Commento al Vangelo del 6 agosto 2017.
Seguire Gesù, per gli apostoli, è stata una scelta impegnativa. Carica di entusiasmo all’inizio e via via sempre più compromettente: bisognava stare a fianco di un Maestro che si metteva nei guai perché predicando il vangelo del Regno proponeva esigenze altissime e suscitava la contrapposizione di molti. Lui non ha abbassato di una virgola il tiro, ha anzi reso sempre più chiaro il suo progetto: dire amore e giustizia fino alla Pasqua di morte e risurrezione. Nello stesso tempo, con grande sapienza e pazienza educativa, ha accompagnato i suoi ad entrare sempre più consapevolmente nel mistero della sua persona. L’evento della Trasfigurazione, che contempliamo oggi (Mt 17,1-9), è anche un grande momento educativo, oltre che uno dei vertici dello svelamento dell’identità di Gesù. È quasi sconcertante il divario tra la limpida e gioiosa consapevolezza che lui ha di sé (il Padre stesso lo rivela: «Questi è il Figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento») e l’incomprensione o la fatica a comprendere da parte degli apostoli. Questo atteggiamento educativo del Signore è una esperienza viva per tutti i discepoli, noi compresi: siamo invitati oggi a salire sul monte, a stare in disparte con Gesù, a renderci conto del mistero (avvolti pure noi dalla nube luminosa e che però stranamente fa ombra), a tirare fuori il nostro stupore, ad ammettere il nostro disorientamento. Siamo invitati soprattutto a contemplare la gloria, la trascendenza, l’alterità, l’onnipotenza del Signore (il tutto espresso, là sul monte, dallo splendore del suo volto e delle sue vesti). In una parola, a contemplare la sua bellezza. Non la vediamo con gli occhi del corpo: con quelli vediamo solo il Pane e i fratelli. La vediamo, questa bellezza, solo con gli occhi della fede, cioè con gli occhi degli apostoli, nella piena fiducia che questi nostri santi amici non hanno inventato nulla, ma sono narratori di una buona notizia, che è anche la loro personale esperienza di contemplazione del Signore. Non annunciano, gli apostoli, solo una teoria o una serie di idee. Poiché sono stati «testimoni oculari» della grandezza del Signore, annunciano un incontro straordinario con uno che diceva di essere il Figlio di Dio, che li ha accolti e accompagnati, che li ha amati fino a morire, che li ha perdonati ad oltranza, che non si è stancato di loro, che ha fatto loro intravvedere il mondo di gloria preparato per tutti da Dio Padre. Annunciano una esperienza di felicità speciale: «È bello per noi essere qui!», dice Pietro a Gesù, che è in compagnia di Mosè e di Elia e conversa autorevolmente con loro, i più grandi profeti dell’Antico Testamento. Annunciano, gli apostoli, che hanno trovato il profeta definitivo: uno, l’unico, che dice delle cose veramente sensate, delle cose che hanno un valore stabile, addirittura eterno; il Padre stesso ha comandato loro: «Ascoltatelo!».
Si torna sempre lì: è decisivo quel che ascoltiamo e da chi lo ascoltiamo. Nemmeno Mosè ed Elia sono ormai così autorevoli, rispetto al Figlio di Dio. Figuriamoci se lo siamo noi stessi, oppure gli opinionisti delle prime pagine dei giornali o delle pieghe più sciocche dei social network. Certo, per molti oggi è roba da matti fidarsi di uno come Gesù Cristo, uno che pare così distante nel tempo, uno, si dice, le cui parole sono state inventate. Roba da matti, da ideologia bella e buona, si dice, credere che Dio esiste, che è il Padre di Gesù di Nazaret, che ci vuole bene e ci vuole guidare in una vita buona e bella, secondo le parole del suo Figlio: quel Signore che gli apostoli hanno visto trasfigurato sul monte lasciandoli disorientati, è il Signore che poi hanno visto inchiodato e ammazzato sulla croce, ma soprattutto vivo in modo nuovo e gioioso e immortale. Ci fidiamo della testimonianza di chi ha cambiato vita e ha dato la vita per il Signore glorioso, morto e risorto. Ci fidiamo di Lui che è presente nel Pane e nei fratelli, e gli chiediamo di aiutarci ad aprire gli occhi per vedere la sua gloria adesso nel Pane e nei fratelli. Sicuri che la vedremo, la sua gloria, anche con gli occhi del nostro corpo definitivamente trasfigurato nella risurrezione della carne.