Conoscere Gesù

Commento al Vangelo dell’8 luglio 2018.

Dopo esser stato in casa di Giàiro, nel suo incessante peregrinare in Galilea, Gesù decide di tornare a Nazareth (Mc 6,1-6): vuole portare anche lì l’annuncio del regno. È narrato brevemente il passaggio di Gesù «nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». La sua predicazione provoca stupore, come all’inizio (cf. 1,21-22), ma anche tanti interrogativi. Interrogativi che a loro volta suscitano la meraviglia del Signore.

A Nazareth Gesù era conosciuto. Conosciutissimo. Era il figlio di Maria, con tutta la schiera dei suoi fratelli e sorelle. Era il falegname, semplicemente il falegname. Non aveva fatto scuole particolari, non era di famiglia sacerdotale o nobile. Era un paesano, semplicemente un paesano come gli altri. Probabilmente aveva una buona fama: un giovane bravo e serio, gentile con tutti, laborioso. Al massimo un po’ strano, perché a trent’anni non s’era ancora sposato e la sua immagine era ben lontana dalla «sapienza» e dai «prodigi» che aveva cominciato a mostrare…

Da dove dunque sapienza e prodigi? Lo stupore si trasforma in scandalo. Lo scandalo in sospetto. Possibile che vengano da Dio? Se ne sarebbero accorti prima, in quei trent’anni vissuti nella più semplice quotidianità. Forse (come già ricordato in Mc 3,20-34) si insinua il sospetto che Gesù sia manovrato da qualcun altro.

Difficile inquadrare Gesù. Non esistono schemi in cui incasellarlo… ed è un problema anche per noi, che vogliamo avere la pretesa di conoscere il Signore. Spesso ci accontentiamo di quel che sappiamo e sospendiamo la nostra ricerca riguardo a Lui e alla sua identità; oppure non accettiamo, nel nostro cammino di fede, la durezza dello scandalo. Già, perché tutta l’esperienza della salvezza è scandalosa, inattesa, inconcepibile per noi che tendiamo a pensare alla onnipotenza di Dio come qualcosa che si deve manifestare nella forza. In fondo, facciamo fatica ad accettare che Dio manifesti la sua forza nella debolezza. È davvero strano e scandaloso che il Figlio di Dio sia nato nell’anonimato di Betlemme. Che la divinità del Signore si sia nascosta per tutti quegli anni nella vita famigliare del figlio di Maria. Che dopo avere operato prodigi nel periodo della sua missione, Gesù sia morto senza venir giù dalla croce e, risorto, si sia mostrato solo agli amici, per farli intimi a sé.

Anche oggi il Signore si presenta a noi con tutta la sua forza solo nella fragilità della Parola e nella semplicità meravigliosa dei Sacramenti, in particolare nella Eucaristia. È scandaloso; fatichiamo a riconoscerlo e ad accettare le sue modalità. Ci stupiamo quando ‘non lo sentiamo’ nella preghiera o non ci vengono i brividi meditando la Parola, ci viene addirittura il dubbio che esista davvero! Ci scandalizziamo quando non interviene nella storia come vorremmo noi, e pensiamo che sbagli a lasciare che le cose non vadano bene, fino a pensare stoltamente che lui mandi il male.

Di qui anche l’interrogativo sulla Chiesa: come dev’essere la comunità dei discepoli del Signore? Se dev’essere come Lui, non può non ricercare la via della ferialità e dell’umiltà, del farsi riconoscere nella quotidiana esperienza dell’amore concreto. Una Chiesa che cerca il potere e visibilità non può essere volto di Gesù nazareno, il Figlio di Dio morto e risorto. Come i parenti di Gesù hanno dovuto riconoscere la sua divinità nel suo volto famigliare, così la Chiesa e i cristiani non devono cercare il sensazionale o il successo perché in essi sia riconosciuto il Signore.

Ma sulla nostra fede c’è un’altra riflessione da fare, suscitata dal racconto di Marco. I compaesani di Gesù e i suoi parenti, se non sapevano nulla della sua divinità, almeno conoscevano la sua umanità: noi rischiamo di non conoscere né l’una né l’altra. Rischiamo di avere una fede del tutto generica, perché abbiamo una immagine del Signore completamente sfumata, non nutrita dalla ricerca e dalla curiosità incessante sulla sua identità, sulla sua ricchezza umano-divina, sui tratti della sua personalità. Se è così, non sussiste veramente la fede, che è la relazione personale con lui, e tramite lui con il Padre, grazie allo Spirito. Se è così non possiamo nemmeno avere la chiarezza fondamentale sul nostro cammino di vita cristiana, che di per sé consiste nel diventare come Gesù Cristo. Non è possibile ‘diventare cristiani’ se non si conosce e non si ama personalmente Gesù Cristo.v