando si è costretti a servir Dio senza gusto, per sola convinzione e forza di volontà, si soffre molto e questo patimento espia e ripara.
d) Infine ci rafforza nella virtù; perchè, per continuare a pregare e a fare il bene, bisogna esercitare con energia e costanza la volontà e con siffatto esercizio si rassoda la virtù.
927. Condotta da tenere.
a) Le aridità provengono talvolta dalle colpe nostre, onde bisogna prima di tutto esaminar seriamente, ma senza affanno, se non ne siamo responsabili noi:
1) con sentimenti più o meno volontari di vana compiacenza e di orgoglio;
2) con una specie di pigrizia spirituale, o per l’opposto con una inopportuna tensione;
3) con la ricerca di consolazioni umane, di amicizie troppo sensibili, di mondani diletti, non volendo Dio saperne di cuori divisi;
4) con la mancanza di sincerità col direttore: “poichè voi mentite allo Spirito Santo, dice S. Francesco di Sales, non è meraviglia s’egli vi rifiuta la sua consolazione”. Trovata la causa di queste aridità, bisogna umiliarsene e cercar di sopprimerla.
929. Consiglio al direttore.
Affinchè questa dottrina sulle consolazioni e sulle aridità sia ben capita dai diretti, bisogna tornarci sopra di frequente; perchè essi credono pur sempre di far meglio quando tutto va a seconda dei loro desideri che quando si è costretti a remar contro corrente; ma a poco a poco si fa la luce e quando sanno non inorgoglirsi nelle consolazioni e non disanimarsi nelle aridità, molto più rapidi e costanti ne sono i progressi.
Appunti dalla condivisione
Ho avuto tante disgrazie nella vita, che ho dovuto affrontare da sola. Non ho mai abbandonato la fede e la richiesta a Maria di guidarmi: ho sperimentato davvero la consolazione nelle situazione di afflizione.
Orme sulla sabbia
Questa notte ho fatto un sogno, ho sognato che camminavo sulla sabbia accompagnato dal Signore, e sullo schermo della notte erano proiettati tutti i giorni della mia vita. Ho guardato indietro e ho visto che per ogni giorno della mia vita, apparivano orme sulla sabbia: una mia e una del Signore.
Così sono andato avanti, finché tutti i miei giorni si esaurirono. Allora mi fermai guardando indietro, notando che in certi posti c’era solo un’orma… Questi posti coincidevano con i giorni
più difficili della mia vita; i giorni di maggior angustia, maggiore paura e maggior dolore…
Ho domandato allora:
“Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con te, ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti peggiori della mia vita?”. Ed il Signore rispose: “Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato con te durante tutta il tuo cammino
e che non ti avrei lasciato solo neppure un attimo, e non ti ho lasciato… i giorni in cui tu hai visto solo un’orma sulla sabbia, sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”.
Nella vita spirituale, lo stato d’animo è molto importante: S. Ignazio ci insegna che ci vuole discernimento per capire se gli stati d’animo vengono da Dio, dal demonio oppure dalla nostra stessa natura. Bisogna vedere dove ci portano i pensieri e i sentimenti!
Dio non vuole, ma permette l’afflizione. E allo stesso modo permette la tentazione, per metterci alla prova; vuole che con la tua intelligenza e volontà, nella libertà, noi scegliamo Dio e non il male.
“Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. La tua gente riedificherà le rovine antiche, ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni. Ti chiameranno riparatore di brecce, e restauratore di strade perché siano popolate” (Is 58,8-12).
Questo testo di Isaia mi ha aiutato nelle prove, sapendo che le lacrime sono un dono, che sono viste, contate e asciugate. Sapendo che la lotta non ci è tolta. Sapendo che un valido accompagnamento spirituale rende liberi autonomi e responsabili, non dipendenti.
Mi ritorna in mente la preghiera semplice attribuita a san Francesco: Signore fa di me uno strumento della tua pace…