13 agosto.
Scampia. Dove c’erano campi e pascoli, tra gli anni ’70 e ’90 è stato costruito questo enorme quartiere che ospita più di sessantamila persone, universalmente e tristemente noto. Ci accoglie il gesuita padre Marco, che rintracciamo davanti alla chiesa parrocchiale e che ci accompagna ad unirci ad un altro gruppo parrocchiale di giovani che stanno visitando il famoso complesso delle Vele. Nel ballatoio della vela celeste (una delle quattro che sono rimaste in piedi, altre tre sono già state demolite) lo stomaco si rivolta quando gli occhi si posano su un indicibile spettacolo di schifo e sporcizia che pervade il complesso ormai cadente e quasi abbandonato. In realtà vivono qui ancora poche persone, qualche centinaio, delle tante famiglie che per decenni hanno occupato abusivamente gli edifici. Tutto verrà demolito. O forse no: quando sarà svuotato delle persone, rimarrà qui un set cinematografico perfetto per le redditizie fiction sulla camorra. Lo dice padre Sergio, che in un modo un po’ ellittico procede nel descrivere la situazione di Scampia, offrendo scampoli di dati e riflessioni che facciamo fatica a mettere insieme. Il problema grosso, dice, non è la camorra: sono rimasti pochi imbecilli che vivono nella paura di essere braccati dalle forze dell’ordine e nella paura degli altri camorristi. Il problema non è più lo spaccio di droga che da queste parti ha avuto dimensioni industriali nei decenni scorsi; piuttosto i problemi sono l’altissimo tasso di disoccupazione, la mancanza di presenza seria delle istituzioni (che creano ai gesuiti del Centro Hurtado le perdite di tempo e i disagi più grossi), la conformazione urbanistica di un quartiere fatto di alveari e del tutto carente di spazi per la vita sociale e l’incontro. La gente se ne sta chiusa in casa (in effetti non c’è quasi nessuno in giro), e i ragazzi si involvono nella solitudine di un mondo virtuale, senza vita aggregativa e stimoli culturali. Esiste qualche frammentaria iniziativa da parte di gruppi ecclesiali o civili, che però faticano a mettersi in rete e che comunque riescono a raggiungere una parte minuscola della popolazione del quartiere. Continuiamo a muoverci, con un po’ di disagio, quasi fossimo in uno zoo. Al gruppo s’è aggiunta Chiara, una bimba di sette anni, assai sveglia, che ogni tanto sta con padre Sergio perché in casa nessuno può accudirla. Sostiamo un poco nella chiesa parrocchiale e inoltrandoci nel complesso del lotto P (un tempo vera centrale fortificata dello spaccio), sorgono interrogativi e perplessità che rimangono senza risposta. Come mai la gente viene o rimane a vivere qui? Se la camorra ha fatto il suo corso, cosa impedisce un cammino di riqualificazione? Come mai non si riesce ad affrontare il problema della ignoranza? Perché non ci si organizza più capillarmente per esigere dalle istituzioni maggiore attenzione? Possibile che rimanga così diffusa la mancanza di un senso civico?
Immersi in un mondo che sembra così distante dalla nostra esperienza, qualche spunto però pare essere provocante anche per noi. Forse anche dalle nostre parti va colto e affrontato il problema della mancanza del senso civico, quello della superficialità di tanti ragazzi e giovani che rimangono disimpegnati e intrappolati nel mondo virtuale del divertimento… A più riprese, durante la giornata, torniamo a confrontarci su queste cose.
Intanto salutiamo il padre Sergio all’ingresso di un campo Rom, facciamo la spesa in un negozietto del quartiere, serviti da una cordiale signora barese che nota il nostro ‘accento pesante’ del nord, e voliamo dalle stalle alle stelle: il Museo di Capodimonte. Entriamo in fretta perché ci teniamo a gustarci la Collezione Farnese esposta al primo piano, che però chiude presto per mancanza di personale. Gli occhi qui si saziano della bellezza di forme e colori delle tele di autori tra il Quattrocento e il Seicento. Manca Caravaggio, ma ci sono Tiziano, Raffaello, i Carracci… C’è la bellezza dei saloni del palazzo reale, il panorama su Napoli e il suo golfo, il curatissimo parco che sta attorno. In un prato ombroso facciamo un allegro picnic, prima di rientrare nel Museo per visitare gli altri due piani: la lunghissima collezione barocca (anche questa con pezzi di tutto rispetto) e il settore molto più piccolo dell’arte contemporanea.
Si finisce piuttosto tardi e salta il previsto giro al mare per un tuffo… Decidiamo di tornare a Napoli per un gelato, su lungomare che avevamo visto solo di notte. Il traffico feriale è un po’ più caotico… Sistemato il pulmino nei pressi del Maschio Angioino scendiamo sugli scogli del molo. Il mare oggi è blu, la foschia se n’è andata e il profilo del Vesuvio digrada dolcemente sulle alture di Sorrento. Anche Capri fa capolino all’orizzonte. Un posto perfetto per celebrare i Vespri. Poi il gelato sul lungomare e via verso casa, per la cena e la serata tranquilla.