Commento al Vangelo del 14 gennaio 2018.
L’ultimo atto dell’opera di Giovanni il Battista è l’affermazione del destino di Gesù: “Ecco l’agnello di Dio!” (v. 29). Lui che aveva gridato nel deserto, che aveva radunato folle attorno a sé, che aveva discusso sulla propria missione con gli emissari dei farisei (1,19-28); lui che aveva già veduto Gesù venire incontro a sé e ne aveva rivelato con parole altissime e inaudite l’identità divina (1,29-34), ora, nella familiarità del dialogo con due discepoli, si ritira, perché ha compiuto il suo dovere di manifestare colui che era presente, ma non conosciuto, né da lui (vv. 31 e 33) né dagli altri (v. 26). Ora l’attenzione è su Gesù. L’annuncio profetico cristologico di Giovanni (“l’agnello di Dio”, “colui che battezza in Spirito Santo”, “colui che è prima di me”…) si concretizza, prende forma storica nella decisione dei discepoli di seguire quell’uomo, di parlare con lui, di stare con lui. E quando ciò accade, Giovanni, da vero educatore alla fede, scompare.
Si ripresenta in questi inizi il mirabile accostamento tra la divinità del Verbo e la umanità della carne (1,14). L’agnello di Dio passa, si volta, vede, chiede, risponde, abita, fissa lo sguardo… è vivacissima la prima descrizione dell’apparire di Gesù, il Verbo di Dio nella sua carne, nella sua quotidianità. Nell’intreccio tra la testimonianza di Giovanni e il fascino della persona di Gesù nasce la prima esperienza di sequela, a noi presentata all’inizio di questo nuovo anno liturgico. Viviamo come comunità parrocchiale un anno pastorale in cui ridire la nostra scelta di seguire Gesù. Vogliamo infatti diventare discepoli-missionari! Impariamo dai primi discepoli: Andrea e l’altro discepolo sono protagonisti di una esperienza semplice e insieme profonda. Erano in ricerca e in attesa. Cercavano il Messia perché attendevano che la promessa antica si realizzasse. Col Battista si erano preparati, del Battista si sono fidati. Stupisce la prontezza della loro obbedienza al comando del loro primo maestro. Come stupisce la strana accoglienza di Gesù. Qui non è lui (almeno direttamente) a chiamare. Sembra non aver fretta di radunare i discepoli. Lui passa. C’è chi lo riconosce e lo segue. Ma vuole chiarezza: “che cercate?”, si sentono dire i due giovani, che cominciano così ad essere educati dal Maestro a partire dalla profondità delle loro aspirazioni, fra le quali dovrà essere messo ordine, specie quanto alla idea di Messia. Tanti cercano Gesù: i discepoli (13,33), le folle per sfamarsi (6,24), i giudei per ucciderlo (7,1). Gesù educa tutti, con i suoi segni e le sue parole, a “cercare” nella direzione giusta ciò che veramente conta: non i propri progetti più o meno messianici, non la soddisfazione dei soli bisogni materiali, non la conservazione del proprio potere. Alla fine, non si cercano più delle cose (“che cosa cercate?” v. 38) ma una persona: “chi cerchi?” (20,15) si sente dire la Maddalena dal Risorto, che ha ormai affermato e vissuto fino in fondo, senza più possibilità di interpretazioni sbagliate, la sua identità “Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (1,29 e 36).
C’è un solo modo di essere discepoli di Gesù: “rimanere” con lui (v. 39). Non si può capire tutto subito. Si capisce Gesù vivendo con lui, guardando la sua azione, ascoltando la sua parola: ciò che l’evangelista aiuterà a fare con tutto il suo scritto. È una decisione grossa, quella di stare con Gesù, che non ha nulla di spiritualistico e nemmeno è una fuga dal tempo e dalla storia. È, piuttosto, un nuovo ingresso nella propria storia personale, sotto la luce straordinaria gettata dal progetto di Gesù. È una nuova nascita, di cui si può fissare il momento iniziale e indimenticabile (“erano le quattro del pomeriggio” v. 39).
Rimanere con Gesù, poi, è contagioso, è una esperienza immediatamente missionaria. Giovanni il Battista ha messo in moto un vortice di incontri e testimonianze attorno alla persona di Gesù. Ci si passa la parola tra fratelli (vv. 40-42), tra amici (cf. 1,43-51). Non sta tanto a far provini, Gesù: pare non gli facciano difficoltà i fraintendimenti e i sospetti. Lui, il Maestro, chiama a sé gli uomini anche per mezzo della voce di altri uomini. È lui, tuttavia, il centro; ciò che è decisivo per l’identità del discepolo è il dialogo personale con lui (v. 42), dialogo nel quale ci si lascia continuamente ridefinire da lui, che ci conosce. Per il discepolo è importante solo quel che pensa il maestro. Il discepolo pensa di sé solo quello che pensa il maestro.