Commento al Vangelo del 22 ottobre 2017.
Riascoltiamo una delle frasi più celebri di Gesù: «Rendete quello che è di Cesare a Cesare, e quello che è di Dio a Dio» (cf. Mt 22,15-21). Il Signore la pronuncia per rispondere ad una domanda-trabocchetto dei farisei e degli erodiani: «bisogna o no pagare il tributo a Cesare?» Il problema era serio: i Romani occupavano già da decenni la Palestina e imponevano a tutti gli adulti attivi una tassa molto discussa. Non era solo una questione amministrativa, perché l’imperatore romano (che a quel tempo era Tiberio) si presentava con un’aura di divinità e questo era un problema in più: pagare la tassa poteva significare una un tradimento idolatrico del vero Dio. C’era chi reagiva tentando di ribellarsi anche con la violenza (gli zeloti), chi pagava malvolentieri affermando la propria sottomissione solo al Dio dei Padri (i farisei), chi non si faceva tanti problemi, perché era consenziente con il potere romano (gli erodiani). Pur in una condizione storica molto diversa, la questione è importante anche per noi: fino a che punto obbedire alle autorità? Come reagire di fronte alle ingiustizie, specie se attuate dalle autorità più o meno legittimamente costituite?
Gesù, il Maestro «veritiero, che insegna le vie di Dio con verità» ed è libero da ogni condizionamento, chiede di vedere la moneta del tributo, il ‘denaro’ che (Gesù lo sapeva bene) portava l’immagine di Tiberio. E su questo tema della ‘immagine’ Gesù inventa la sua risposta, che è un capolavoro di antropologia cristiana.
Anzitutto Gesù richiama l’identità dell’uomo. Chi è l’uomo? Di chi è l’uomo? Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26), apparteniamo a Dio (come la moneta appartiene a Cesare), siamo creati per vivere della comunione con Dio e per manifestare il suo volto nel nostro volto, le sue parole nelle nostre parole. Restituire a Dio ciò che è di Dio è la legge fondamentale della nostra vita, è un altro modo per dire: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente» (Mt 22,37). E questo perché Dio ci ama da morire, è il nostro creatore e salvatore, è l’unico che ha realmente un potere di vita e di morte su di noi. Su questo piano dell’esistenza Dio non ha rivali. Tutti gli altri livelli (rapporti umani, impegno sociale e politico, tempo libero…) sono ispirati da questo. Gesù ha vissuto così, e questo è stato per lui fonte di gioia e di forza. Anche per noi, vivere radicati in Dio è l’esperienza della realizzazione delle nostre persone nell’impegno (possibile solo con l’aiuto dello Spirito) di assomigliare sempre di più alla pienezza di maturità del Figlio di Dio. Per questo non ha senso idolatrare qualcun altro, cercare di assomigliare a qualcun altro, asservirsi a qualcun altro. Né all’imperatore, né a qualsiasi altro capo politico o leader sociale e nemmeno religioso.
Il cittadino cristiano, che vive la comunione con Dio, sa stare dentro alla storia e alla necessaria dinamica sociale e politica con un bagaglio di riferimento molto forte e molto chiaro: i valori che Dio propone per il bene, la giustizia, la pace. Impara a riconoscere l’autorità come servizio prezioso e a denunciarla nelle sue ingiustizie. Impara ad obbedire alle leggi che promuovo il bene e, se necessario, a contestarle coraggiosamente, come ha fatto il Signore, in modo non violento, fino a dare la vita. Impara, altresì, a partecipare responsabilmente alla costruzione del bene comune con il rispetto della ‘autonomia delle realtà terrene’ (Gaudium et Spes, n. 36: «le cose create e le stesse società hanno leggi e valori proprie, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare»).
A causa del primato di Dio, poi, anche chi ha responsabilità di governo non può arrogarsi il diritto di spadroneggiare sulla gente, sostituendosi a Dio. L’impegno politico o nella amministrazione pubblica ha senso solo come servizio alla persona e alle persone, i cui diritti fondamentali non sono concessi dall’autorità umana, ma devono essere da questa riconosciuti e garantiti perché sono iscritti (da Dio) nella identità più profonda di ciascuno. Nel mondo giuridico occidentale, questo è molto chiaro: basta pensare alla Costituzione italiana (art. 2), o alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Preambolo). Almeno a parole.