Commento al Vangelo del 7 gennaio 2018.
Con la festa del Battesimo di Gesù (Mc 1,7-11) si compie il tempo natalizio. La contemplazione di misteri della nascita del Figlio di Dio a Betlemme lascia il posto a quella della sua missione.
Ci sono una trentina d’anni, in mezzo, non narrati dai vangeli, ma che meriterebbero di essere considerati ogni tanto: il nostro salvatore, vero Dio e vero uomo, ha vissuto la maggior parte della sua vita terrena nella ferialità della vita di famiglia e di paese. Gesù non ha perso tempo, a Nazaret. Ha incarnato ogni giorno la vita buona di Dio dentro alle relazioni con Maria e Giuseppe, con gli altri parenti, con i vicini di casa, gli amici d’infanzia e della giovinezza… Ha speso la sua persona, la sua intelligenza, la sua sensibilità negli impegni di servizio e di lavoro, nella vita comune della gente di Nazaret. Ha visto ogni giorno gli uccelli del cielo e i fiori dei campi, i contadini che seminavano e mietevano, le massaie che impastavano il pane con il lievito, i pastori che curavano le loro pecore, gli esattori delle tasse che fregavano la gente, gli scribi e i farisei che si vantavano della loro posizione… E ha vissuto ogni giorno il suo legame intimo e indicibile con il Padre, nutrito della sua parola ascoltata e riascoltata e spiegata nella sinagoga. Si è veramente immerso nella nostra storia, il Signore! Ci ha salvato anche in questo modo, anche in quel tempo misterioso di Nazaret.
L’appello di Giovanni Battista raggiunge anche lui, proprio mentre è a Nazaret. Lui, che dovrà «battezzare in Spirito Santo», forse assieme ad altri si muove verso il Giordano. Marco racconta sobriamente la scena, momento decisivo del cammino di Gesù, momento importante per arricchire la conoscenza del lettore a riguardo della identità del Nazareno.
Sta in coda con gli altri, il vero uomo Gesù, vicino ai fratelli desiderosi di conversione. Non disdegna di stare con i peccatori, lui che è lo sposo, che è il più forte di Giovanni. Proprio nel contesto di questo gesto di condivisione (che allude forse all’immersione nella morte e al risalire della risurrezione) accade qualcosa di straordinario. Lui, Gesù, vede i cieli che si squarciano. Non c’è più barriera tra cielo e terra. Poiché noi uomini non potevamo da soli bucare il cielo e penetrare nel mondo di Dio, ci ha pensato lui ad accorciare, ad azzerare le distanze. La spessa cortina del peccato che impediva la comunione con Dio è, mediante l’esperienza del perdono, il luogo dell’incontro con la misericordia di Dio. Perché il Padre squarcia il cielo e ci raggiunge. Sempre. Con il suo Figlio. E con il suo Spirito che come dolce colomba si posa sul Figlio, segnalando che il Figlio è depositario dello Spirito e proprio per questo può immergerci nella vita stessa della Trinità.
Già, perché qui proprio di Trinità si tratta. Marco non usa questa parola, ma completa il quadro ricordando come ‘venne una voce dal cielo’, evidentemente quella del Padre. Lo capiamo dalle parole pronunciate su Gesù, e indirettamente su di noi.
Come il Padre vede Gesù? «Tu sei mio figlio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento!». Parole stracariche di verità e di affetto. Rivelano un rapporto inaudito e scandalosamente nuovo. Dio non è un solitario. È un Padre che genera, che condivide eternamente la sua vita con il Figlio. E che vive con il Figlio la gioia esplosiva dell’amore (per noi inimmaginabile nella sua pienezza…). Ama il Figlio, gli piace il Figlio! Lo approva, lo sostiene, se ne vanta, analogamente a quel che fanno i padri e le madri tra di noi.
Rivelazione di chi è Gesù, ma anche, conseguentemente, rivelazione di chi siamo noi, battezzati, cioè immersi, imbevuti, impregnati dello Spirito Santo: siamo partecipi della vita divina, il nostro spirituale dna è informato da Dio. Essere figli di Dio non è un accessorio, un’etichetta, una verniciatina superficiale. È quel che di più profondo ci può essere in noi. È l’unica cosa che resiste alla morte. È l’unico vanto significativo della nostra persona: figli nel Figlio, anche di noi il Padre si compiace, anche noi il Padre guarda con benevolenza. Tutto il resto è relativo.