12 agosto.
È domenica! La nostra comunità parrocchiale, oggi, è quella di San Nicola di Bari a Casal di Principe, che sta a nordovest di Aversa. Per qualche ora siamo ‘casalesi’ anche noi. Seguiamo l’auto di Salvatore e Rita (che conoscono bene i preti di lì e ci accompagnano volentieri) attraverso un tratto della infinita e sempre uguale città metropolitana che si stende confusamente attorno a Napoli. Tappa per la colazione e poi in parrocchia, con qualche minuto di anticipo sulla Messa che è alle dieci e trenta. Oggi ci sono le Prime Comunioni (uno dei cinque turni dell’anno, in agosto perché qui sono tanti gli emigrati che tornano per le ferie). La moderna e chiara chiesa parrocchiale si sta riempiendo di parrocchiani e parenti dei ragazzi. Don Alessandro e il parroco don Franco ci accolgono fraternamente e partecipiamo a questa celebrazione, spaccato di vita di una parrocchia che il 19 marzo del 1994 ha sperimentato la ferocia della camorra: il giovane parroco don Peppe Diana è stato freddato proprio nella sacrestia, mentre si preparava per la celebrazione della Messa nel giorno del suo onomastico.
Preghiamo per e con questa comunità, attendendo l’incontro con don Franco. Dopo la Messa ci raduna proprio nella sacrestia e inizia a parlarci di don Peppe e di quella tragica mattina di quasi venticinque anni fa. Il dialogo continua in modo molto semplice ed informale sul sagrato della chiesa. Si aggiungono Augusto (fotografo, era accanto a don Peppe nel momento dell’assassinio) e altri parrocchiani che s’aggregano a questo incontro quasi improvvisato. Viene fuori un racconto interessante, a più voci che presentano le sfumature diverse di una esperienza personale e comunitaria di impegno civile e di fede. Augusto dice delle traversie giudiziarie del caso inquinato per anni da depistaggi e da false accuse. Don Franco riflette sul messaggio di don Peppe: la ricerca di una forma di ministero che non si fermi alla celebrazione e alla catechesi per diventare incisivo sulla società civile che chiede testimonianza evangelica di giustizia e di pace. Oreste, Giovanni, Franca spiegano la situazione di vita dentro a una comunità civile in gran parte segnata dalla appartenenza camorristica, la difficoltà dei rapporti tra ragazzi di diverse appartenenze, che comunque dovevano vivere insieme. Viene fuori il sistema di presenza della camorra, fondata sulla rete di favori che confondeva le acque: nell’assenza dell’opera delle istituzioni, l’economia era in mano alla camorra che dava pane a tante famiglie e che suscitava paura specie quando succedevano fatti di sangue. Tra gli anni ’80 e ’90 era difficile prendere posizione, mentre ogni mattino ci si chiedeva chi era stato ucciso quella notte, chi era stato arrestato, chi si era pentito…
Don Peppe è stato uno spartiacque per la presa di consapevolezza della gente e per un inizio di intervento più forte delle istituzioni. Nonostante la gran confusione sulla natura del delitto (don Peppe innamorato? Don Peppe camorrista e trafficante di armi per una fazione della camorra?) molti hanno aperto gli occhi e hanno preso le distanze da una collaborazione più o meno diretta con gli affari dei camorristi. Ha preso forma un impegno educativo più aperto e capillare. In un modo molto disincantato, perché lo Stato ha fatto la sua parte solo a livello di indagini giudiziarie, rimanendo assente nella organizza di una vita economica e sociale più solida. Intanto gli affari della camorra si sono trasformati o spostati, ma rimane spesso difficile vedere e prendere posizione. Don Franco, con amarezza e disincanto, dice la fatica educativa e il rischio continuo che ogni presa di posizione possa essere incompresa e trasformata in accusa di connivenza. Il cammino di fede, poi, rimane arduo: la logica del perdono è ancora molto distante e colta come segno di debolezza. Il Vangelo è letto unilateralmente: c’è chi prende solo la cacciata dei mercanti dal tempio, chi solo le parabole della misericordia… Una cosa è certa: come cristiani si deve vivere da sentinelle e da profeti. Occhi aperti su quelol che succede e fermezza nel prendere posizione su tutte le forme di illegalità e di favoritismi.
Più che una testimonianza per noi, l’incontro sembra un dialogo tra i parrocchiani, punteggiato dalle nostre domande. È bello questo confronto tra loro: abbiamo quasi l’impressione che non capiti spesso…
L’ora si fa tarda. Salutiamo una famigliola eritrea che è ospitata in parrocchia e rientriamo a Giugliano, facendo tappa al Caseificio Caputo che avevamo adocchiato al mattino: una bella scorta di mozzarella di bufala e di Caciocaputo per il pranzo, durante il quale facciamo risuonare insieme le cose ascoltate poco prima.
Pomeriggio, con calma, a Napoli. Valentina ha il treno alle cinque e mezza per rientrare a Ferrara. La salutiamo alla stazione centrale e in pochi minuti, nel traffico oggi molto tranquillo, arriviamo nella zona del centro, in vista del Maschio Angioino. Non abbiamo in programma se non un paio di cose da visitare, ma nel cammino ne scopriamo tante altre. Stupende. Si inizia dal Duomo, dove celebriamo anche i Vespri dopo aver visitato la sontuosa cappella che custodisce le reliquie di san Gennaro. Passando per Spaccanapoli cerchiamo San Gregorio Armeno, ma il complesso convenutale è chiuso e ci accontentiamo della via dei presepi lì accanto. A San Lorenzo Maggiore riusciamo ad entrare appena prima della chiusura: uno stupendo gotico francese e italiano, nella penombra della sera. Poco più avanti, la strana cripta dove è sepolto san Gaetano da Thiene. Poi il campanile della Pietrasanta. Poi, per una viuzza stranamente deserta e desolata, il complesso monumentale francescano di Santa Chiara, con la sua enorme e sobria chiesa gotica. A pochi passi, la traboccante chiesa gesuita e barocca del Gesù Nuovo. Tutto spettacolare, dentro alla cornice vivace della Napoli popolare, colorita e disordinata.
Si cena in una trattoria sul limitare dei quartieri spagnoli, che poi attraversiamo per raggiungere, attraverso la galleria Umberto I, l’elegante piazza del Plebiscito davanti al Palazzo reale. Manca solo di passare accanto al Maschio Angioino e di scendere al porto per uno sguardo notturno al golfo.