Ci stai a sognare in grande?

Commento al Vangelo del 30 gennaio 2022.

La scorsa domenica abbiamo provato a meditare più personalmente, durante la Messa, sulla importantissima scena di Gesù nella sinagoga di Nazaret: con solenne semplicità, il Signore ci ha detto il suo programma di vita per la nostra salvezza. Citando il profeta Isaia, ci ha detto di essere il consacrato (il Messia, il Cristo) di Dio, riempito di Spirito per far del bene all’umanità. E ci ha detto che il suo obiettivo è molto concreto. E rivoluzionario: Dio vuole dire basta alla tristezza, alla schiavitù, alla cecità. Non ne può più del fatto che nel mondo ci siano persone che non conoscono la sua misericordia. Non ne può più delle varie forme di prigionia che tengono in schiavitù i suoi figli. Non sopporta più che ci siano tanti uomini e donne che non vedono il bene e il giusto. Ecco il servizio del Signore, che instancabilmente è all’opera. «Oggi».

Come reagiamo a questo annuncio? Nel vangelo di questa domenica (Lc 4,21-30) si racconta la reazione dei concittadini di Gesù: gli abitanti di Nazaret suoi parenti, suoi amici d’infanzia, suoi colleghi di lavoro… Una reazione dapprima piena di meraviglia per le parole di grazia (parole davvero belle, dette con serenità e coraggio), e subito dopo di sconcerto e di incomprensione: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Cioè: ma chi ti credi di essere?! E, potremmo aggiungere: cosa credi di fare? Sei forse in grado di guarire tutti i ciechi? Ti illudi di sistemare le ingiustizie del mondo? Credi di avere la forza di cacciare gli invasori (allora i romani, oggi…)? Si proprio convinto di poter risollevare il nostro popolo dalla crisi, le persone dalla depressione, i lavoratori dalle ingiustizie?

In questi giorni ho parlato con un gruppo di giovani: ci siamo confrontati sulla situazione della nostra capacità di sognare, sulle effettive speranze che stiamo vivendo. Ne è venuto fuori un quadro piuttosto carico di difficoltà. Si riesce forse a sognare qualcosa per la propria realizzazione personale e si è disposti a darsi da fare per quella, ma nessuno crede di poter sognare una società più giusta, una economia più equa, una comunità umana in cui si può vivere davvero la fraternità. Sotto sotto è come se dicessimo al Signore (che invece testardamente ci propone di essere protagonisti del Regno) le stesse cose dei nazareni: sei semplicemente il figlio di Giuseppe, non puoi imbarcarti in una impresa così grande. E tantomeno noi con te.

Addirittura, a Nazaret è successo anche qualcosa di più grave. Lo sconcerto si è trasformato in sdegno, e lo sdegno in minaccia di morte: se ti metti contro il potere costituito ci metti tutti nei casini, è meglio che ti facciamo fuori.

«Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino». Gesù lo fa anche oggi. Se ne frega altamente di chi mira in basso e di chi vuole metterlo ai margini. Passa in mezzo a noi, oggi, e delicatamente ci invita a metterci in cammino con lui. Il suo modo di trasformare il mondo non minaccia nessuno: è il modo umile che da sempre Dio ha usato, come quella volta con la povera vedova che ha aiutato Elia, o quell’altra in cui ha guarito il comandante assiro Naamàn con un gesto semplice suggerito dal profeta Eliseo.

Non ci resta che metterci di nuovo in cammino, anche oggi, dietro a lui, e insieme. Lasciando che anzitutto lui liberi noi dalla cecità e dalle nostre schiavitù. Lasciando che ci raduni (che importa se siamo in pochi?) per ripensare con lui la nostra vita personale, famigliare, comunitaria. E se qualcuno ci dice: chi credi di essere? Lasciamo pure che lo dica: a noi interessa solo il giudizio del Signore, ci interessa solo quel che lui pensa di noi.