Commento al Vangelo del 25 dicembre 2017.
Niente immagini questa settimana: solo il testo del prologo del vangelo secondo Giovanni (1,1-18) ci accompagna sempre nel giorno di Natale. È un testo di grandezza inaudita, di bellezza divina. Con un linguaggio forse un po’ difficile, il quarto evangelista, dopo decenni di comunione intima con il Signore risorto, di contemplazione del Figlio di Dio, di vita spesa per Lui, ci offre (ispirato dallo Spirito) una rivelazione purissima del mistero della salvezza che celebriamo nel Natale.
Tutto parte (‘in principio’, all’origine di tutto) dalla bellezza della Trinità: il Padre ha presso di sé il suo Figlio, eternamente, gioiosamente generato, Dio come Lui! Il Figlio è la sua Parola e Progetto di salvezza.
Da questa comunione d’amore viene fuori tutto ciò che esiste. Il mondo. Gli uomini. La mia persona! Niente esiste e sussiste nell’essere e nella vita se non perché il Padre continua a pronunciare nel Figlio parole di vita per me. Per gli uomini. Per il mondo intero. Quel bambino che celebriamo a Natale regge l’universo e gli dà vita. Adesso.
Questa vita/luce splende nelle tenebre: Dio vede che la vita del mondo che ha creato è un casino. È piena di tenebre: di ignoranza, di violenza, di mancanza d’amore. E Lui non vuole, non ci sta. Si butta nella lotta, drammatica. Lui, la luce. Che si ficca nelle tenebre, che cerca di penetrare nella tenebra. Una lotta che ci riguarda: perché siamo noi il mondo che può decidere di accogliere o di rifiutare.
Accogliere la luce/vita, la grazia che è l’amore leale di Dio ha conseguenze semplicemente meravigliose: ognuno di noi (già creato da Dio e fatto per lui) può ‘diventare’ figlio di Dio. Diventare quel che siamo è la possibilità offertaci da quel bambino. Appropriarci e decidere liberamente di vivere secondo la nostra identità di figli!
Rifiutare la luce/vita, la grazia che è l’amore leale di Dio ha conseguenze devastanti: è il rinnegamento della propria identità, l’azzeramento della persona, la scelta di star chiusi nella tenebra. Di fatto siamo ‘i suoi’, siamo intimi di Dio, ma nella libertà possiamo far finta di non esserlo, vivere come se Lui non esistesse.
Una cosa sola resta dunque da fare: «Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire» (Sal 34,6).