Giornata Mondiale Missionaria

Omelia di padre Giuseppe Dovigo, missionario saveriano, nelle SS. Messe celebrate nella nostra Parrocchia in occasione della Giornata Missionaria Mondiale, il 22 ottobre 2017.

Tre viaggi in uno

La giornata missionaria mondiale ci ricorda il nostro dovere di cristiani di annunziare il vangelo. Non è l’affare di un giorno, ma fa parte della nostra vocazione. Papa Francesco dice a ciascuno di noi: “Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo” (EG 273).

Possiamo esporre tante motivazioni per ricordarci questo dovere e anche dare numerose informazioni sulla situazione del mondo dal punto di vista religioso e anche sociale-politico-economico.

Ma penso all’utilità di una testimonianza del cammino fatto nei 33 anni di missione nella Repubblica Democratica del Congo

E’ bello, infatti, rivedere la mia/nostra vita con stupore, non per nostalgia del passato, non per lamentarsi del presente, ma per ringraziare il Signore per le tappe di crescita nel servizio ai fratelli e sorelle in difficoltà.

La vita di ognuno è un viaggio, un cammino fatto di arrivi e di nuove partenze.

+ Il primo viaggio è quello geografico.

Per una decina d’anni ho vissuto in alcune regioni d’Italia: nell’Emilia (a Parma), nel Piemonte (a Nizza Monferrato), nella Lombardia (a Desio), nel Lazio (a Roma) e nella Campania (a Salerno).

Poi il grande viaggio nel Congo, che ho rifatto varie volte.

Il Congo è l’immenso paese, dove la natura è esuberante e imponente per i grandi laghi del Tanganika e del Kivu, per il suo maestoso fiume che l’attraversa, per le foreste e suoi vulcani, per le sue ricchezze minerarie e il mondo animale. Ricco soprattutto nella calda umanità dei suoi abitanti. Ma il popolo congolese non ha mai conosciuto una vera pace nella giustizia

+ Il secondo viaggio è quello dell’incontro con gente diversa per tribù, lingua e cultura.

Si arriva in Congo la prima volta come bambini, che imparano a parlare, a conoscere, a muoversi. Entrare in relazione, ascoltare,,, E quando si sbaglia, si pronuncia un vocabolo al posto di un altro, tutti ridono e tu ridi con loro.

Ricordo, nel primo anno, il mio errore nel pronunciare la parola risurrezione (ufufuko) nella lingua locale ha provocato una clamorosa risata generale nell’assemblea dei 500 alunni che assistevano alla messa.

Conoscere la lingua degli altri comporta conoscere le loro culture e mentalità. Il confronto con i popoli africani ci dà l’occasione d’ammirare alcune cose che noi abbiamo perso: la semplicità del quotidiano, l’accoglienza, l’amore alla vita, la ricchezza di relazioni, la saggezza degli antenati, il senso del sacro, la fede in Dio.

I popoli africani non sono capaci di esistere senza religione. Essere privi di religione è come una sorta di auto scomunica dell’intera vita della società” ( John Mbiti – Kenia).

C’è da esercitare alcune virtù: l’adattamento, l’ascolto, il dialogo, la pazienza, la fraternità. La relazione cambia, si perfeziona con il passare degli anni: se in primo momento si lavora per migliorare la loro povera condizione di vita, ci si impegna per loro (costruire scuole, dispensari, sorgenti, chiese…), in un secondo tempo si impara a stare insieme, a collaborare accettando ritmi diversi e gusti differenti, e infine ad si può arrivare ad adottare le loro difficoltà e a sposare la loro causa, ad amare fraternamente, a sentirsi uno di loro (le preposizioni: Per – con – in).  

Ho avuto qualche responsabilità, e con loro mi riferivo ad alcuni detti di saggezza pratica: ‘Fare, far fare, lasciar fare’, e Non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura’.  Ricordo la frase di mio papà scritta in una sua lettera: “Cerca di voler bene agli africani, hanno già sofferto abbastanza”.

Trovo giusto ad avere fiducia nelle persone e avere rispetto della loro libertà, senza complessi di superiorità specialmente davanti agli africani, e poi “si diventa veramente liberi tramite la libertà degli altri”.

Un popolo congolese non ha mai conosciuto una vera pace nella giustizia. Uscito nel 1960 da un duro periodo coloniale, solo per un breve momento ha gustato il sogno di dignità e di giustizia precipitando presto in una lunga dittatura che l’ah impoverito e umiliato. Appena stava cercando una via d’uscita non violenta verso la democrazia, ha subito dal 1996 l’impatto di due violentissime guerre e attualmente ancora siamo in grande difficoltà politiche, sociali e economiche…

+ Il terzo viaggio è quello della crescita spirituale, nonostante i limiti.

Sono stato ordinato prete nell’ottobre dell’anno 65, che segnava la fine del Concilio Vaticano. Il grande evento storico di rinnovamento e cambiamento epocale nella Chiesa e nel mondo.

Così ho conosciuto il tempo prima del Concilio con la messa in latino e il pensiero tradizionale della chiesa, ho seguito da giovane studente di teologia il Concilio durante le sue assemblee e discussioni e, infine, ho gioito e vissuto il dopo il Concilio Vaticano II.

Tutto questo mi ha introdotto nello spirito di una continua ricerca che deve continuare nella vita.

Dio, infatti, non è monotonia, ma è novità di vita ed è inesauribile.

Il cammino di fede è faticoso, ed è segnato da tappe progressive.

Siamo cocci resistenti o ribelli alla mano del vasaio che non smette di ricominciare, correggere, rettificare”.

E’ stato detto che la vita con le sue difficoltà, dubbi, contraddizioni, è un labirinto, dove è difficile trovare la via d’uscita. Allora c’è bisogno di un filo di lana conduttore per uscirne, come ha fatto, secondo il mito, la giovane donna Arianna, che ha avuto la furbizia di utilizzarlo per segnare la strada già fatta e non perdersi.

Si scopre, con il passare del tempo, con l’approfondimento, l’esperienza e pure la fatica di trasmettere agli altri, che il vangelo nella sua semplicità e saggezza è sempre più luce, riferimento e consolazione. E con il Vangelo l’incontro con la persona di Cristo vivente e l’entusiasmo di l’annuncio missionario che poi opera sua.

Ho vissuto i giorni più tristi e tragici con l’uccisione di suore severiane a Bujumbura, n Burundi (il 7 settembre 2014).

Conoscevo personalmente Lucia, Olga e avevo amicizia con Bernardetta

Ho partecipato alla preghiera e alla sepoltura. E ‘stata una grande sofferenza e prova.

A poco a poco, dopo l’angoscia per una morte inumana, dopo la paura per una situazione di violenza, si è fatta strada l’ammirazione per loro che hanno vissuto la missione, il loro viaggio di vita cristiana al seguito di Gesù fino in fondo e nella compassione.

I tre viaggi o meglio tre profili di un unico viaggio sono un invito a un esodo geografico, umano, spirituale…dal piccolo al grande, dallo ristretto allo spazio infinito, dal rapporto superficiale allo scambio profondo… per godere sempre più un panorama più vasto, per dare un più grande respiro alla vita, per gustare la bellezza dell’amore di Dio e dei fratelli!

L’esodo non è finito, c’è sempre la tentazione di fermarsi, di dire: Ora basta!

Un autore scrive: “La vita deve essere capita solo all’indietro, ma va vissuta sempre e solo in avanti” (Kierkegaard).