8 agosto.
Dopo una notte accompagnata dal ronzio dei ventilatori, ci prepariamo a partire con una colazione nella vicina pasticceria. Seguendo l’Asse mediano e l’autostrada arriviamo piuttosto velocemente alla falde del Vesuvio. Una tortuosa stradina tra colate laviche, boschi bruciati ed edifici abbandonati ci porta in quota, al punto in cui bisogna prendere una navetta per raggiungere l’ultimo tratto di sentiero per il cratere. Una camminata faticosa nell’aria umida, a tratti fra le nuvole che corrono lungo il fianco del ‘vulcano buono’, nei pendii di roccia e ghiaia e sabbia rossastra. Sul bordo dell’impressionante cratere ci accompagna una guida che ci fa intuire la potenza nascosta di questo spettacolo naturale. A tratti si intravvede qualcosa verso il golfo di Napoli, immerso nella foschia… peccato per la giornata nuvolosa: lo spettacolo sarebbe stato mozzafiato.
Si scende piuttosto in fretta. Direzione Ercolano per un pranzo veloce. Troviamo un negozietto familiare che ci rifornisce di ottimi panini. Li consumiamo nei pressi degli scavi, seduti su un muretto all’ombra delle robinie e siamo pronti per entrare nell’area archeologica dell’antica città sepolta dalle poveri piroclastiche nel 79 d.C. Riforniti di mappa e guida nell’ordinata e pulita struttura d’ingresso, mischiati a turisti perlopiù stranieri, ci mettiamo a camminare nella piccola area riportata alla luce, percorrendo il decumano maggiore e i cardi fiancheggiati dalle insulae, che erano luogo spesso elegante di vita bruscamente interrotta. Non è difficile immaginare il momento del dramma, specie nei fornici che davano sul mare, in cui centinaia di persone avevano cercato di rifugiarsi dalla catastrofe. Ne vediamo i resti tristemente fatti emergere dalla cenere.
Come da programma, terminata la passeggiata storica, ci dirigiamo verso sud. Destinazione una spiaggia migliore, vicino a Castellammare, per una nuotata con vista sul Vesuvio e sul golfo di Napoli, in un’aria più tersa.
A Giugliano ci aspetta don Gerardo, il parroco che ci ospita. Ceniamo con lui in un locale del centro di questa città che è la terza della Campania per dimensioni. Non esita a raccontarci la sua esperienza pastorale di fondazione e costruzione delle strutture parrocchiali con le offerte della gente. Ci parla di una vita di fede ancora molto devozionistica, di processioni infinite e assurde gestite da comitati che di religioso hanno poco. Ci descrive la drammatica situazione del fenomeno camorristico, che imperversa coinvolgendo dal basso una gran parte della popolazione e si innerva nei gangli della politica e delle istituzioni pubbliche. Con fierezza racconta anche della sua esperienza di presa di distanza, nel tessuto ordinario dei rapporti pastorali, da tutti i tentativi di favoritismi offerti da famiglie camorristiche, tenendo una linea di chiarezza. Non stentiamo a credergli, anche per il piglio determinato e autonomo che mostra di avere pure nei rapporti con i suoi vescovi e con i confratelli.
Dopo l’abbondante cena, don Gerardo ci offre anche il dolce, in una vicina pasticceria: non può mancare l’assaggio dei babà…