Commento al Vangelo del 1 luglio 2018.
La pagina di vangelo che ascoltiamo oggi (Mc 5,21-43) ci aiuta a «tenere fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2). Marco racconta in modo molto vivace due incontri del Signore, ben intrecciati fra loro: con Giàiro, capo della sinagoga, e con una anonima donna. Il primo aveva una figlia dodicenne moribonda, la seconda era malata da dodici anni di perdite di sangue. Giàiro desiderava conservare ciò che gli era caro, la donna desiderava ottenere qualche non aveva mai avuto. Entrambi non sapevano più che fare. Il capo della sinagoga, uomo ricco e di prestigio, non sapeva a chi rivolgersi; la donna si era svenata con i medici, peggiorando addirittura la situazione. La loro fede in Gesù inizia da questa loro situazione di impotenza, corrispondente al desiderio grande di avere vita e salvezza. Non è sempre così: càpita pure che (come è successo a san Paolo) si incontri Gesù senza partire da una particolare situazione di bisogno. Ma Giàiro e quella donna ci invitano ad immedesimarci in loro, pensando con semplicità e senza fughe alla fragilità della nostra vita, alle situazioni di pericolo mortale per i rapporti più importanti, alla nostra infecondità…
Il loro incontro con il Signore parte da un affidamento condito di disperazione, da una fiducia in un intervento che rasenta la magia. È una fede ancora molto incompleta, ma Gesù non si fa problema: li accoglie così e li fa camminare, introducendoli in una esperienza di fede più profonda. Con pazienza, invita Giàiro a non temere, anche quando giunge la notizia della morte della figlia: ormai – gli dicono – è inutile disturbare il maestro. Con pazienza, cerca tra la folla la donna che lo aveva toccato: la invita – con uno sguardo pieno di desiderio – a venire allo scoperto.
Non dobbiamo aver paura se ci accorgiamo di avere una fede ancora molto debole e imperfetta, se cerchiamo il Signore solo quando siamo in crisi, se ci viene da chiedere a Dio degli interventi quasi magici… Piuttosto, ci dobbiamo sentire accompagnati più in profondità dal Signore che dice a Giàiro: «soltanto abbi fede»; e alla donna: «figlia, la tua fede ti ha salvata».
Qual è questo passo in avanti (o in profondità) che il Signore ci propone, accogliendoci ma non accontentandosi di lasciarci in una situazione di fede embrionale? Vedendo questi due personaggi è chiaro: Gesù intende la fede come un incontro personale con lui. Cerca di incrociare lo sguardo della donna e la chiama figlia. Entra in casa di Giàiro e sta in intimità con la sua famiglia e con tre dei discepoli. Possiamo immaginare il tumulto interiore di questo passaggio e lo stupore di ritrovarsi in una condizione che forse non era nemmeno immaginata prima. Giàiro e la donna desideravano guarigione e salvezza toccando il nazareno e pensando che poi lui sarebbe andato per la sua strada, come si fa con un medico, che non entra nella tua vita. E invece si ritrovano ad essere in amicizia con lui, desiderati, guardati negli occhi e presi per mano.
È per noi una scoperta da fare continuamente. Per molti da fare per la prima volta: Dio rimane un personaggio lontano cui chiedere qualche favore. Uno onnipotente a cui chiedere con rispetto qualcosa. Al massimo uno della porta accanto, ma che non c’entra con la mia vita, anche se so che solo a lui posso rivolgermi quando sono proprio in crisi.
Gesù Cristo mi propone molto di più della guarigione fisica o addirittura della rivitalizzazione del corpo di un figlio morto… Mi propone il legame personale con lui che è risorto e vincitore della morte. Mi propone il legame personale, da figlio, con Dio che è Padre ed ha un amore tenero e infinito per me e per tutti. Mi propone di vivere personalmente del suo Spirito che dà sapienza e forza alla mia persona. La fede è l’adesione alla Trinità. Che me ne faccio, infatti, di essere sano se non sono amico di Colui che ha distrutto la morte? Che me ne faccio dei legami più belli se non ho Qualcuno che me li dona e me li conserva in modo definitivo?
Ma soprattutto, come è possibile trascurare (una volta che me ne rendo conto) il profondo desiderio che il Signore ha di guardarmi, di accogliermi, di accompagnarmi in modo saggio e forte nella mia vita?