11 agosto.
Finalmente Napoli. Trovato il posto per parcheggiare vicino al Museo di Capodimonte, alle nove e un quarto ci presentiamo puntuali all’ingresso delle Catacombe di San Gennaro, dove scendiamo guidati da Vittorio, un giovane della Cooperativa La Paranza, che gestisce le visite turistiche nel rione Sanità. Fondata una decina d’anni fa da don Antonio Loffredo con un gruppetto di giovani, questa cooperativa s’è allargata e affermata nell’opera di riqualificazione di questa zona della città, cercando di valorizzare il patrimonio storico dimenticato (le catacombe, il cimitero delle Fontanelle, palazzi e basiliche…) e di coinvolgere giovani e ragazzi in attività culturali e ludiche. Un impegno civile positivo e propositivo, in un quartiere che agli occhi si presenta trascurato e poco capace di essere contesto di vita bella e dignitosa.
Passati i due livelli delle ampie catacombe, ricche della storia di fede di Napoli, con i suoi cinquantun santi (oltre a Gennaro che qui fu sepolto) e le sue devozioni, ci inoltriamo per le viuzze della Sanità per visitare il cimitero delle Fontanelle. Un luogo indescrivibile, una enorme cava di tufo, nei cui alti corridoi di forma trapezoidale sono conservate, disposte alle basi delle pareti in modo ordinatissimo, migliaia e migliaia di ossa di gente sconosciuta, ricoverate qui da ogni parte della città. Vittorio ci racconta le strane forme di ‘devozione’ popolare legate ai resti di questi defunti, cui i napoletani chiedevano favori in cambio di preghiera per liberarle dal purgatorio. Una devozione che rasentava la magia, e che è stata ufficialmente impedita dai pastori della Chiesa nei primi anni sessanta. Un che di ilare si fa avanti mentre prosegue la visita e si conoscono Concettina e il Capitano e le loro leggendarie storie. Non manca spunto per riflettere tra noi su fede e miracoli, mentre torniamo per le strade del rione e visitiamo la Basilica di Santa Maria della Sanità e gli stupendi palazzi Sanfelice e dello Spagnolo.
Vittorio ci porta e ci saluta alla Porta San Gennaro, dove corrono le mura che dividevano la città dei vivi da quella dei morti. Entriamo nel cuore della prima, per cercare un posto in cui pranzare. L’Antica Pizzeria da Michele non è accessibile se non facendo una lunga coda, improponibile per l’ora e per il caldo. Ci infiliamo nella vicina e storica Pizzeria Trianon: al fresco del piano superiore gustiamo la Margherita nelle sue varie interpretazioni.
Nel pomeriggio prevediamo visite culturali. Va buca al Pio Monte della Misericordia. Caravaggio è Caravaggio, ma il portafogli protesta, e proseguiamo per l’imperdibile Cappella San Severo. La coda si esaurisce in fretta ed entriamo a vedere (bisognerebbe dire contemplare) lo stupefacente Cristo velato, opera settecentesca di Giuseppe Sanmartino: la finezza della tecnica scultorea è al servizio di una profonda meditazione sul mistero della morte del Signore.
Capodimonte è piuttosto lontano. Ci aiuta la linea 63, su cui il simpatico autista ci fa salire noncurante del fatto che siam senza biglietto. Al Museo ospitato dalla residenza reale (attorniata da uno stupendo parco che subito ci dà un po’ di ristoro) decidiamo di non entrare per ora: Caravaggio oggi non s’ha da vedere (la sua ‘Flagellazione di Cristo’ è in Belgio e parte del complesso a quest’ora è chiusa).
Inoltrandoci nel reale parco per tornare al pulmino, dopo uno sguardo sulla città e sul golfo in cui la foschia va lentamente diradandosi, ci troviamo allegramente a giocare ad ‘asino’ sul fresco prato ombreggiato. Abbiamo bisogno di un fuoriprogamma che rallenti un po’ i ritmi… Tornando a Giugliano facciamo spesa: stasera bufala e pomodorini a cena. E ancora, tra altre chiacchiere, confronto tra noi sulla fede & la devozione.
Con Salvatore si prevede d’andare a San Martino per uno sguardo notturno sulla città, dall’alto. Ma i tempi si dilatano e Salvatore viene con Rita solo per mangiare una fetta di cocomero (rigorosamente maschile) e per farci assaggiare uno squisito limoncello.