Commento al Vangelo del 30 giugno 2019.
È finita la stupenda ‘ubriacatura’ delle solennità del e dopo il tempo pasquale (Ascensione, Pentecoste, Trinità, Corpus Domini), che ci hanno aiutato a rimettere a fuoco alcuni misteri centrali della nostra fede, cioè la nostra relazione d’amore con il Signore risorto e asceso al cielo, che ci ha impregnato del suo Spirito, che ci tiene nell’abbraccio del Padre, che si dona a noi integralmente facendosi mangiare.
Ora riprendiamo il cammino del Tempo ordinario. Un cammino di sequela: seguiamo il Signore nella ferialità della nostra vita, per lasciarci plasmare da lui dentro alla nostra storia di tutti i giorni.
Il vangelo di oggi (Lc 9,51-62) ci aiuta molto a ridire la nostra scelta di essere ‘discepoli’, cioè ‘scolari’ del Signore. Lui, con molta determinazione (‘a muso duro’, dice san Luca), a un certo punto della sua vita ha deciso di andare a Gerusalemme, sapendo benissimo che là sarebbe stato ammazzato. Ma lui sapeva altrettanto bene che quella morte lo avrebbe ‘elevato in alto’ per diventare il riferimento di noi tutti. E di tutta l’umanità.
Con altrettanta determinazione Lui chiede a noi, oggi, se vogliamo stargli dietro. Lo fa attraverso l’esempio di tre persone che stavano decidendo di mettersi in cammino con Lui. E che ci stimolano a vedere quale ‘temperatura’ di adesione abbiamo noi, nel cammino quotidiano della nostra vita.
Il primo aveva mostrato una volontà generosa: ‘Ti seguirò ovunque tu vada’. Gesù lo mette in guardi: a differenza delle volpi che hanno tane e degli uccelli che hanno nidi, il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. Che significa? Forse lo stile di sobrietà e di povertà. O forse, meglio, il fatto che rinunciando a tana e nido si rinuncia alla protezione: è aperta la caccia e non c’è dove rifugiarsi. Il discepolo non può tirarsi indietro, come non si è tirato indietro il maestro: non possiamo vivere la nostra fede solo in sacrestia o in casa… La bellezza del Figlio dell’uomo morto e risorto per noi deve risplendere nelle nostre voci e nelle nostre scelte. Costi quel che costi anche in termini di persecuzione!
Il secondo personaggio, interpellato direttamente da Gesù, avanza una esigenza che diremmo legittima: seppellire suo padre. Ma il Signore lo spiazza: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Ma non aveva detto, il quarto comandamento, di onorare il padre e la madre? Evidentemente Gesù ci provoca molto a riorganizzare nella nostra testa e nel nostro cuore la gerarchia di importanza delle cose: in fondo chi è l’autore della vita? Chi è capace di darci una vita definitiva? Chi è l’autore dell’amore che fa bella la nostra vita? Chi è capace di darci un amore incrollabile? Padri e madri ce la mettono tutta, ma non ci riescono… Per questo Gesù, che assieme al Padre e allo Spirito è l’autore della vita e dell’amore, si offre gratis a noi e decide di rendersi affidabile ficcandosi dentro alla nostra vita, alla nostra sofferenza e addirittura alla nostra tomba, e tirandoci fuori da quella tomba nella quale quel tale voleva seppellire suo padre! Annunciare il vangelo, per quel tale, non ha voluto dire dimenticare il padre, ma guardarlo con gli occhi nuovi del Signore datore di vita per tutti! Chiara la provocazione per noi: abbiamo veramente cambiato sguardo sulla morte? Sui nostri cari defunti? Sulla nostra inesorabile esperienza di andare incontro all’ora della nostra morte individuale?
Il terzo personaggio è simile al secondo: vuole congedarsi da quelli di casa. Rispondendogli, Gesù aggiunge: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio»… È un invito ad una scelta radicale. A noi così ondivaghi, così relativisti, così banderuole fa impressione… Ma nello stesso tempo siamo tutti desiderosi e affascinati dalla stabilità delle scelte di vita, che nel Signore non mortificano libertà e fantasia e creatività (la storia dei santi ne è testimonianza mirabile). Attaccarsi al Signore fedele richiede fedeltà, una fedeltà che proprio Lui è in grado di dare e di sostenere lungo tutto l’arco della nostra vita.