La colazione è al Makarè, mentre il sole si alza sull’aria limpida e ci prepariamo ad una giornata di bellezza e fascino. La mattinata è a Pompei: mezz’oretta di strada tra Asse mediano e Autostrada verso sud. L’ingresso agli scavi è veloce, dopo che abbiamo perso tempo a stampare i biglietti con l’antesignano computer della parrocchia. Ci incamminiamo dapprima insieme tra le vie dell’antica, affascinante città. C’è tanta gente, di ogni lingua. Non è difficile immaginare la vita di venti secoli fa: il foro, la basilica, le domus, gente indaffarata che va e viene, gente che sosta nei termopoli, che commercia nelle botteghe, che s’affaccia sulle strade o che polleggia all’ombra degli eleganti peristili. Raggiungiamo la Villa dei misteri, che sta un po’ fuori, tra le vigne, bella, signorile e laboriosa, con il suo incredibile ciclo di affreschi sullo sfondo rosso pompeiano, che sembra fatto ieri ma è di cent’anni prima di Cristo. A gruppetti si continua a gironzolare, curiosi e sempre più accaldati, per le Regiones dissepolte dalle ceneri e dai lapilli con un appassionante lavorìo negli ultimi due secoli. Quasi tutti ci si ritrova all’anfiteatro prima dell’appuntamento per l’uscita.
Per pranzo, pizza al ristorante del parcheggio e via verso il parcheggio a quota ottocento, sulle pendici del Vesuvio: la prenotazione è per le dueemmezza. La strada si inoltra tortuosa in un altro mondo, tra le antiche, rosse e scure colate di lava faticosamente ricoperte da ginestre e pini. Intanto s’allarga l’orizzonte sulla enorme e disordinata distesa urbana della piana di Napoli, addossata allo stupendo golfo disegnato tra Capri ed Ischia. Un discutibile pulmino del Comune di Ercolano ci porta a quota mille e poi si sale a piedi sullo stradone polveroso e ripido che porta sulla sommità del Cono. E mentre il respiro s’affanna, gli occhi si riempiono sempre più del vasto orizzonte ora assolato, ora adombrato dalle nubi che giocano in cielo. Camminiamo sul bordo del cratere, ammirando ora l’enorme fossa che fa da tappo ad una futura sconosciuta esplosione e rimanda una limpida eco, ora il golfo che si rivela sempre più verso il meridione, dove in lontananza riconosciamo l’antica Pompei, e fa impressione pensare che proprio da qui è partito il flusso che l’ha uccisa, e sepolta, e conservata. Riconosciamo anche Sorrento che quasi ci attrae e ci fa prendere la decisione di raggiungerla per la cena.
Scesi dal cono, ci avviamo dunque ancora verso sud. In autostrada si corre bene. Lungo la costiera invece bisogna portare molta pazienza… è un sabato di agosto. Intanto in pulmino si chiacchiera, si cerca di mettersi d’accordo sulla musica da ascoltare, e si prega anche un po’.
Attraversato celermente a piedi il centro di Sorrento, scendiamo le ripide scale della nera scogliera e sul porto attendiamo il tramonto, carezzati dalla brezza e dai colori sempre già incendiati del cielo sul golfo. Dall’altra parte campeggia dolcemente il vulcano. Un applauso attira la nostra attenzione: sul muretto della banchina, sotto la scogliera e inondati della luce rossastra, lei accetta la proposta di lui che in ginocchio le porge l’anello. Più tardi anche noi ci avviciniamo per augurare ogni bene ai due giovani che scopriamo brasiliani.
Il ristorante più vicino è proprio lì, sul porto. Ci danno tempo fino alle nove e un quarto, ma ci sta una buona cenetta di pesce, con il vinello d’amalfi furbescamente suggerito dal simpatico ed esperto cameriere, circondato da altri giovani belloni e un po’ meno eleganti.
Risaliamo per un’altra ripida scala al centro di Sorrento, fitto di turisti da tutto il mondo. Shopping e gelato e poi al pulmino. Quasi a mezzanotte siamo in parrocchia, pieni di stanchezza, di fascino, di bellezza.












