Commento al Vangelo del 15 ottobre 2017.
Una festa di matrimonio. I vangeli ci consegnano continuamente i contenuti e il linguaggio della predicazione di Gesù, che sa esprimersi serenamente sia con il registro della dolcezza, sia con quello della forza e della durezza. Ne è esempio la parabola degli invitati alle nozze (Mt 22,1-14): Gesù (che sta ancora discutendo a Gerusalemme con i capi dei sacerdoti e gli anziani del tempio) riprende il caloroso e appassionato invito già tante volte gridato dai profeti (ad es. Is 25,6-10. 55,1-2). È l’invito ad un pranzo di matrimonio, preparato con cura e con gioia e con abbondanza. Il linguaggio delle nozze per descrivere la salvezza è importantissimo nella Bibbia e la attraversa tutta, fino alle sue ultime pagine, nelle viene quali meravigliosamente descritto il matrimonio definitivo tra Dio che è Trinità e l’umanità che è come una sposa. Che cos’è infatti la salvezza? È una amicizia sponsale con Dio che si è rivelato come Padre, Figlio e Spirito Santo. È entrare nel circolo meraviglioso dell’amore tra le persone divine.
Tutti sono invitati. A questo matrimonio, dice Gesù, tutti sono candidati. Al rifiuto di primi invitati il re non si ferma: ripete l’invito insistendo sulla ricchezza del banchetto. E poi spalanca la sala della festa allargando l’invito pure a quelli che si trovano nei crocicchi delle strade, cattivi e buoni. I servi che per tre volte sono citati nella parabola sono i profeti e anche i missionari cristiani che portano l’annuncio della Pasqua, dichiarazione dell’amore infinito del Padre per tutti. Bellezza e dolcezza della festa di nozze! Tutto è riconosciuto come dono di Dio. Tutto è condiviso gratuitamente e gioiosamente dai commensali. Tutto è per tutti, cattivi e buoni: nella Pasqua di Gesù è evidente l’iniziativa di Dio Padre, il quale non aspetta che qualcuno sia buono per volergli bene e donargli se stesso.
Una cosa molto seria. Ma questo matrimonio, proprio perché è una cosa vera, è una cosa anche molto seria. E Gesù, per farlo capire, non esita ad usare parole durissime. Anzitutto nei confronti dei primi invitati, che non si sono dimostrati disponibili perché avevano altro da fare: star dietro ai campi e agli affari. Anche costoro (come i vignaioli che volevano appropriarsi dell’eredità del loro padrone ammazzando il figlio) fondano la loro sicurezza nel possedere le cose; rispondono al loro bisogno di felicità con la via demoniaca dell’avere, che dà potere e successo. Schiavi della visione commerciale della vita, non colgono l’importanza del rapporto con Dio in Gesù Cristo, che è fondamento dell’esistenza perché è la risposta vera al bisogno più profondo del cuore: amare ed essere amato. Arrivano perfino ad insultare il re maltrattando e uccidendo i suoi servi. La loro fine è la distruzione, perché non c’è vita al di fuori del banchetto di nozze di quel re. Per nessuno.
Rivestirsi di Cristo. E anche al commensale senza l’abito nuziale viene riservato un trattamento terribile: legato mani e piedi, è buttato fuori, nelle tenebre. Non partecipare al rapporto d’amore proposto da Dio porta alla morte. Perché solo Dio è fonte della vita buona e bella. Una vita ridotta ai propri affari o ad una religione solo formale è una illusione di vita, nei luccichii ingannevoli del benessere o di una ritualità che rimane in superficie. A ben vedere, le parole forti di Gesù non sono una minaccia, ché il Padre non è indifferente alla sorte dei suoi figli, tutti invitati alle nozze. Piuttosto sono un appello, un avvertimento che esce da un cuore appassionato, preoccupato per la salvezza di tutti, desideroso che tutti siano nella vita, nella luce, ben vestiti. Quell’abito nuziale infatti è la carità operosa: è segno della conversione del cuore che ispira gesti e parole. Non è come nei matrimoni umani: chi partecipa al matrimonio del Figlio di Dio ne assume lo stile di vita, diventa come lui, si trasforma in lui. L’amato diventa come l’amante. Dice sant’Agostino: «Rallegriamoci, rendiamo grazie a Dio, non soltanto perché ci ha fatti diventare cristiani, ma perché ci ha fatto diventare Cristo stesso. Vi rendete conto, fratelli, di quale grazia ci ha fatto Dio, donandoci Cristo come Capo? Esultate, gioite, siamo divenuti Cristo. Se egli è il Capo, noi siamo le membra: siamo un uomo completo, egli e noi. […] Pienezza di Cristo: il Capo e le membra. Qual è la Testa, e quali sono le membra? Cristo e la Chiesa». (In Iohannis evangelium tractatus, 21, 8)