Commento al Vangelo del 7 luglio 2019.
S’è appena avviato decisamente verso Gerusalemme, il Signore. Ha appena chiarito la forza e la bellezza dello stare dietro a lui, che è il Figlio dell’uomo disposto a tutto pur di mostrare l’amore del Padre. Prende subito l’iniziativa di coinvolgere una bella squadra di suoi discepoli per una esperienza che diremmo missionaria (Lc 10,1-12.17-20). Aveva già fatto una cosa simile con i Dodici (9,1-6) ora ne sceglie settanta e li manda a due a due… Le istruzioni per questa missione sono di fondamentale importanza per noi: ci dicono i tratti essenziali del nostro essere discepoli missionari insieme nella Chiesa. Ci dicono cose che ci scuotono e ci obbligano a far funzionare bene la nostra riflessione su quel che dobbiamo fare per corrispondere di più al progetto di Dio, se ci interessa.
In realtà, prima di ‘fare’ bisogna ‘essere’. Quel che dobbiamo scegliere dipende dalla nostra identità, che va riscoperta continuamente: abbiamo bisogno che il Signore ce la ripeta! Chi siamo? Il motivo più profondo della nostra gioia sta nel fatto che i nostri nomi «sono scritti nei cieli»! Cioè in Dio. Siamo infatti battezzati (immersi) nel nome (nella persona) del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo! Siamo figli di Dio, che ci guarda con una benevolenza inimmaginabile.
Contemplare questa condizione della nostra persona, salvata dal potere delle tenebre e unita a Dio dentro a una storia che rimane molto complicata, è il fondamento essenziale dello slancio missionario. Se non abbiamo sperimentato per noi personalmente la salvezza, non scatterà mai né la voglia né l’obbedienza alla testimonianza missionaria!
E se la Chiesa è debole nella testimonianza nella nostra città e nel nostro quartiere, c’è da chiedersi quanto sia stato interiorizzato l’incontro meraviglioso di ciascuno di noi con il Signore che ha vinto il peccato e la morte!
Essere figli, poi, aiuta a delineare alcuni tratti dello stile di vita del missionario, che ricalca lo stile di vita di Gesù e, in fondo, la vita della Trinità.
I discepoli missionari (uniti nella Chiesa) sono poveri, non attaccati a nulla. Non prendono bosa, bisaccia, sandali. Dono devono dare agli altri delle cose, ma se stessi. Devono dare la notizia della bellezza del Regno, cioè della presenza di Dio che desidera umilmente governare gli uomini per il bene. Devono dare la pace, sintesi di ogni dono della benevolenza di Dio.
I discepoli missionari vivono e fanno vivere esperienze di accoglienza. Poveri come sono, non possono che vivere della benevolenza degli altri, e così mettono in evidenza che Dio suscita in tutti la disponibilità all’accoglienza. Vivono e fanno vivere l’esperienza della casa, della condivisione e della fraternità. La Chiesa è questa casa, questa scuola di fraternità, di relazioni belle. In questo sta una sfida culturale fortissima, per affermare il valore evangelico dell’accoglienza dentro a una rete di relazioni ispirate alla stima reciproca. A tutti i livelli: in famiglia, tra vicini di casa, tra gente del quartiere, tra popoli diversi. Questo richiede lo sguardo di Gesù che sa vedere in ogni uomo un fratello prezioso. Sa vedere e riconoscere i figli della pace che Dio suscita nel mondo, prima ancora che arrivi l’annuncio esplicito del Regno.
I discepoli missionari sono disincantati, scegliendo decisamente la via della mitezza. Sono agnelli (miti e tutti disponibili a nutrire gli altri, come l’Agnello di Dio) in mezzo ai lupi (che rapiscono e disperdono con la forza): sanno che c’è il male, ma sanno pure che il Signore ha vinto e ci ha liberati dal male. E sanno che adesso si sta dentro alla lotta, che è normale l’esperienza di non accoglienza e di rifiuto. Ma anche questo è occasione di annuncio, come è successo per Gesù sulla croce. I discepoli missionari sanno che non devono costruire un pezzo di società in cui le cose funzionano bene a fronte del resto del mondo che va male. Piuttosto, sanno che deve essere lievito che fermenta, sale che insaporisce, luce che illumina, stando dentro al tessuto delle case e delle città piene di gente amata dal Padre. I discepoli missionari sanno che devono stare con Gesù, tornare sempre da lui; e che Gesù continua ad accompagnare la vita della sua Chiesa, senza privarla della sua forza e della sua sapienza. d0 Grid