Uno squarcio

Commento al Vangelo del 10 gennaio 2021.

Forse siamo già un po’ abituati alla essenzialità del testo di Marco. Il ‘prologo’ del suo racconto (oggi leggiamo 1,7-11) tratteggia la figura di Gesù con poche, importanti pennellate: noi lettori riceviamo alcune informazioni che solo lungo il suo resoconto diverranno un po’ più chiare. Ma già all’inizio sono molto suggestive.

La scena è sulle rive del fiume Giordano, dove il Battista guidava un movimento di rinnovamento: la sua predicazione è stringata. Parla di uno che viene dopo di lui e al quale è pronto a cedere il posto, perché chi viene dopo è più forte e ha il diritto di presentarsi come lo sposo legittimo di Israele. Marco ci fa partecipi della umiltà di Giovanni e della curiosità della gente. Chissà come si immaginavano quest’uomo ‘più forte’! Chissà come coglievano la differenza tra il battesimo con l’acqua e il battesimo ‘in Spirito Santo’… Quanto meno una differenza di profondità: l’acqua rimane in superficie, lo Spirito riguarda l’intimità. L’acqua si asciuga in fretta, lo Spirito rimane… Marco parla del battesimo cristiano? O del dono dello Spirito nella risurrezione?

In realtà ‘il più forte’ era già in mezzo al gruppo, in fila con gli altri peccatori che volevano purificarsi. È mischiato e per ora irriconoscibile in mezzo a loro. Gesù viene da Nazaret. La Bibbia non parla mai di questa borgata della Galilea. Un posto sconosciuto, lontano dal cuore della religiosità ebraica che è Gerusalemme. Una regione quasi di confine, marginale, a contatto con altri popoli. Che cosa può mai venire di buono da Nazaret?

A chi sa che è ‘il Cristo, Figlio di Dio’ (cf. il v. 1), la cosa può risuonare strana ma anche commovente: non disdegna di pazientare e di mettersi in coda, di chiacchierare con i peccatori e condividere il loro desiderio di conversione. Si fa battezzare pure lui, e per lui il rito diventa un po’ diverso.

Chi se ne accorge? Per ora, secondo Marco, lui e noi che leggiamo. Quando riemerge dall’acqua, lui e noi vediamo i cieli che si squarciano. È un’espressione tipica della rivelazione: vuol dire che Dio si fa conoscere. Dio irrompe sulla terra, Dio non rimane rinchiuso nei cieli, irraggiungibile e non conoscibile. Al gesto di compassione di Gesù verso i peccatori si accompagna la manifestazione di Dio. L’accostamento non è certo casuale: Dio è interessato ai peccatori, si rivela a quelli che umilmente si aprono a lui, nel deserto, lontano dagli affari principali della storia e dai titoli delle prime pagine dei giornali. Forse vuol dire che Dio è misericordia?

Lui e noi vediamo lo Spirito che si muove come colomba e si posa.

Lui e noi udiamo la ‘voce’ che dichiara l’identità di quel nazareno. È una dichiarazione d’amore, carica di affetto e di verità. È lo squarcio su una relazione intima, profondissima. Che bello: il vangelo non si preoccupa di dare definizioni concettuali o dogmatiche della divinità (sarà importante arrivarci dopo). Si preoccupa di presentare una esperienza, di raccontare una storia d’amore infinito tra un Padre e un figlio unico e amatissimo. Un figlio del quale il padre è contento perché gli procura gioia e compiacimento. Sembra di rivedere quel Verbo che sta nel seno del Padre, di cui abbiamo sentito dall’altro evangelista, Giovanni. E viene da ringraziare quei Tre che pazientemente e dolcemente si presentano per farci partecipi di quella circolazione d’amore che li unisce.

Ci mettiamo in cammino con questo Nazareno. Nel tempo scandito dalla liturgia impareremo di nuovo a conoscerlo e ad ascoltarlo, a fare esperienza della beatitudine di quell’abbraccio che lo lega eternamente al Padre. Ci appassioneremo sempre più a Lui e ci metteremo volentieri al suo servizio, perché in questo mondo da lui raggiunto si diffonda il suo modo di esistere, pieno di giustizia, di misericordia e di pace.